Ho ricevuto uno
scritto di Edoardo Piacentini. Egli interveniva con esso nella discussione
dell’articolo «Comportamenti
erronei di conduttori verso i membri». Per l’inquadramento
delle questioni rimandiamo al
tema di discussione
corrispondente. Mi sono limitato soltanto ad adattarlo, a strutturarlo e
dargli dei titoli intermedi. In tal modo, ho potuto rispondere al suo scritto
punto per punto. |
1. PERCHÉ DICO NO A UNA CONDUZIONE
MONOCRATICA
(Edoardo Piacentini)
■ Pericoli del pastorato: Nella Bibbia non è detto che bisogna lasciare a
un solo anziano la responsabilità di una comunità; anzi, quando ciò
accade, è molto pericoloso, perché si apre la porta a un’autocrazia con
tutti i suoi frutti negativi. Il grave errore, cui sono incorsi la maggior parte
dei movimenti evangelici, nonostante il modello di comunità neotestamentaria, a
cui s’ispirano, è stato quello d’aver dato un carattere monarchico al
pastorato. In molte comunità evangeliche il pastore è, infatti, l’unico
conduttore e responsabile della vita della comunità e per quanto riguarda gli
anziani, se ne fa volentieri a meno! Un uomo solo, sia questi un anziano, un
pastore o fosse pure un apostolo, non deve mai dominare la comunità,
poiché, oltre a non poter fare tutto da sé, per quanto ne possa essere capace,
la chiesa si trova a essere privata dalla sana guida, che proviene dal consiglio
di diversi consiglieri.
■ L’affare di famiglia: Inoltre, nel caso in cui un anziano o un pastore
assuma da solo il governo della comunità, può capitare che in realtà esso
diventi il governo della famiglia di quell’anziano o di quel pastore. Ci
sono stati casi in cui la moglie e i figli dell’anziano o del pastore hanno
influenzato l’andamento della vita della comunità, perché le decisioni prese non
sono state altro che il risultato di discussioni familiari.
■ Il principio plurale: Nella chiesa primitiva la guida della comunità
era affidata a un collegio d’anziani (in greco = presbyterion),
formato da un insieme di presbyteroi o anziani, i quali collaboravano tra
loro di pari consentimento (1 Timoteo 4,14), svolgendo ognuno il ruolo
affidatogli da Dio. Ogni anziano, inoltre, si circondava di discepoli,
che non solo istruiva (1 e 2 Timoteo, Tito), ma con i quali condivideva anche il
suo ministero (Romani 16,21; 1 Corinzi 4,17; Filippesi 2,19-23; 1 Tessalonicesi
3,5-6; Tito 1,5-9). Era, dunque, completamente estraneo alla chiesa primitiva il
concetto che il pastore fosse l’unico responsabile della comunità,
dirigendo e svolgendo in prima persona ogni sua attività.
L’apostolo Paolo, in più occasioni, ha ricordato che lo Spirito Santo
distribuisce ai membri della comunità diversità di doni spirituali e di
ministeri (Romani 12,3-8; 1 Corinzi 12,4-11; ecc.); perciò ognuno deve
espletare il suo ruolo sotto il comando e l’autorità del Signor Gesù, prendendo
esempio dal corpo umano, le cui membra funzionano tutte, svolgendo ciascuna la
sua funzione sotto la direzione del cervello.
L’apostolo Pietro raccomanda vivamente agli anziani, essendo egli stesso anziano
con loro, di non signoreggiare le eredità (1 Pietro 5,3).
L’apostolo Giovanni, inoltre, censura l’orgoglio di Diotrefe, che avendo il
primato nella chiesa e preoccupato di difendere la sua supremazia, non solo
non riceveva l’apostolo, ma proibiva anche agli altri fratelli di ospitarlo (3
Giovanni 1,9-10).
Ed è proprio per evitare queste deplorevoli situazioni, il Nuovo Testamento
prevede una
pluralità d’anziani (Atti 14,23; 20,21; Filippesi 1,1, Tito 1,5), che
l’apostolo Paolo chiama, appunto, il «collegio degli anziani» (1 Timoteo 4,14),
ossia il presbiterio locale. Quando la Chiesa è retta da un collegio d’anziani,
le decisioni sono prese da diversi consiglieri, che non soltanto salvaguardano
la comunità dalle imposizioni di una sola persona, ma l’arricchiscono anche con
esperienze diverse e doni vari.
■
Limitazioni del singolo: D’altra parte, è davvero difficile immaginare che
una sola persona possa avere tutti i doni dello Spirito Santo, elencati
nel Nuovo Testamento. Un profeta [o proclamatore ispirato, N.d.R.], che
usa toni solenni, difficilmente potrebbe essere un buon consigliere. Un
donatore generoso potrebbe facilmente fallire nell’amministrazione. Un
insegnante, che spiega con chiarezza le Scritture, potrebbe rivelarsi un
predicatore poco incisivo e incapace di motivare i credenti.
