La lettrice prende qui l’occasione scaturita
dalla lettura dell’articolo «Onora
tuo padre e tua madre», per presentare un aspetto particolare
e drammatico della sua esistenza: l'abuso sessuale vissuto in famiglia e
che l'ha straziata per due decenni della sua esistenza. Il seguente contributo
avrebbe potuto trovare posto all’interno del tema di discussione «Onora
padre e madre? Parliamone», ma a causa della sua
specificità abbiamo preferito metterlo extra. |
1. La questione della lettrice
▲
Caro fratello nel
Signore, oggi per caso ho letto l’invito alla lettura dell’articolo su onorare
padre e madre.
Ascolta, io purtroppo devo dirti una cosa brutta: io sono stata maltrattata
tanto da mio padre; avevo 4 anni, quando lui mi ha fatto una cosa brutta, la più
brutta che si possa fare a una donna, figurati a una bambina. Mia madre è sempre
stata complice. Mio padre ha continuato a farmi questa cosa da quando avevo 4
anni a 23 anni e mi picchiava pure. [►
3.]
Io sono riuscita a perdonarlo, ma dopo tantissimo tempo. Lui continua a negare.
Intanto il carcere se l’è fatto. Nella Bibbia c’è scritto: guai a chi
scandalizza i piccoli perché «sarebbe meglio per lui che gli fosse messa al
collo una macina da mulino, e fosse gettato in mare» [Marco 18,6]. Una
domanda: questo passo vale anche per quelli come mio padre? {Agata Templare,
ps.; 3 dicembre 2008}
2. La risposta ▲
La
triste situazione di questa lettrice
è scaturita da un lungo tempo di prevaricazioni,
vessazioni e abusi da parte del genitore. Ella dichiara il suo dramma umano,
senza riuscire a chiamare le cose per nome. Tanto devono essere profonde le
ferite o le cicatrici nel suo animo, che parla solo di questo: «maltrattata», «una
cosa brutta, la più brutta», «questa cosa», oltre a «mi picchiava», senza mai
parlare di quello che è stato, ad esempio: «Mio padre ha abusato di me».
Perché nella mente e nei sentimenti di Agata ci sia una piena guarigione
interiore, se già non è avvenuta, lei deve mettere a nudo tutto il pus
che si è incapsulato sotto le cicatrici. Le ragazze vittime di abusi incestuosi
tendono in genere stranamente a scusare i loro aguzzini e a proteggerli. Il
pericolo è che una tale vittima di un abuso, lenisca d’olio le cicatrici, mentre
il pus si accumula in sacche interne, per poi esplodere con violenza, quando
meno ce lo si aspetti. Il primo passo in direzione di una guarigione interiore è
di chiamare le cose per nome e dichiararle a se stessa, ad esempio:
■ Mio padre ha abusato di me.
■ Mio padre mi ha vessata, mi ha violata e mi ha aggiogata con la violenza.
■ Mio padre mi ha rubato la mia infanzia, la mia adolescenza e la mia gioventù.
■ Mia madre, invece di essere mia tutrice e alleata, è stata complice
dell’aguzzino di mio padre.
■ Mio padre è colpevole, poiché da mio debole protettore si è trasformato in mio
seduttore e carnefice.
■ Mia madre è colpevole, poiché con la sua accondiscendenza ha permesso che io
sia stata straziata da chi avrebbe dovuto darmi la guida morale.
Solo a questo punto
si può concepire in se stessi la prontezza al perdono. Quest’ultimo ha
due aspetti: la prontezza a darlo e la disponibilità a chiederlo e riceverlo. È
vero che «l’amore copre moltitudine di peccati» (1 Pt 4,8) e che ci viene
richiesto di perdonare «di cuore al proprio fratello» (Mt 18,35), ma
perché ciò avvenga, ci dev’essere disponibilità a confessare le proprie colpe e
a ristabilire l’onore della parte offesa (Lc 17,3s). Chi nega la sua colpa, non
potrà ricevere il perdono. «Chi copre le sue trasgressioni non prospererà, ma
chi le confessa e le abbandona otterrà misericordia» (Pr 28,13). Chiaramente
si può esercitare la misericordia e l’amore addirittura verso i propri nemici,
sebbene essi odino i credenti e addirittura li perseguitino (Mt 5,44; Lc 6,27).
Ciò non significa però che tutti i problemi siano risolti, che si possa avere
piena comunione con loro; significa rinunciare alla rappresaglia e fare loro del
bene per amore del Signore.
Dove non c’è
disponibilità al ravvedimento, al pentimento e riconoscere il proprio
peccato, anche le eventuali richieste dei credenti, rivolte a Dio, di non
imputare al colpevole tale peccato, non sempre vengono ascoltate al Signore.
Stefano fece così verso i Giudei che lo mettevano a morte (At 7,60), e ciò
mostra nobiltà d’animo e che l’amore di Dio era compiuto in lui. Similmente
pregò anche Gesù, come riportano alcuni antichi manoscritti (Lc 23,34). Il
giudizio di Dio contro quella generazione si adempì comunque nel 70 d.C. (cfr.
Lc 23,28ss).
Il pieno perdono implica non solo il condono delle colpe, ma anche il
ristabilimento di una piena comunione. La dinamica del perdono implica
quanto segue: «Se diciamo d’esser senza peccato, inganniamo noi stessi, e la
verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, Egli è fedele e giusto da
rimetterci i peccati e purificarci da ogni iniquità. Se diciamo di non aver
peccato, lo facciamo bugiardo, e la sua parola non è in noi» (1 Gv 1,8ss).
Perciò solo quando un padre incestuoso si ravvede, si pente, chiede perdono a
Dio e alla persona offesa, otterrà misericordia dinanzi a Dio e i rapporti umani
tra passato carnefice e vittima potranno finalmente guarire.
