Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Dall’avvento alla parusia

 

Ministeri ecclesiali

 

 

 

 

La prima parte del «Panorama del NT» porta il titolo «Dall’avvento alla parusia», ossia dalla prima alla seconda venuta del Signor Gesù. Questo titolo evidenzia la tensione in cui erano posti i cristiani del primo secolo (e noi oggi). Essi guardavano indietro all’incarnazione, ai patimenti e alla risurrezione di Gesù quale Messia (primo avvento) e guardavano parimenti avanti alla manifestazione del Signore, del suo regno e della sua salvezza. Il termine «avvento» mette quindi in evidenza l’abbassamento del Messia , mentre «parusia» (gr. parousía «venuta, arrivo») evidenzia la manifestazione gloriosa del Signore alla fine dei tempi. Questo è altresì l’uso che si fa di questi due termini nella teologia.

   Ecco le sezioni dell'opera:
■ Aspetti introduttivi
■ Gesù di Nazaret
■ Gli Evangeli
■ Dall’ascensione alla fine dei tempi
■ Aspetti conclusivi

 

► Vedi al riguardo la Recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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SOTTOMISSIONE E OBBEDIENZA AI CONDUTTORI?

 

 di Tonino Mele - Martella Nicola

 

Questo confronto è nato sulla base dell’articolo «Bisogna obbedire ai conduttori?». Avrebbe dovuto trovare spazio nel corrispondente tema di discussione tema di discussione, ma per la sua specificità, ho preferito metterlo a parte, sia per la sua specificità, sia per la sua lunghezza.

 

 

1. Tonino Mele

2. Nicola Martella

3. Tonino Mele

4. Nicola Martella

5. Tonino Mele

6. Nicola Martella

7. Tonino Mele

8. Nicola Martella

 

 

1. {Tonino Mele}

 

Ringrazio il fratello che ha iniziato questo dibattito col suo interessante e stimolante contributo. Tuttavia, temo che la relazione tra anziani e membri di chiesa non sia riducibile a puntualizzazioni e distinzioni bibliche tra ubbidienza e sottomissione del figlio piccolo e del figlio adulto.

     Pur condividendo che gli anziani non devono abusare del loro ruolo e non signoreggiare, però bisogna ammettere che i credenti non sono tutti uguali, ci sono gli adulti e ci sono i bambini, i maturi e gli immaturi, i forti e i deboli, gli ordinati e i disordinati; e una conduzione efficace dovrebbe, partendo dalla condizione spirituale di ognuno, impartire l’adeguato trattamento.

     Inoltre, più che definire i contorni della relazione anziani - membri del gregge, tipico questo di una concezione troppo istituzionalizzata di questo ruolo, meglio sarebbe iscrivere questa relazione nell’ambito pneumatico, in cui il NT la pone. Non è un caso che gli anziani sono costituiti tali dallo Spirito Santo (At 20,28); ed è lo Spirito Santo che dà i «doni di governo» (1 Cor 12,28). Così in un capitolo importante per la vita della chiesa come Efesini 4, dove si parla sia delle guide della chiesa che del contributo di ogni singola parte, si fonda sullo sforzo e la responsabilità di ognuno di «conservare l’unità dello Spirito col vincolo della pace» (v.3).

     Questo è il cuore della questione: Si è ridotta questa relazione a un gioco tra le parti, dove pare più importante stabilire le regole del gioco, anziché collocare questa relazione in quell’ambito, che la trascende, ma che pure la libera da quelle logiche umane, che la stanno facendo naufragare.

     Distinguere tra sottomissione e ubbidienza non giova, come non giova distinguere tra sottomissione e consentimento («mi sottometto, anche se non condivido le vostre scelte»), perché a lungo andare queste distinzioni portano a una sottomissione di facciata, priva di quella vera fiducia, che invece dovrebbe esistere tra anziani e membri del gregge.

     L’espressione «unità dello Spirito», che a mio avviso rispecchia quella tanto usata negli Atti di «pari consentimento», temo che non lasci spazio a distinzioni come quelle menzionate, ma le inglobi come facce della stessa medaglia.