■ Forza dei molti: Oggi, si sente forte l’esigenza che Dio susciti un
risveglio spirituale nella sua chiesa. Questo risveglio non può prescindere
da una chiesa di membri consacrati, i quali non solo testimoniano nella società,
con la loro nuova vita, d’essere veri credenti, ma dedicano al servizio di Dio i
doni spirituali e le capacità naturali che hanno ricevuto. Questi doni
differenti
sono stati elargiti da Dio per l’edificazione della chiesa, ed è perciò
necessario comprendere che non tutti hanno gli stessi compiti, capire nel
miglior modo possibile qual è il ruolo, che ci è stato affidato, ed
essere disposti a svolgerlo generosamente, non per il proprio successo personale
e senza calcolare il proprio tornaconto.
I responsabili delle comunità, consapevoli che da soli non possono esplicare
tutte le attività della chiesa, devono ringraziare Dio per quei fratelli che
possiedono doni diversi dai propri e incoraggiarli a collaborare insieme,
affinché le loro abilità possano compensare le proprie insufficienze. Insieme
potranno così edificare la chiesa e attendersi il sospirato risveglio.
Dio ci benedica. {04-06-2012}
2. ALCUNE OSSERVAZIONI SULLA CONDUZIONE
(Nicola Martella)
■ Pericoli antipodici di conduzione: Come ho già ribadito altre volte, ci
sono due pericoli in cui si può cadere riguardo alla conduzione. Il primo
consiste nella conduzione monocratica, in cui un solo uomo crede di poter
essere l’unico capitano indiscusso di una nave. L’altro è quello che, per avere,
a tutti i costi, una pluralità nella conduzione (collegio), si riconoscano «conduttori
di paglia», ossia che non hanno le qualità prescritte dal NT; essi saranno
una palla al piede degli altri conduttori e un peso affliggente per la comunità.
Chiaramente il sistema di conduzione migliore e che dà stabilità a un’opera
ecclesiale e le permette una eventuale moltiplicazione, è quello collegiale, in
cui tutti i conduttori corrispondano alle qualità minime prescritte dal
NT (1 Tm 3; Tt 1).
■ Pastore: L’altro aspetto riguarda il termine «pastore», che entrato
nella convenzione ecclesiologica comune come titolo, carica o ufficio, per
designare il
conduttore monocratico di una chiesa. Vedo che Edoardo Piacentini, pur
prendendo distanza dal pastore unico, rimane termino logicamente ancorato a tale
dizione, quando parla continuamente di «pastore» e «pastorato». Probabilmente si
tratta di una «deformazione professionale» o della potenza delle convenzioni
ecclesiali. Suggerisco che si parli di «conduttore» per designare ogni tipo di
guida di una chiesa locale.
In nessun brano del NT esiste un solo caso del genere, in cui un conduttore di
chiesa fu chiamato, ad esempio, «pastore Filemone». Nel NT «pastore» non
è un titolo o una carica, ma una funzione ministeriale, che possono avere i
conduttori (presbyteroi, episkopoi), i missionari (apostoloi)
e addirittura anche i collaboratori (diakonoi, ecc.). In Efesini 4,11
«pastori e insegnanti» sono una sola funzione ministeriale, poiché esiste un
solo articolo, che lega ambedue nel quarto gruppo menzionato da Paolo.
Un altro appunto riguarda l’uso improprio che si fa del termine apostolos
in varie chiese odierne. Come per altri termini ecclesiali, uno dei problemi è
che tale termine non è stato tradotto, ma solo adattato come «apostolo»
alla lingua italiana, creando molti equivoci cognitivi e teologici. Tale termine
intende «mandato, incaricato, emissario, missionario» e non si distingueva
allora, ad esempio, dal termine anghelos «inviato, ambasciatore,
rappresentante, ecc.; cfr. Ap 2s), che ha creato anch’esso molti equivoci per
gli stessi motivi di apostolos. Una tendenza pericolosa, che si sta
diffondendo, è quella di traslocare l’apostolos sempre più
all’interno della chiesa locale, come una specie di «cardinale» dei
conduttori di una stessa mega-chiesa o di un gruppo di chiese. Ciò non solo
è teologicamente e storicamente errato, ma sta creando le basi per una nuova
gerarchia piramidale nelle chiese. Ciò è mostrato dal fatto che persone che anni
fa si titolavano, ad esempio, «pastore Vincenzo Depulpitis», con l’avvento della
frenesia «profetica» passarono a titolarsi «profeta Vincenzo Depulpitis»; ora
con l’avvento della nuova moda «apostolica», sono passati a chiamarsi «apostolo
Vincenzo Depulpitis»; ho seguito negli ultimi anni proprio un caso del
genere, che potrei documentare, oltre ad altri.
