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1.
{Lucia Nillo} ▲
Sono studentessa di Mediazione linguistica e culturale (nuova denominazione del
corso di studi Traduzione e Interpretariato) all’università «L’Orientale» di
Napoli, e sono una credente per scelta e rivelazione; dopo molti anni ho deciso
di definirmi semplicemente cristiana, dopo aver toccato con mano le varie
contraddizioni delle religioni che ho conosciuto e approfondito, anche se non
precludo alcuna svolta al mio percorso spirituale, perché credo che sarà Dio a
guidarlo. Mi auguro che da questa premessa risulti abbastanza chiaro che ho
avuto la grazia di diventare una coscienza critica.
[…] Su «Fede controcorrente» ho letto l’articolo su
traduzioni e traduttori, e c’è un’affermazione che non condivido: «Siamo
pronti a criticare i Testimoni di Geova quando manipolano la traduzione della
Bibbia per giustificare le proprie dottrine, ma qui gli evangelici si sono
comportati né più né meno come i Testimoni di Geova hanno fatto con altri brani
della Bibbia! Questo purtroppo non è l’unico caso».
Quest’affermazione è stato il risultato dell’analisi
fatta sul versetto 27 del capitolo 9 del libro di Daniele, in merito al quale
l’autore accusa i traduttori della Nuova Riveduta d’aver introdotto un nome che
non c’era nel testo ebraico. Poco prima però lei stesso ha affermato che nemmeno
il pronome personale «Egli» ha senso come soggetto della frase, perché «il
termine «capo» è in una posizione subordinata ed è molto improbabile che questa
parola possa essere il soggetto del v. 27, dato che non è soggetto neanche del
v. 26».
Per quale motivo l’autore ha posto la luce sul
«sacrilegio» commesso nella Nuova Riveduta e non sull’errore di tutte le altre
traduzioni? Quale influenza della cultura e della società ha intravisto lui in
questa sostituzione che ha chiamato manipolazione?
Riporto di seguito una citazione tratta dal mio manuale
di traduzione, sulla base del cui studio oso porre all’autore queste domande:
«Chiunque
sia, l’autore dell’Antico Testamento ha usato una lingua scritta che non notava
le vocali (ciò vale, tra l’altro, anche per i primi testi coranici); che non
indicava il raddoppiamento consonantico, né ovviamente le maiuscole (come tutte
le scritture semitiche); che non sempre separava le frasi e talvolta neppure le
singole parole. In siffatti originali, scommettere su una combinazione di vocali
o su un’altra, con esiti che modificavano radicalmente la parola e il suo
significato, diveniva un atto di congettura basata sul contesto. (...) È chiaro
, insomma, che, dove esistono testi, esistono interpretazioni ed esiste
fallibilità e che ogni forma di rimaneggiamento d’un testo è soggetta a limiti
umani». [L. Salmon,
Teoria della Traduzione (A. Vallardi
Editore, Milano 2005).]
In virtù di ciò che sto imparando, mi chiedo come possa
accusare l’autore il traduttore della Nuova Riveduta (spero che si riferisse a
lui quando ha utilizzato generalizzando l’espressione «gli evangelici») d’aver
manipolato il Testo Biblico, introducendo un nome al posto d’un pronome, e mi
domando inoltre se egli non abbia mai trovato simili casi di «manipolazione»
nelle traduzioni cattoliche, cosa di cui dubito fortemente perché è impossibile
tradurre la Bibbia in maniera letterale, perché il risultato non avrebbe alcun
senso in italiano, e qualsiasi riadattamento può essere tacciato di
manipolazione o d’interpretazione dal momento che «la
fedeltà a un livello implica l’infedeltà a un altro: il calco semantico preclude
la funzionalità sintattica, il calco sintattico non rispetta il registro, (...)
e così via». [Ibidem.]
2.
{Argentino Quintavalle} ▲
Premessa indispensabile
Grazie siano rese a Dio che Diodati ha tradotto la
Bibbia in lingua italiana. Grazie siano rese anche a coloro che dopo di lui
hanno reso la traduzione in un italiano più moderno. Se Dio vorrà a Ottobre 2007
terrò a Civitanova Marche, in occasione del quarto centenario della Bibbia di
Diodati, quattro giorni d’esposizione pubblica di tale Bibbia, alla quale
affiancherò una Vulgata. Il messaggio sarà chiaro: se avessimo aspettato la
chiesa cattolica per leggere la Bibbia avremmo tutti dovuto conoscere il latino!