     Non credo dunque che una conduzione efficace debba accontentarsi di una sottomissione senza ubbidienza o senza consentimento, ma debba mirare a questa unità dello Spirito, e rappresentarla con coraggio dinanzi ai più riottosi. {21-02-2014}

 

 

2. {Nicola Martella}

 

Nelle chiese ci sono certamente conduttori costituiti tali dallo Spirito Santo (At 20,28) e, se è così, quando vengono riconosciuti, posseggono i requisiti prescritti (1 Tm 3; Tt 1). Tuttavia, ho potuto fare l’esperienza personale sul campo in molti decenni nelle chiese, oltre a quella fatta con la cura pastorale e con il confronto diretto e col carteggio con conduttori e membri di comunità. Tutto ciò m’insegna che le cose non stanno così idillicamente, poiché ci sono conduttori insediati, nonostante che lo Spirito Santo non li abbia costituiti (i frutti mostrano l’albero) e nonostante che non abbiano i prerequisiti per ambire a tale ministero. Abbiamo già parlato altrove di tali «anziani di paglia», che biblicizzano la loro carne, signoreggiano le chiese, portano scompiglio nella conduzione e così via.

     Il modello di conduttore ce lo presenta Dio stesso, in contrasto con le pessime guide d’Israele, che signoreggiavano sulle anime e scorticavano i miseri (cfr. Ez 34,6-11), quando Egli mostra la sua cura per i più deboli: «Come un pastore, egli pascerà il suo gregge; raccoglierà gli agnelli in braccio, se li porterà sul petto, e condurrà pian piano le pecore che allattano» (Is 40,11; cfr. Sal 23). A tale immagine s’ispirò poi Pietro (cfr. 1 Pt 5,1ss). E ancora: «Io stesso pascerò le mie pecore, e io stesso le farò riposare, dice il Signore, l’Eterno. Io cercherò la perduta, ricondurrò la smarrita, fascerò la ferita, fortificherò la malata... io le pascerò con giustizia» (Ez 34,15s; cfr. vv. 12ss; cfr. vv. 23s il nuovo Davide).

     Nel nuovo patto, il rapporto di fiducia fra il «buon Pastore» Gesù e le sue pecore fu descritto così: «Le mie pecore ascoltano la mia voce, e io le conosco, ed esse mi seguono» (Gv 10,27). Quindi, qui ci sono la cura del pastore e il rapporto di fiducia fra Lui e le sue pecore. Per questo Gesù disse a Pietro: «Pasci le mie pecore» (Gv 21,17); le pecore sono del Signore e il servitore deve pascerle (= portarle al pascolo), non dominarle. Anche Pietro stesso raccomandò ai conduttori: «Pascete il gregge di Dio, che è fra voi» (1 Pt 5,2); esso è di Dio e non ci dev’essere spazio per signoreggiare, anche perché l’Arci-Pastore rimane Cristo, ed è a Lui che bisogna rendere conto (v. 4).

     A ciò si aggiunga che l’analisi esegetica dei brani del NT, che parlano del rapporto fra conduttori e membri, non è un’attività inutile e infruttuosa, altrimenti apriremmo porte e finestre all’arbitrio e al soggettivismo d’ognuno. Proprio coloro, che si appellano allo Spirito Santo e all’aspetto pneumatico, possono porsi dinanzi all’assemblea come intoccabili «unti dell’Eterno».

 

 

3. {Tonino Mele}

 

Anch’io penso «che le cose non stanno così idillicamente», e proprio per questo diffido di certe distinzioni, che non vanno al cuore del problema reale. Questo mi pare fosse il tema. Il tuo intervento introduce una variazione sul tema: il caso di una conduzione non qualificata. Ma anche in tal caso mi chiedo che senso abbia distinguere tra sottomissione e ubbidienza? Non si finisce per disattendere il nocciolo della questione? E viceversa, se la conduzione è qualificata, che problema c’è a sottomettersi e ubbidire? {21-02-2014}

 

 

4. {Nicola Martella}

 