Nel NT l’apostolos
è solo l’inviato di una chiesa per fondare nuove chiese in campi nuovi,
ossia laddove Cristo non è ancora nominato. In esso non è previsto un
apostolos all’interno di una chiesa locale o come titolare di un gruppo di
chiese in una zona, ma solo come missionario, ossia come emissario di una o più
chiese per fondarne altre.
■ Il principio plurale: Condivido quello, che ho chiamato così. Faccio
presente che il concetto di «assemblea» è diverso nel NT ed oggi. Al
tempo del NT, non esistevano locali di culto e si trattava di «chiese in casa».
A Gerusalemme, ad esempio, era ovvio incontrarsi in molte case, secondo la loro
capacità, sia per pregare, sia per la catechesi, sia per mangiare insieme (At
2,46; 5,42; cfr. At 20,20). È scritto che Pietro, dopo essere uscito di
prigione, si diresse «alla casa di Maria, madre di
Giovanni soprannominato Marco, dove molti fratelli stavano radunati e pregavano»
(At 12,12). Chiaramente lì non entravano circa 10.000 persone fra uomini, donne
e bambini. Si noti che lì mancavano «Giacomo e i fratelli» (v. 17), forse
intendeva gli altri conduttori come in Atti 21,18.
Per tali motivi è pensabile che nello stesso luogo ci fossero varie «chiese
in casa»
(cfr. At 8,3; Rm 16,5.10s; 1 Cor 16,19). Si noti che la l’assemblea di
Colosse era formata da almeno due «chiese in casa» (Col 4,15; Flm 1,2). In
Colossesi 4,15 viene menzionato Ninfa, che era di
Colosse, e al v. 17 Archippo, come in Filemone 1,2. Anche quest’ultimo
era di Colosse. Quindi, è pensabile che il «collegio dei conduttori» fosse
formato dalle guide di tali varie «chiese in casa». Ciò è mostrato anche dal
fatto che nell’ambiente ellenistico si sviluppò effettivamente la conduzione
monocratica, più affine al mondo culturale greco.
Rimane la questione come tale principio plurale possa applicarsi alle
variegate situazioni ecclesiali locali. Qui bisogna approfondire le varie
possibilità e le questioni teologiche.
Faccio notare che, sebbene il principio della squadra rimane, alcuni dei
versi sopra menzionati non riguardano il rapporto fra conduttori (presbyteroi,
episkopoi) e servitori (diakonoi), ma il rapporto fra missionario
e i suoi collaboratori (1-2 Tm; Tt). Timoteo e Tito erano emissari del
missionario quale capo della squadra ed erano mandati nelle chiese fondate, per
stabilizzarle. Timoteo
era compagno di Paolo (Rm 16,21) nell’opera missionaria e non nella guida di una
chiesa locale; era suo emissario nelle chiese fondate (1 Cor 4,17; Fil
2,19-23; 1 Ts 3,5s). Ciò valeva anche per Tito
(2 Cor 12,17s; Tt 1,5)
e per altri (cfr. fratelli 2 Cor 9,3; Tichico Ef 6,21s; Col 4,7s; 2 Tm
4,12; Onesimo Col 4,9; Epafròdito Fil 2,25-30; 4,18; Artemas o Tichico Tt 3,12;
cfr. Zena, il legista, e Apollo Tt 3,13). Quindi, sebbene il principio dei
conduttori e dei missionari, che si circondano di validi collaboratori rimane lo
stesso, è meglio distinguere le due cose e i brani, che si riferiscono a loro.
Per onestà, come ho mostrato
altrove, la locuzione «collegio degli anziani» non esiste in 1
Timoteo 4,14. Esso è auspicabile, ma non lo si può trarre da tale brano. Rimando
ai seguenti articoli per le motivazioni: «Conduzione
monocratica o collegiale?»; «Per
forza un collegio di anziani?».
■
Limitazioni del singolo e forza dei molti: Sono d’accordo con le questioni
generali poste. È vero che il «sospirato risveglio» dipende dalla
consacrazione di conduttori, collaboratori e membri di chiesa e dall’esercizio
dei loro carismi in modo collegiale e nei ruoli ricevuti dal Signore. È anche
vero che esso dipende anche da un rinnovamento spirituale e da una riforma
morale dei credenti. Un «risveglio» in senso proprio riguarda soltanto i
credenti e non gli increduli, che devono essere prima vivificati; infatti,
si può svegliare soltanto chi dorme in senso spirituale e morale, non chi è
spiritualmente morto. Poiché questo aspetto ci porterebbe fuori tema, rimando
all’articolo «Vogliono
un «risveglio», senza cominciare da sé» e al
tema di discussione connesso.
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Conduzione-sistemi_EdF.htm
07-06-2012; Aggiornamento: 08-06-2012 |