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Alcuni
pensano che la migliore conduzione nelle chiese sia quella monocratica
(conduttore unico); altri, al contrario, affermano che la conduzione collegiale
ecclesiale sia la forma migliore. Sebbene nel NT ci siano indizi per l’una o
l’altra forma di conduzione, bisogna tener presente che l’insegnamento
apostolico metteva al centro le qualità dei conduttori, non tanto le
forme di conduzione. Abbiamo approfondito questi aspetti nell’articolo «Aspetti
della conduzione nel NT e oggi», che qui di seguito
approfondiamo e discutiamo.
1. Conduzione
nella chiesa di Gerusalemme
Una questione, che mi sono posto, è la seguente: «Come era guidata la chiesa di
Gerusalemme, ossia la prima assemblea del nuovo patto?». Nell’articolo di
riferimento abbiamo visto che i Giudei amavano, per motivi storici, culturali e
religiosi, una conduzione plurale (cfr. sinagoghe, Sinedrio). Tutto ciò fu
rispecchiato anche nella conduzione ecclesiale? Ecco qui di seguito alcune
riflessioni in merito.
■ Fase iniziale: Le guide indiscusse e insegnanti della chiesa di
Gerusalemme erano i dodici apostoli (apostolos = inviato,
ambasciatore, responsabile, rappresentante, ecc.). Quindi la conduzione era
plurale.
■ Fase di transizione: Ingrandendosi l’opera, agli apostoli furono
associati sette uomini come collaboratori (At 6). Essi non erano «diaconi», come
comunemente si afferma (tale termine non ricorre mai in tale testo), ma i loro
coadiutori nell’intera opera della chiesa e quindi i futuri anziani della
chiesa.
■ Fase finale: La maggior parte degli apostoli si trasferì, a mano a
mano, in terra di missione. Dapprima rimasero solo Pietro e Giovanni, che
associarono particolarmente Giacomo nella guida della chiesa; tutti e tre
formavano le «colonne della chiesa». Ad essi furono associati, nel tempo, altri
anziani. Alla fine, rimasero soltanto Giacomo e gli anziani; questo era il caso,
quando Paolo visitò la chiesa di Gerusalemme per l’ultima volta (At 21,18ss).
Ciò mostra che la
conduzione della chiesa di Gerusalemme era plurale. Quindi nessuno può asserire
che la conduzione collegiale non sia biblica.
2. Conduzione
nelle chiese a maggioranza gentile
Dall’altra parte, è bene evidenziare pure che qui ci troviamo in ambito
giudaico. In ambito delle chiese elleniste troviamo varie combinazioni, a
seconda se le chiese erano composte in prevalenza da cristiani giudei della
diaspora o da cristiani gentili. Tali combinazioni vanno, quindi, dalla
conduzione plurale a quella monocratica. Abbiamo detto che Gesù si rivolse a
sette specifici conduttori di chiesa, scrivendo loro delle lettere personali, in
cui non menzionò altri responsabili (Ap 2s). Abbiamo anche detto che Paolo a
Mileto mandò a chiamare i conduttori della chiesa di Efeso (At 21; Luca li
chiamò episcopi e presbiteri, intendendo le stesse persone). Come si vede,
allora c’era una grande varietà nella conduzione. Oltre a ciò, come
abbiamo mostrato, il comune modo di incontrarsi era quello delle «chiese in
casa»; i conduttori non erano solo dei «leader per i culti», dove essi
partecipavano di volta in volta in tali «chiese in casa», ma erano insieme le
guide e coordinatori dell’intera opera locale.
Sia Gesù (Ap 2s) che l’apostolo Paolo (1 Tm 3; Tt 1) misero l’enfasi sulla
qualità dei conduttori, non tanto sulla forma di conduzione. Abbiamo visto
che tali due modelli di base (e le loro variazioni) hanno punti di forza e di
debolezza.
Io, personalmente, propendo maggiormente per una conduzione plurale, ma solo se
tale collegio è formato da conduttori di nome e di fatto, ossia che siano
al di sopra di ogni riprensione, quindi con le qualità prescritte dalla
Scrittura (cfr. 1 Tm 3; Tt 1). Meglio non mettere in sella un conduttore
senza qualifiche, poiché farà molto danno alla chiesa (e agli altri
conduttori) e sarà sempre tragico e doloroso per tutti farlo scendere dal
cavallo.