La questione sta in questo fatto: chiede mai la Scrittura espressamente che i membri dell’assemblea ubbidiscano ai loro conduttori, usando il verbo hypakū́ō «ubbidire»? La risposta è: «No». L’altra questione è se nel NT greco esista un chiaro comando simile, in cui venga usato il verbo hypotássō: «Siate sottomessi ai vostri conduttori!». Anche qui la risposta è: «No». Quindi, i conduttori fanno bene a non chiedere l’ubbidienza ai membri della loro comunità, come farebbe un padre a un figlio minorenne (Ef 6,1 + Col 3,20 tékna «minori, fanciulli») o un padrone a un dipendente (Ef 6,5 + Col 3,22 dũloi «schiavi, servi»). Similmente le guide di un’assemblea farebbero bene a non chiedere la sottomissione, come un marito si auspica da una moglie. Che cosa chiede allora Dio dai membri di un’assemblea verso i loro conduttori? Questo: «Dare retta [fiducia, o credito] ai vostri conduttori e siate arrendevoli!» (Eb 13,17). Questo è comandato e questo vogliamo consigliare che si faccia. Come mostra il primo verbo usato, peíthō, si tratta soprattutto di «persuadere, convincere, fidarsi, confidare», ecc. Il secondo verbo è hypeikō «cedere, arrendersi». Ambedue si basano su un rapporto interpersonale di fiducia e sulla capacità persuasiva dei conduttori, cose conquistate sul campo, non su un comando perentorio dato in grazia di un ufficio rivestito. Mi sembra una differenza sostanziale.

 

 

5. {Tonino Mele}

 

Grazie, caro fratello, ora mi è più chiaro ciò che vuoi dire e non posso dire che non sia condivisibile. Ma, per alimentare il dibattito e capire se questa è la parola conclusiva che si possa dire su questo argomento, vorrei porti alcune domande:

     ■ 1. Pensi veramente che gli autori biblici volessero fare una differenza tra ubbidienza e ubbidienza, non usando il termine hypakū́ō?

     ■ 2. Pensi che il non uso del termine suddetto giustifichi una tale differenza nel concetto di ubbidienza?

     ■ 3. Non e invece possibile che in una tale distinzione influiscano le esperienze negative fatte e il bisogno di avere una sorta di «ubbidienza con riserva», una sorta di meccanismo di difesa contro una conduzione non qualificata?

     ■ 4. Se così fosse, sarebbe veramente questa la soluzione migliore? Non sarebbe meglio in questi casi parlare di semplice e coraggiosa disubbidienza?

     ■ 5. Nei casi invece di conduzione qualificata, che problema c’è verso una ubbidienza senza distinzioni, quando l’oggetto dell’ubbidienza è giusto?

     ■ 6. E soprattutto, oltre il non uso del termine hypakū́ō per definire l’ubbidienza agli anziani, si possono addurre altri argomenti biblici che giustifichino la tesi in discussione?

 

Per inciso vorrei dire che tale tesi non mi dispiace, perché non solo deresponsabilizza la chiesa da un certo tipo di sottomissione, ma deresponsabilizza anche i conduttori da un certo tipo di conduzione, creando quelle riserve e quelle autonomie, di cui temo se ne avvantaggi non solo la chiesa ma gli stessi conduttori. È evidente che se modifichiamo il termine iniziale di Ebrei 13,17 («ubbidite»), si modifica anche il termine finale della frase («rendere conto»). Ma era veramente questo l’intendimento dell’autore ispirato? Veramente prospettava un rapporto pieno di riserve tra la chiesa e le sue guide? È in questo senso che devo intendere le espressioni bibliche di «unità dello Spirito» e «pari consentimento»?

     Per me questa è una domanda più che teorica e mi piacerebbe, se possibile, avere una risposta, che non si limiti al semplice non uso del termine hypakū́ō. {22-02-2014}

 

 

6. {Nicola Martella}

 

Non posso certo scrivere un trattato teologico, per rispondere a tutte queste questioni! J

     Faccio una breve premessa. Da un’analisi attenta del NT greco si evince che mai si richiede espressamente dai membri di un’assemblea che essi siano sottomessi agli anziani e che ubbidiscano loro. Tuttavia, all’interno di un clima fiduciario, la sottomissione volontaria si può dedurre da altri brani generali, che trattano il rapporto dei più giovani (neteroi) verso i più anziani nella fede (presbýteroi; 1 Pt 5,5), come pure dalla richiesta che si riconosca pubblicamente coloro, che collaborano nell’opera come servitori (1 Cor 16,16). Laddove si crea un clima di sottomissione (Ef 5,21) e di stima reciproche (Fil 2,3), i credenti sono disposti a riconoscere agli altri fratelli la grazia operativa, il ruolo e il ministero, che Dio ha assegnato a ognuno (cfr. Gal 2,9).