È una cosa estremamente positiva che Agata abbia trovato rifugio,
protezione e soccorso presso Dio. Egli non mancherà di purificarla da tutto
l’eventuale pus che si annida sotto le cicatrici e di guarirla.
Guai però a chi ha messo una trappola dinanzi a una tenera anima, che
egli doveva difendere. Gesù ha detto: «Chi avrà scandalizzato uno di questi
piccoli che credono in me, meglio per lui sarebbe che gli fosse appesa al collo
una macina da mulino e fosse sommerso nel fondo del mare… guai all’uomo per cui
lo scandalo avviene!»(Mt 18,6s). Scandalizzare significa appunto mettere un
minore dinanzi a una trappola, di cui non s’avvede, seducendolo al male come un
falso maestro. Ciò avviene ad esempio con un adulto dalle tendenze pedofile, che
adesca e seduce un minore. Se quell’uomo, «per cui lo scandalo avviene»,
è un parente, la situazione è ancora peggiore; figuriamoci poi se è il genitore.
Come anche mostra la logica dei versi, che seguono (vv. 8s), per un tale uomo
sarebbe stato meglio morire prima in mare con una pietra al collo che fare tali
atti.
Non sta a me giudicare (né scusare) il padre di Agata. È probabile che alcuni di
noi avrebbero potuto trovarsi al suo posto, vista la corruzione morale
della società e di certi particolari ambienti. Se io fossi al suo posto,
supplicherei Dio di avere pietà di me, di creare in me un sincero pentimento, di
completo ravvedimento e una piena conversione; gli chiederei di perdonarmi, di
purificarmi e di rinnovarmi, disponendomi ad accettare anche la giusta pena per
i miei atti, pur di salvare l’anima mia dalla condanna eterna. Se io fossi al
suo posto, vorrei anche avere la prontezza e la forza di chiedere perdono a chi
avrei sedotto al male e di chi avrei abusato, chiedendole pure che cosa potrei
fare per riparare, se mai è possibile, almeno un po’, al danno fatto. In tali
casi si può solo sperare che ciò avvenga, come ha affermato anche Paolo, «ho
annunziato che si ravvedano e si convertano a Dio, facendo opere degne del
ravvedimento» At 26,20).
Per l’approfondimento:
Sull’abuso sessuale sui minori si vedano in Nicola Martella,
Disturbi e abusi.
Sesso & Affini 3 (Punto°A°Croce, Roma 1998), tra altri, i seguenti
articoli:
■ L'incesto, pp. 305ss
■ Il «para-incesto», pp.
321ss
■ Mamme e parenti
incestuosi, pp. 326ss
■ L'incesto: aspetti
biblici e pastorali, pp. 331ss |
3. {Una storia in sintesi}
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La storia che
Agata, su mia richiesta, mi ha raccontato dettagliatamente, la sintetizzo
qui di seguito. È la storia di una famiglia con un incredibile degrado sociale e
squallore morale. Il padre abusava continuamente di lei e la picchiava
brutalmente. La madre, succube di lui, invece di crederle e di intervenire, la
picchiava a sua volta, nutrendo una sorta di odio per la figlia. Neppure le
gravi malattie che subentrarono nella ragazza e che la portarono in ospedale,
impedirono all’uomo di proseguire nel suo malaffare, appena lei guariva.
L’intervento dei servizi sociali e delle autorità non avvenne dapprima per
denuncia di uno dei numerosi figli, ma per intuizione, approfondimento e
iniziativa da parte di un medico, quando l’ottavo e ultimo figlio, che era
traumatizzato dalla situazione, recuperando la facoltà di parlare, raccontò la
situazione alla psicologa. Poi venne il turno di una sorella allora sedicenne,
dopo che la mamma non volle ascoltarla di salvare i suoi figli, uscendo con loro
di casa. Ambedue furono tolti alla famiglia. La situazione peggiorò per Agata,
che venne vessata al punto che cominciarono attacchi epilettici, e fu ricoverata
in ospedale. Poi al padre fu tolta la patria podestà. Dopo l’ultima volta che
Agata fu picchiata dalla madre, venne messa dalle autorità in istituto, passò a
una comunità e a una casa famiglia. Qui fu trattata come una schiava e, per
poter avere il permesso di frequentare la chiesa evangelica, fu costretta ad
assoggettarsi a tanto.
L’unico sostegno di Agata nella sua infanzia era la fede nel Signore. Da grande,
quando abbandonò la sua famiglia, furono i fratelli in fede a darle sostegno
morale e spirituale. Poi conobbe un uomo credente, con cui si sposò.
Agata ha cercato di recuperare la sua famiglia, specialmente i suoi genitori.
Lei scrive: «Io davanti a Dio ho perdonato mio padre, grazie anche a mio marito,
ma il problema è che lui continua a negare tutto». Dopo che lui cercò di mettere
Agata contro il marito, questi ultimi decisero di non cercarlo più. Lei scrive:
«Io avevo deciso di cercarlo, perché volevo vedere mia madre, ma lui non vuole
farmela vedere naturalmente, continua a negare tutto. Solo Dio può cambiarlo. Io
continuerò a pregare per lui».
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Bambini abusati - virgulti calpestati
{Nicola Martella (con Gianfranco Giuni)} (A)
►
L’abuso sessuale infantile e le sue conseguenze
{Grazia Maria Costa} (A)
►
Padri incestuosi? Parliamone
{Nicola Martella} (T)
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Padri con figlie adolescenti
{Nicola Martella} (T)
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Padri_incestuosi_EnB.htm
04-12-2008; Aggiornamento: 04-02-2009
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