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e
opinioni?
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1. {Andrea
Artioli}
▲
■
Contributo:
Caro Nicola, sinceramente non mi piace questa classificazione. Non penso che il
culto di adorazione sia monocratico né sia collegiale. Piuttosto deve
essere teocentrico o teocratico.
È certo che la conduzione collegiale per la maggior parte dei casi è
sempre caotica. In quella monocratica la chiesa riversa tutte le funzione
e responsabilità su una persona sola.
Credo quindi che questa classificazione sia molto debole e illusoria.
Sicuramente c’è di meglio. {10-04-2012}
▬
Risposta 1
(Nicola Martella): Io non ho parlato di «culto di adorazione», ma di
struttura della chiesa locale; sono due cose del tutto differenti. Non ho
neppure preso partito per nessun sistema, ma ho illustrato i due di base,
mostrandone i punti di forza e di debolezza.
Che la chiesa sia una
«teocrazia», è tutto da dimostrare; il termine «teocrazia» indica nella
«teologia biblica» (o storico-esegetica) il particolare governo di Dio nel regno
politico di
Israele mediante i cosiddetti «organi dell’alleanza» (specialmente
sacerdozio, re e capi; secondariamente i profeti). La chiesa non ha un
regno politico sulla terra, non ha una capitale, non ha re politici che la
governino, né sacerdoti levitici che ne amministrino i culti. Perciò,
l’assemblea messianica del NT, pur essendo parte del «regno di Dio», non è una «teocrazia».
Quest’ultima si realizzerà alla fine dei tempi, quando Gesù, l’Unto a Re,
tornerà a regnare e instaurerà il suo regno politico in terra.
▬
Replica 1 (Andrea Artioli): Caro Nicola,
siccome parli di «conduzione» è logico collegare la guida della chiesa con la
guida nel culto di adorazione. Se chi guida una chiesa, non deve guidare il
culto... cosa ci sta a fare??? Tuttavia, sia che si parli dell’uno o dell’altra
questione le due cose sono strettamente collegate. La teocrazia non ha
solo a che vedere con Israele, ma con tutta la nostra vita, le nostre decisioni
e la vita e la conduzione di chiesa. {10-04-2012}
▬
Risposta 2 (Nicola Martella): La «conduzione»
non si limita alla guida dei culti, ma abbraccia l’intera vita della chiesa, che
consiste nel «pasturare» (o pascere) il gregge di Dio. Ciò fu espresso
molto bene dall’apostolo Pietro come segue: «Pascete il gregge di Dio che è
fra voi, non forzatamente, ma volonterosamente secondo Dio; non per un vile
guadagno, ma di buon animo; e non come signoreggiando quelli che vi son toccati
in sorte, ma essendo gli esempi del gregge» (1 Pt 5,2s). Che gli anziani
possano «presenziare» (la «presidenza» non è limitato al culto, ma
all’intera vita della chiesa) ed essere dediti alla predicazione (=
evangelizzazione) e all’insegnamento (= istruzione; 1 Tm 5,17), è vero,
ma questa loro funzione è globale rispetto a tutta la vita della
comunità.
Il termine «teocrazia» fu inventato come termine tecnico all’interno
della «teologia biblica dell’AT» per designare il governo di Dio nel suo popolo
mediante i suoi «organi dell’alleanza». Che tale termine oggi venga usato
impropriamente in senso generico, dipende dal comune destino dei termini
tecnici, quando arrivano nelle mani di chi non ne conosce «l’ambito vitale»
d’origine.
Per l’approfondimento
si vadano in Nicola Martella,
Manuale Teologico dell’Antico Testamento (Punto°A°Croce, Roma
2002), gli articoli: «Organi dell’alleanza», pp. 248s; «Teocrazia», p. 350. Sul
sito si veda l’articolo «Teocrazia»,
che chiarisce bene la questione.