     Tale distinzione è importante e giova senz’altro a ristabilire i binari scritturali della questione. L’ubbidienza si chiede ai figli dai genitori, agli schiavi dai padroni, ai cittadini dalle autorità, eccetera. Essa non si deve chiedere alle mogli dai mariti, né ai membri di chiesa dai conduttori; qui vige la sottomissione (ossia il rispetto) e il pari consentimento all’interno di un rapporto fiduciario. Prendendo il caso dei coniugi, anche la sottomissione è prima reciproca sul piano spirituale (Ef 5,21 lett. «essendo sottoposti gli uni agli altri nel timore dell’Unto») e poi specifica sul piano gestionale (v. 22 lett. «Le donne: [siano sottoposte] ai propri uomini, come al Signore»; qui il verbo manca del tutto perché premesso dal v. 21). Ora, come abbiamo visto, nel rapporto fra conduttori e membri di chiesa manca addirittura un comandamento specifico, che ingiunga a essere sottomessi ai propri conduttori; il Marito dell’Assemblea è l’Unto, ed è primariamente a Lui che essa dev’essere sottomessa. Quindi, i rapporti fra conduttori e membri erano regolati diversamente al tempo del NT.

     Ora, passo a rispondere secondo la sovrastante numerazione.

     ■ 1. Sì, penso che gli autori biblici volessero fare una differenza fra ubbidire e «dare retta» (o lasciarsi persuadere). Ogni sottomissione (hypotássō) nella famiglia di Dio (come abbiamo appena visto quella della donna al proprio uomo) è preceduta da quella reciproca, senza esclusione (Ef 5,21s) e dalla richiesta di umiltà degli uni verso gli altri (1 Pt 5,5). Mentre ai figli e ai servi si comanda, ai fratelli no; questi ultimi devono essere persuasi all’interno di un rapporto di fiducia.

 

     ■ 2. Fino a prova contraria, sono convinto di sì: gli scrittori del NT distinguevano fra sottomissione e ubbidienza, visto che alle ad esempio mogli viene richiesta la prima, ma non la seconda. Nell’assemblea, la prima è tutt’al più volontaria, mentre la seconda non può e non dev’essere imposta, se non si vuole creare un nuovo clericalismo. Meglio ancora è quando i conduttori convincono! Gli scrittori del NT sapevano molto bene della tendenza umana a signoreggiare (cfr. 1 Pt 5,1ss) e furono menzionati anche casi concreti (2 Cor 11-12 i «super-apostoli» giudaici di stampo esoterico; 3 Gv Diotrefe).

 

     ■ 3. Penso che le esperienze negative per un esegeta non contino più di tanto; a lui interessa la verità scritturale, quale essa sia. Io stesso sono stato usato dal Signore per fondare chiese e sono attualmente il conduttore di una. Il mio stile di conduzione è partecipativo rispetto ai collaboratori, e verso la chiesa si basa sul rapporto fiduciario e di convincimento biblico. Quindi pratico ciò, che affermo, perché scritturalmente convinto.

 

     ■ 4. Da noi non abbiamo «anziani di paglia», visto che, essendo l’assemblea in una fase missionaria, siamo intenzionati a riconoscere, un giorno, solo quei fratelli, che saranno irreprensibili e corrisponderanno ai prerequisiti richiesti. La Scrittura non usa all’interno dell’assemblea concetti come una «coraggiosa disubbidienza», ma parla di «pari consentimento» e di «unità dello Spirito col vincolo della pace», il tutto basato (oltre che sull’amore e stima reciproci) su un processo di accertamento della verità biblica mediante lo studio comune della Scrittura. Una «coraggiosa disubbidienza» è contemplata verso le autorità esterne (At 4,19; 5,29); verso gli intrusi è contemplata la resistenza (Gal 2,4s); verso i colleghi devianti e condannabili al momento, se non c’è altra via, bisogna prendere una ferma posizione (Gal 2,11ss).

     Verso i membri della propria assemblea i conduttori devono puntare sulla volontarietà all’interno di una rapporto fiduciario basato sulla cura (cfr. 1 Pt 5,1ss). Poi ci sono casi estremi, in cui ci sono disordinati e ribelli, ma anche qui dev’essere la Parola ad ammonirli e convincerli all’interno di un’intesa comunitaria (1 Ts 5,14 «fratelli»). Dove ciò non dà i risultati sperati, bisogna ritirarsi dai disordinati sulla base di un convincimento comune (2 Ts 3,6) e degli esempi ricevuti (v. 7; cfr. v. 11).