Siano rese grazie a Dio anche perché ci ha messo in
cuore l’idea di poter fare sempre meglio: «Chi è santo, si santifichi ancora»
(Ap 22,11).
Le questioni di base
Detto questo, parlando non da semplice lettore, ma da
studioso che vuol cercare il meglio, noto che anche noi evangelici abbiamo
commesso degli errori che abbiamo criticato in altre confessioni religiose. Fare
autocritica non significa accusare di sacrilegio questo o quel traduttore, ma
significa volere il proprio bene. Il Signore Gesù non ha forse insegnato che se
la tua mano ti fa peccare, è meglio per te mozzarla? Non significa forse questo
esercitare autocritica verso se stessi? E il Signore Gesù non dice forse che
questo è bene?
L’articolo che scrissi e al quale Nicola ha collaborato
aveva come obiettivo quello di mettere in guardia (fare autocritica) riguardo a
due problemi tra loro collegati: 1) La cultura e la società in cui viviamo
influenzano l’interpretazione biblica. 2) L’interpretazione biblica influenza la
traduzione stessa della Bibbia.
Osservazioni alle questioni sollevate
Io ho portato come esempio Daniele 9,27 che — ma ciò è
molto soggettivo — mi ha colpito in modo particolare; qualcun altro avrebbe
potuto portare un esempio diverso dal mio. È un classico esempio di come si
vuole dare credito a un modello interpretativo piuttosto che a un altro. Come ho
scritto nell’articolo questo non è un semplice errore di traduzione, ma è una
alterazione del testo biblico. La Diodati e la Riveduta non erano arrivate a
tanto, ma s’erano limitate a riportare il pronome «Egli», lasciando spazio alle
oneste interpretazioni dei lettori a chi si riferisse.
Il testo ebraico legge: wehigbîr
berît
«e confermerà un patto». Il testo non parla d’un «invasore»!
L’espressione ebraica è poco comune; in genere viene interpretata nel senso di «fare
un patto». Tale interpretazione, però, è inesatta, poiché in contrasto con
il termine ebraico che può significare solo «far sì che un patto prevalga» o
«rendere un patto stabile». In altre parole, il patto viene confermato,
non fatto.
Chi è che conferma questo patto? È il nāgîd
(principe) del verso precedente. Nell’Antico Testamento il nāgîd
indica ora la dignità regale (2 Cr 11,22), ora il comando militare (1 Cr 13,1),
ora la sovrintendenza in ambito amministrativo (1 Cr 26,24; 2 Cr 28,7). Al di là
di questi usi profani, però, il termine è adoperato con una connotazione
religiosa per designare l’eletto di Jahwè che condurrà il suo popolo (1 Sm
9,16), e con un senso più strettamente religioso per indicare il sacerdote (1 Cr
9,11). In questi casi nāgîd è posto in relazione con un
ufficio particolare, di cui Dio investe un uomo da lui scelto, mediante il rito
dell’unzione. Continuare lo studio su questa parola mi porterebbe troppo
lontano, mi limito solo a dire che essa mette in luce l’idea d’una investitura
sacra conferita da Dio a uomini scelti per svolgere un compito che aveva un alto
significato religioso, accentuato dalla consacrazione mediante l’unzione. Is
55,4 applica il titolo di nāgîd al re Davide come tipo del
Messia.
Sono disposto però a concedere che mi sto sbagliando,
che c’è qualcosa nel mio ragionamento che inconsapevolmente mi sta portando
fuori strada. Resta comunque il fatto che nel testo non c’è la parola
invasore! Metterla significa voler guidare il lettore a un certo tipo
d’interpretazione. E questo è male non solo quando lo fanno i Testimoni di
Geova, ma anche quando lo fanno gli Evangelici.
L’influenza della cultura e della società che ha
portato questa sostituzione è la convinzione teologica sorta nel 19° sec.,
secondo la chiesa verrà rapita in cielo sette anni prima del ritorno del
Signore in giudizio, e i sette anni inizieranno con un patto di pace che
l’Anticristo farà con Israele. Naturalmente non tutti sono d’accordo, ma i
traduttori della Nuova Riveduta hanno voluto identificare il soggetto di Dn 9,27
con l’Anticristo (l’invasore). Io non ho voluto criticare questa interpretazione
biblica, sebbene abbia qualche dubbio in proposito, ma ho voluto far notare come
una certa convinzione teologica possa influenzare la traduzione della Parola di
Dio.