2. {Edoardo
Piacentini}
▲
1. Trovo che
la parte trattata da Nicola Martella sia davvero molto interessante. Egli parla
del governo della comunità locale senza schierarsi per uno dei due modelli
di conduzione delle comunità evangeliche, ma sottolineando i punti di forza e
di debolezza di entrambi; e ciò avviene sebbene egli provenga da una realtà
evangelica, che è a favore della conduzione collegiale, che è quella che viene
insegnata nel Nuovo Testamento... Invito, pertanto, tutti i cari nella
grazia a leggere l’articolo e a commentarlo. Dio ci benedica. {11-04-2012}
2.
L’anziano deve unire, alla conoscenza della verità, la potenza dell’amore.
La verità deve essere associata alla carità. Una conoscenza dottrinale senza
amore è pressoché inutile, così come, d’altra parte, una confessione di amore,
non basata sulla sana verità dottrinale, è pericolosa e anch’essa
inutile. Il servizio che l’anziano deve rendere al Signore, non può
limitarsi alla preparazione di un sermone o di uno studio biblico, ma deve
comprendere anche la cura delle anime preziose, per le quali Gesù è
andato a morire.
I verbi familiari al ministero dell’anziano sono quindi: conoscere,
amare, sorvegliare, esortare, consolare, guidare, insegnare, curare, governare,
servire.
Compito importante degli anziani è verificare la salute spirituale dei membri,
interessandosi della loro crescita nella conoscenza e nella grazia. Egli deve
essere coinvolto nei problemi dei membri della chiesa, deve prendere atto
del fatto che c’è qualcuno che cade nel peccato, che scivola nella mondanità o
nell’egoismo. Essi devono sempre considerare che sono al servizio di Dio, per
cui devono impegnarsi soprattutto ad aiutare il popolo di Dio a progredire
spiritualmente. {13-04-2012}
3. {Enzo
D’Avanzo}
▲
Caro Martella, alcuni principi posti,
provengono dal modello di leadership insegnata da Cristo.
Se applichiamo il modello di leadership, insegnato da Cristo, metteremo
tutti al servizio di tutti e ognuno nel ruolo, che gli compete; e questo
anche perché il campo del Signore è cosi vasto che abbiamo tutti un ruolo.
Le posizioni dei singoli «anziani di paglia», come affermi, sono anch’essi
rafforzabili con gli insegnamenti della leadership adeguati. Ognuno trova poi
ispirazioni in quello, che può essere il suo ruolo, e non sconfina in
altre mansioni.
Il
principio ispiratore del servizio, che i leader devono avere, è il seguente:
amare come Dio, con amore incondizionato e gratuito. Le dinamiche di
questo attaccamento all’amore devono essere poste da una vera e sincera
conversione; poi, non basta essere credenti, ma bisogna essere
santificati, in quanto egli si rivela ai santi. «…il mistero, che è stato
nascosto per tutti i secoli e per tutte le generazioni, ma che ora è stato
manifestato ai suoi santi» (Col 1,26). Se applichiamo la santificazione, noi
santificheremo anche il ruolo; se non siamo santificati, usciamo fuori da
ogni contesto, e il ruolo sarà sempre delegittimato, in quanto esso sarà senza
amore. {11-04-2012}
4. {Mario
Manduzio}
▲
■
Contributo:
Più che di modelli bisogna parlare di qualifiche. Puoi essere il meglio,
ma se la chiesa non lo vede in te, diventa difficile servire; e se servi
nonostante il malcontento, non sei un servo dell’Evangelo, ma un
colonnello di una caserma. {12-04-2012}
▬
Risposta 1 (Nicola Martella): Quindi i
problemi sono
duplici. ▪ 1. Un conduttore non ha le qualifiche (1 Tm 3; Tt 1) e
allora è un «anziano di paglia» e, secondo i casi, o solo la pallida idea di una
guida o, al contrario, un despota autoritario. ▪ 2. Un conduttore ha le
qualifiche, ma i credenti sono poco attenti e spirituali per riconoscerlo,
poiché nella la chiesa ci sono fazioni, carnalità e arbitrio. Il primo problema
è «l’acqua bollente», il secondo è la «brace»; chi vi casca dentro, non ne
uscirà indenne. In tali casi a perderci sono l’opera di Dio, la
testimonianza e i credenti stessi.
▬
Replica (Mario Manduzio): Sono completamente
d’accordo, anche se propendo per la prima tesi. Un anziano qualificato
non sfugge all’attenzione della chiesa, anche se questa non è brillante. Dunque,
nel primo caso, gli «anziani di paglia», per dirla come Lutero, dovrebbero
restituire la chiesa al Signore, che ne è il legittimo capo. Nel secondo
caso, la chiesa settaria non ne riceve un danno, perché comunque ci sono le
qualifiche. In ogni modo, è vero che la testimonianza è sempre minata!
{12-04-2012}
▬
Risposta
2
(Nicola Martella): Comportamenti e decisioni arbitrari dei conduttori o
della chiesa portano
sempre un danno a tutte le parti in causa e all’opera di Dio. Sia
conduttori frustrati per comunità refrattarie e recalcitranti, sia chiese
fustigate da conduttori in veste di addomesticatori portano a disturbi
ecclesiogeni e a lacerazioni. Molti «candelabri» (chiese in Ap 2s) si
sono spenti negli ultimi decenni, anche per tali motivi.
5. {Tony
Diserra}
▲
■
Contributo:
È necessaria una conduzione ecclesiale collegiale, perché tale pluralità
di elementi sottintende un consiglio vicendevole su questioni difficili; ciò
però non è da tutti poterne far parte, per cui ognuno aventi tali qualità avrà
sottoposti altrettanti elementi [= persone, N.d.R.], sui cui far valere le
decisioni del collegio ecclesiale. Sono valide, quindi, tutte e due le
conduzioni. Esattamente le stesse, che troviamo nella Chiesa Romana.
{14-04-2012}
▬
Risposta 1
(Nicola Martella): E ti pareva che Tony Diserra non spuntasse anche qui per
accreditare la chiesa romana? Quest’ultima è proprio l’esempio di una
gerarchia piramidale e di una oligarchia
monocratica. In fondo, è una dittatura religiosa al pari di altre simili
nel mondo, che hanno bisogno di un capo supremo sull’intera religione. Ciò, che
il capo afferma, diventa legge per tutti i seguaci. Certo, la chiesa romana è
proprio l’esempio peggiore di che cosa possa essere una conduzione
monocratica, ossia di un clericalismo piramidale ed esclusivistico. Preferiamo
il sacerdozio universale di tutti i veri credenti e l’autonomia
delle chiese locali, che rendono conto soltanto e direttamente a Dio e che sono
guidate da conduttori reprensibili, attaccati alla sacra Scrittura e, se
sposati, mariti di una sola moglie e padri di figli sottomessi (1 Tm 3; Tt 1).
▬
Replica (Tony Diserra): No, ma ti pareva che
non ti andasse bene anche questo mio commento! Cosa c’è che non va? A me sembra
logico e, infatti, si applica benissimo, poi non parlerei di oligarchia, la
Chiesa Romana ha nello stesso tempo sia il papato regnante, quindi
giustamente piramidale, e sia magisteriale, in quanto i concili, dogmi ecc. ecc.
si discutono tra i vescovi e il papa steso: ecco la conduzione
collegiale. Così anche nella conduzione di chiese particolari, un oggetto lo si
discute tra i vescovi a livello regionale e, poi, col consenso unanime,
s’impone la tematica a tutte le parrocchie del territorio. Così succede
anche all’interno della realtà parrocchiale: vi è un consiglio pastorale
deliberante col consenso del parroco.
Dove non c’è Chiesa
Romana, c’è confusione e anarchia, a parte che su tematiche serie,
riguardanti il credo religioso, ci vuole necessariamente una collegialità
di conduttori eminenti e saggi; perché altrimenti in una chiesa particolare
isolata c’è il pericolo della deriva nello stesso credo unitario e
l’asservimento dei fedeli. Quindi, la collegialità è utile e indispensabile,
qualsiasi sia il credo e la chiesa di appartenenza. {14-04-2012}
▬
Risposta
2
(Nicola Martella): A condurre la chiesa di Gerusalemme c’erano dodici
apostoli, di pari dignità, a cui poi furono associati gli anziani.
Anche quando diversi apostoli andarono in missione, rimasero Pietro, Giovanni e
Giacomo (che apostolo non era), che furono definiti tutti e tre «colonne
della chiesa», coadiuvati da altri anziani. Nel Concilio di Gerusalemme
(At 15) la parola più autorevole fu proprio quella di Giacomo. Alla fine rimase
un collegio di anziani, che comprendeva Giacomo (At 21). Il NT non sa
nulla di una conduzione monocratica e piramidale della chiesa. È
un’invenzione della chiesa post-costantiniana. Si tratta di una deriva
clericale.