Nota redazionale: Per l’approfondimento cfr. Bernardo Oxenham - Nicola
Martella, «Il rapimento dei credenti», in Nicola Martella (a cura di),
Escatologia biblica essenziale.
Escatologia 1 (Punto°A°Croce, Roma 2007), pp. 224-233. Cfr. qui degli stessi
autori l’articolo «La tribolazione», pp. 246-269. Sulle diverse posizioni
riguardo agli eventi escatologici (premillenarismo storico, amillenarismo,
postmillenarismo, dispensazionalismo) cfr. pp. 25-78.
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Per
quanto riguarda il suo testo di traduzione non sono affatto d’accordo laddove
recita: «In siffatti originali, scommettere su una combinazione di vocali o su
un’altra, con esiti che modificavano radicalmente la parola e il suo
significato, diveniva un atto di congettura basata sul contesto». Infatti, la
combinazione di vocali, e quindi il significato del testo, non è stato lasciato
all’arbitrio umano, ma è stato tramandato da Israele, poiché «a loro furono
affidati gli oracoli di Dio» (Rm 3,2). Ai tempi di Gesù si leggeva il testo
ebraico correttamente, non secondo congetture, anche se non c’erano le vocali
scritte e la punteggiatura. I rotoli della Bibbia a uso della sinagoga sono
ancora oggi scritti rigorosamente senza vocali, eppure gli ebrei li leggono
senza alcun problema.
Le altre questioni
Per quanto riguarda le Bibbie cattoliche,
sicuramente ci sono errori anche lì, ma non è il mio sport preferito andarli a
trovare, specialmente alla luce del fatto che ancora nel 19° secolo i chierici e
i loro accoliti si divertivano a bruciare pubblicamente le Bibbie evangeliche.
Per il resto, preghiamo che il Signore susciti, prima
del suo ritorno, una o più persone bilingue (italiano/ebraico) con inoltre una
buona conoscenza del greco, per una traduzione aggiornata della Bibbia (in
inglese già è stato fatto). In attesa andiamo avanti con quelle che abbiamo,
ringraziando Dio di quello che abbiamo.
3.
{Lucia Nillo} ▲
Caro sig. Martella, ringrazio sia lei che il sig. Quintavalle della rapidità con
cui avete risposto alla mia e-mail, e mi scuso per aver attribuito a lei
l’articolo, mi sono accorta subito dopo averle spedito l’e-mail che il nome
sotto si riferiva all’articolo successivo... sono stata un po’ sbadata! Pardon!
Per quanto riguarda il commento del sig. Quintavalle
sul brano di traduzione che ho riportato, credo che la disputa tra la sua
opinione e quella della dott.sa Salmon potrebbe continuare all’infinito, in
quanto quest’ultima affronta l’argomento con un approccio laico, mentre suppongo
che, inevitabilmente, il sig. Quintavalle sia più portato a subire l’influenza
della fede; tra i due «litiganti» forse si colloca la mia personale e modesta
posizione (basata unicamente sulla fede, quindi senza alcuna pretesa
scientifica!), secondo cui nostro Signore non avrebbe mai permesso che qualcuno
alterasse il senso delle sue parole, in quanto la Sacra Bibbia è l’unico modo
che all’umanità (dalla morte di Gesù in poi) è stato concesso per conoscere Dio
e la sua Legge.
Certamente il chiarimento del sig. Quintavalle è stato
molto dettagliato ed esaustivo, e quel «noi evangelici» è stato decisivo, per
me, per capire da quale punto di vista è stata scritta la sua critica, e devo
ammettere che sono assolutamente d’accordo sul principio dell’autocritica,
perché credo che sia l’unico mezzo, seppur debole purtroppo, per migliorare le
cose.
Anche nel mondo cattolico ci sarebbe bisogno di
autocritica, forse molto più che in quello evangelico, ma le poche voci
«controcorrente» non sono abbastanza forti per contrastare i sistemi di potere e
corruzione, di mezzi illeciti alla luce della Bibbia «giustificati» da fini
forse condivisibili, e così via... ma so bene che questa non è la sede giusta
per discuterne… […]
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