Nella chiesa romana si confida sul magistero papale, nelle chiese evangeliche
si confida sulla sacra Scrittura e sulla guida dello Spirito Santo. Sacra
Scrittura e Spirito Santo sono sufficienti per far discernere
localmente ai conduttori e alla chiesa la verità dall’errore, senza necessità di
filtri clericali né di imposizioni gerarchiche.
6. {Barbara
Besola}
▲
■
Contributo:
Come già esposto da te, sia la conduzione monocratica che collegiale hanno
punti di forza e debolezza. Penso che ognuno di noi preferisca una o l’altra
in base alle esperienze, che ha vissuto nell’ambito della propria comunità. Io
spero che le varie assemblee non decidano a «tavolino» l’una o l’altra forma di
conduzione, ma scelgano in base alle direttive, che il Signore ci ha lasciato
tramite la Scrittura.
Decidere a priori quale conduzione sia migliore per una comunità, non è
sicuramente una cosa sana. Se si vuole per forza una conduzione collegiale,
quando all’interno della chiesa locale non ci sono vari fratelli, che hanno i
requisiti biblici, i danni che possono derivare sono enormi.
Non sono d’accordo con Enzo D’Avanzo, quando dice che gli «anziani di paglia»
sono rafforzabili con gli insegnamenti adeguati. Un anziano di paglia non
dovrebbe assolutamente guidare una chiesa.
Penso che ogni comunità dovrebbe riunirsi periodicamente per accertarsi
di essere nella posizione, che Dio ha scelto per essa. Dopo anche solo un anno
di conduzione, di una o dell’altra forma, ci possono essere stati cambiamenti,
per esempio: fratelli, che sono cresciuti spiritualmente e che hanno le
qualifiche di conduttori; rinuncia della conduzione da parte di anziani per
motivi personali; sopravvenuta morte o cambi di residenza di anziani; peccati o
quant’altro abbiano in qualche modo destabilizzato la situazione iniziale. Per
tutto questo si necessita sicuramente di una riunione, che possa portare anche a
un
cambiamento nella conduzione e farla passare da collegiale a monocratica o
viceversa. Credo, quindi che sia indispensabile guardare alla qualità
prima che alla quantità, riconoscendo solo chi, all’interno della chiesa locale,
abbia i requisiti, che indica la Scrittura. Il Signore ti benedica grandemente.
{21-04-2010}
▬
Risposta (Nicola Martella): Faccio notare
che si possa protendere per una conduzione collegiale, anche laddove, al
momento, si ha un solo conduttore, poiché altri credenti non hanno ancora le
qualità richieste. Chi ha tale obiettivo, può lavorare in tale direzione.
Intanto, tale conduttore, che ha le qualità richieste, si incontra regolarmente
con gli eventuali collaboratori (diaconi, ecc.), con cui forma il «consiglio di
chiesa».
Nelle chiese, in cui sono stato coinvolto nella formazione, abbiamo introdotto
una verifica
obbligatoria per conduttori e collaboratori già esistenti ogni 4-5 anni. Altri
conduttori e collaboratori si possono aggiungere anche durante tali scadenze;
essi sono pro tempore per un anno, poi vengono valutati dalla chiesa.
7. {Gianfanco
Bruera}
▲
■
Contributo:
Concordo che l’esistenza di un anziano facente poche funzioni, soltanto di
supporto a un altro, potrebbe essere un ostacolo al vero pluralismo nella
conduzione. In situazioni patologiche, l’anziano «principale» potrebbe usare la
circostanza, che esistono altri anziani, come copertura per le sue scelte,
mentre di fatto è solo lui che prende le decisioni.
La questione del pluralismo richiama quella di come riconoscerne le
qualità e i requisiti. Se la Scrittura ci dà indicazioni in entrambi i sensi
circa il numero, e se un anziano singolo può essere accettabile per un periodo
più o meno lungo, non altrettanto abbondanti sono le prescrizioni sulle
modalità di scelta. Nella mia esperienza ho sentito spesso affermare che,
essendo il Signore a istituire gli anziani, la valutazione della «base»
(dei credenti), aventi diversi livelli di maturità spirituale, potrebbe essere
non necessaria o addirittura fuorviante rispetto all’indirizzo voluto dal
Signore. Mi sembra chiaro però che nella verifica dei requisiti e le qualità, i
membri della assemblea hanno un ruolo importante e anche una
responsabilità
di fronte al Signore.
Quando Paolo istruì Timoteo su come scegliere gli anziani, pose la
reputazione tra i requisiti. Ciò significa che non poteva, Timoteo,
prescindere da quanto si pensava e diceva sul futuro anziano, pur dovendo
egli stesso valutare una serie di qualità. La buona reputazione, di cui deve
godere l’anziano, valorizza il ruolo di osservatore e giudice dei requisiti, che
ogni credente deve avere rispetto a chi conduce. Reputazione è ciò che altri
credono, ciò che altri pensano. Questi altri devono essere solo «quelli di
fuori» o anche i credenti? Mi pare logico che i primi controllori della
reputazione, riferita ai requisiti cosiddetti morali dell’anziano, debbano
essere i membri di chiesa. Essi, la «base», devono vigilare attentamente
sulle vite dei conduttori. La vigilanza su di loro non esclude o indebolisce la
sottomissione e nemmeno il rapporto fiduciario nei loro confronti.
Mi sembra chiaro, quindi, che la chiesa, in qualche modo, periodicamente debba
guardarsi dentro e fare l’operazione di verifica dei requisiti. La
necessità è ancora più presente, quando l’anziano di diritto o di fatto è unico.
Osservo realtà ecclesiali in sofferenza per la presenza di anziani dalla
forte personalità, che si sentono investiti a vita dallo Spirito Santo, che
rifiutano di ascoltare quanto altri pensano su di loro, che non vedono altri,
che possano affiancarli, se non persone strettamente vicine a sé.
La differenza tra una assemblea con un anziano unico, che si
auto-legittima, e una con un anziano unico appoggiato e approvato dalla base è
la stessa che passa tra una setta e una chiesa locale in senso biblico. Quindi,
il mio pensiero è il seguente: l’anziano unico sì, possibilmente per breve
tempo, con spirito di vigilanza dei credenti raddoppiato per il periodo di
conduzione monocratica, e con la prospettiva di superare tale situazione con il
riconoscimento di nuovi anziani. {22-04-2012}
▬
Risposta (Nicola Martella): Concordo
ampiamente con il discorso generale e con i singoli punti. Quelli, che io chiamo
«conduttori di paglia» (ossia solo di distintivo, non di qualità), sono
in genere un danno per la chiesa locale e un freno ai conduttori
con qualità, poiché spiritualizzano la loro carne e le loro scelte carnali e,
mancando di discernimento, saggezza e visione dell’opera, ingrandiscono cose
secondarie, tralasciando di fare le cose principali.
L’altro aspetto, che qui emerge, è che «conduttori despotici» (con forte
personalità e amanti del potere) si circondano volentieri di «conduttori di
paglia», per così avere il ruolo di prima della classe e per poter imporre le
sue tesi e decisioni mediante un’abile manipolazione retorica e dialettica.
Chiaramente, anch’essi sono un danno per la chiesa locale e un
impedimento che vengano riconosciuti conduttori con vere qualità bibliche.
8. {Luca
Matranga}
▲
1. La conduzione
monocratica
■ Nella conduzione piramidale, a mio avviso, vi sono più criticità di
quante ve ne siano in quella collegiale. Infatti, nella conduzione piramidale
vengono fuori diverse problematiche, una fra tutte è proprio la famiglia del
conduttore.
Se è vero che la famiglia del conduttore è di solito quella più impegnata
e presa dal ministero per tanti motivi (e secondo me questo va sottolineato come
pregio), questo non significa automaticamente che tutti i posti chiave di una
chiesa debbano essere affidati sempre e solo a dei membri della famiglia di un
conduttore.
In genere, in una chiesa così governata, i membri della famiglia del conduttore
iniziano, man mano che crescono, a prendere posti di responsabilità sempre più
ampia; al contrario coloro, che li avevano prima, di solito sono messi da parte
o «affiancati» dai nuovi arrivati.
Questa «familiarità» è, secondo me, uno dei problemi, che insidia una chiesa con
conduzione monocratica.
■ Il secondo problema riguarda la stabilità del conduttore: fino a che il
conduttore è stabile e credibile, allora un tipo di chiesa del genere prospera,
ma quando il conduttore di questo tipo di chiesa cade, allora il gregge viene
più facilmente disperso e confuso.
■ Il terzo problema è la forza della leadership. Infatti, se il
conduttore opera con una forte leadership (mano «pesante»), allora succede che
il conduttore si trasforma nel «padre-padrone» della chiesa; viceversa se la
leadership è troppo debole, ognuno fa quello che vuole, e regna il caos.
■ Un’altro problema è quello dottrinale. Se il conduttore prende degli
abbagli dottrinali (e sappiamo che il ministero del pastore è diverso da
quello del dottore, quindi soprattutto in un pastorato «forte» è più facile che
le scelte dottrinali siano guidate da preferenze personali, o situazioni non
ascrivibili a una esegesi molto netta e puntuale), allora è più facile che tutta
l’assemblea vada alla deriva, o che i membri dotati di maggior acume dottrinale
«fuggano» da essa.
■ Altro problema è la mole di decisioni e di problematiche, che
gravano inevitabilmente sulle spalle di un solo uomo, che inevitabilmente lo
stressano oltremodo. E poi c’è la scelta degli «anziani» (che in questo
tipo di chiesa non sono altro che strumenti nelle mani del conduttore,
altrimenti vengono rimossi da tale carica), che viene fatta soprattutto in base
alla fedeltà al conduttore, per rafforzarne la leadership e per avere appoggi di
qualsiasi tipo (persone influenti, persone con molto seguito in chiesa, ecc.
ecc.).
2. La conduzione
collegiale
D’altro canto la conduzione collegiale della chiesa, porta come carico il fatto
che bisogna
mettere d’accordo più teste; questo è possibile se tutti guardano di pari
consentimento alla crescita della chiesa, e se tutti sono onesti nei loro
motivi. Ognuno ha il suo ambito di responsabilità, e ognuno può prendere
decisioni, sentendo il parere degli altri. Il pericolo è che nel gruppo
dei conduttori uno diventi «primus inter pares» (la frase latina
significa «primo tra pari», ed è riferita soprattutto alla posizione del papa
cattolico rispetto ai suoi cardinali); e in pratica il sistema collegiale,
diventi a tutti gli effetti un sistema piramidale con una finta cerchia
collegiale, che aiuta il «dominus» a rimanere saldo al suo posto.
Il sistema collegiale segue la debolezza della catena: una catena non può
essere più forte del suo anello più debole; e quindi nel sistema collegiale
bisogna che le persone, che fanno parte del collegio degli anziani, siano tutte
più o meno allo
stesso livello. Se arrivasse una persona più straordinaria delle
altre, in un sistema collegiale questo porterebbe poco o nessun beneficio, a
meno che gli altri non lo riconoscessero, e la struttura si trasformasse in una
struttura piramidale pseudo-collegiale.
Credo che alla fine qualsiasi sistema si utilizzi, la cosa più importante è
quella di avere a cuore il Mandato di Cristo, solo questo può far tornare
dei puzzle così variegati. Avere sempre bene a mente il perché, aiuta a capire
il come.
9. {Nicola
Martella}
▲
Ho strutturato un
po’ il contributo precedente, che apprezzo. È sempre una soddisfazione leggere
le riflessioni di coloro, che accettano la provocazione intellettuale di
uno scritto, per aggiungere le loro riflessioni o altri aspetti. Ciò diventa un
arricchimento per tutti. In questo tema di discussione ho visto diversi
tentativi in questa direzione.
Faccio, qui di seguito, qualche osservazione al contributo precedente.
Giustamente, ambedue i sistemi (e quelli intermedi) posseggono delle
criticità, di cui rendersi conto.
1. La conduzione
monocratica
Quando la chiesa diventa una faccenda di famiglia, allora essa diventa
un’azienda a conduzione familiare, allontanandosi visibilmente dall’assemblea
del Signore e dalla famiglia di Dio. In certi casi, la fedeltà alla «famiglia»
prende i contorni di altre «famiglie», ad esempio di quelle filo-mafiose. La
cosa tragica è che le «chiese di famiglia», prima o poi ne producono altre
simili, o per moltiplicazione (il capoclan mette i suoi famigliari a capo
delle nuove strutture) o per spaccatura (dei famigliari stessi o di altri, che
non trovano sufficiente spazio).
In tale clima aziendale il conduttore monocratico si trasforma facilmente in
capoazienda
o in domatore supremo, che impone la sua forte leadership. Egli, come un
piccolo «papa» dà semplicemente ordini ai suoi «cardinali» e così via
all’interno della «catena di comando». La chiesa locale prende i contorni
di una caserma o di una corte principesca. Allora il conduttore supremo fa
valere il suo arbitrio: può fare il bello o il cattivo tempo, imporre
questa o quella dottrina, uscire da un movimento e associarsi a un altro, che
gli dà più soddisfazione e visibilità.
2. La conduzione
collegiale
Sono state mostrate anche le sue criticità. Faccio notare qui soltanto alcune
cose. Se c’è un sistema di verifiche periodiche della conduzione da parte
della chiesa, si può far smontare da cavallo sia gli «anziani di paglia», sia
coloro che vorrebbero essere «papi a vita».
Nella diversità dei carismi è immancabile che qualcuno dei conduttori abbia il
dono di
kybérnēsis «arte di guidare o di pilotare», come fa il timoniere (At
27,11; Ap 18,17; cfr. cibernetica). Vengono menzionati
i «doni di governo» (1 Cor 12,28),
ossia l’arte di guidare la chiesa (non solo i culti). È immancabile che chi ha
tale dono più spiccato degli altri, dia impulsi positivi anche all’interno del
consiglio dei conduttori; dipende però dalla sua intelligenza e umiltà di
servire con tale carisma, invece di servirsene per mire personali. Infatti,
anche gli altri conduttori avranno i loro punti di forza in altri settori, e la
somma di tali «eccellenze» rendono il sistema ecclesiale ancora più stabile e
forte.
L’immagine della catena è lampante, specialmente riguardo all’anello più
debole. Tuttavia, laddove si fa un lavoro di squadra, il peso viene dislocato
sull’intera catena e anche l’anello più debole può essere forte e rafforzarsi,
si spera, sempre più. Chiaramente è meglio essere un ottimo collaboratore che un
pessimo conduttore.
Inoltre, non è necessario che tutti i conduttori siano più o meno allo stesso
livello. Più importante è che siano alleati e in sinergia, consci ognuno
delle proprie potenzialità e dei propri limiti. L’omogeneità non garantisce la
qualità.
Se tra i conduttori ci fosse (o arrivasse) una persona più straordinaria
delle altre, ciò non dev’essere un limite, ma può essere la chance di innalzare
il livello delle altre guide. Anche persone straordinarie in qualcosa hanno le
loro debolezze o lacune in altre cose. Tutto dipende dall’atteggiamento mentale
e spirituale di ognuno dei conduttori, se i loro talenti saranno usati come
risorsa comune o come strumento per far emergere se stesso e contrastare gli
altri.
10. {}
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11. {}
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12. {Autori
vari}
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Pietro Calenzo: La
conduzione collegiale, è scritturale, Paolo ordina in ATTI, che si
stabiliscano degli anziani per ogni assemblea. {10-04-2012}
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Andrea Diprose: Buona
lettura, che ognuno tragga le sue conclusioni ma che siano bibliche.
{11-04-2012}
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Osservazioni
(Nicola Martella): E le tue, Andrea?
▬
Replica (Andrea Diprose): Le mie conclusioni
sono che i pregi e difetti delle conduzioni sia monocratiche sia collegiali, da
te esposte, corrispondono alla realtà. {11-04-2012}
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Eliseo Paterniti: Sembra che
negli ultimi tempi si sta parlando spesso riguardo a questo tema. Vi riporto
pure a un mio punto di vista in merito a questo tema. «La
forma di governo o gestione piramidale di una società è illegale!».
{12-04-2012}
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Conduz_NT_oggi_Avv.htm
12-04-2011; Aggiornamento: 24-04-2012 |