     Anche qui il missionario Timoteo (in seguito sarebbe stato il conduttore a farlo) doveva comportarsi così: «Predica la Parola, insisti a tempo e fuor di tempo, riprendi, sgrida, esorta con grande pazienza e sempre istruendo» (2 Tm 4,2); tali elementi devono stare sempre insieme (cfr. 1 Tm 5,1s dapprima esortare, non riprendere!; cfr. v. 20 poi…; cfr. Tt 1,13). Centrale in ciò è la Scrittura ispirata (2 Tm 3,16). Per il missionario Tito insegnare, esortare e riprendere con ogni autorità (quella che proviene dalla Scrittura e porta a essa!) devono sempre stare insieme (Tt 2,15).

 

     ■ 5. Non trovo nella Scrittura una «ubbidienza senza distinzioni», ma laddove si parla di ubbidienza viene aggiunto «nel Signore» o simili locuzioni (cfr. Ef 6,1). Inoltre, se qualcosa non è chiaramente contemplata dalla Scrittura, è meglio non reclamarla. Così si rimane scritturalmente sani. All’interno della sottomissione reciproca fra fratelli, sebbene una sottomissione specifica dei credenti ai conduttori non venga mai ingiunta esplicitamente, essa è pensabile in senso volontario all’interno di un rapporto di reciproca stima e fiducia; tuttavia, è mai prescritta una cieca ubbidienza, ma un volontario «dare retta» (fiducia, credito) e una «arrendevolezza» all’interno di un rapporto fiduciario (Eb 13,17 greco). Nessun conduttore deve «pretendere» l’ubbidienza! Ciò sarebbe arbitrio.

 

     ■ 6. L’assenza del verbo hypakū́ō mi sembra un grande argomento, come pure il fatto che tutto il NT non ingiunga mai chiaramente l’ubbidienza assoluta (ma neppure relativa mancando il termine) dei membri ai propri conduttori. I conduttori non sono né genitori di figli minorenni né padroni di servitori, né generali di una milizia, ma servitori, che pasturano e curano il gregge del Signore. Inoltre, come abbiamo visto, Pietro evidenziò la volontarietà di chi guida e di chi è guidato, che escluda l’abuso del signoreggiare e dello sfruttamento economico (i «super-apostoli» di Corinto facevano proprio questo!). Il verbo «pascere» quale attività maggiore dei conduttori e la loro designazione come «pastori» (= pasturanti) sotto il «sommo Pastore» e «sorveglianti» (non proprietari) mi sembrano grandi argomenti. L’esegeta accerta ciò, che c’è, non ciò che vorrebbe vedere; non adegua la Scrittura ai propri gusti, ma si adegua a essa.

 

Inoltre, nelle lettere il continuo riferimento non è specificamente agli anziani, ma generalmente ai «fratelli», a cui si fa appello per i molteplici aspetti dottrinali, spirituali e morali, mostra che l’ultima istanza è localmente l’intera assemblea, non i soli conduttori, che essa riconosce per gestire aspetti particolari dell’opera e depone, quando vengono a mancare le qualità o quando si macchiano d’infedeltà.

     I rapporti fra conduttori e membri non si basano su un «ufficio» ricevuto, che crea intoccabili «unti del Signore», spesso a vita, a cui si deve assoluta ubbidienza; ma essi si fondano su un clima di fiducia e stima reciproche, sull’essere sottomessi fraternamente gli uni agli altri e specialmente al Signore e alla sua Parola. È tale «vincolo (= patto) di pace» a garantire l’unità spirituale localmente. Effettivamente, nelle cose bisogna cercare il «pari consentimento» sulla base dell’analisi scritturale comune, invece d’imporre le cose dall’alto, per una falsa pretesa di autorità. L’autorità ce la dà la Parola; quando la tagliamo rettamente, ci porta a essere irreprensibili, e con essa convinciamo gli altri.

 

 

7. {Tonino Mele}

 

Grazie per la tua puntuale risposta, «conclusiva» come l’avevo chiesta, anche perché il tempo per leggere tutta la questione e formulare domande adeguate, con beneficio (spero) anche dei nostri lettori, non è stato poco.

     Condivido l’ideale di conduzione avulso da ogni forma di autoritarismo, signoreggiamento, che tratta la chiesa come un figlio minore o come un plotone da comandare; e credo anch’io in un rapporto basato sulla fiducia reciproca e su un reale coinvolgimento della chiesa fedele, matura ed equipaggiata dallo Spirito Santo alle attività e alle decisioni ecclesiali.

     Resto perplesso sul concetto che «l’ultima istanza è localmente l’intera assemblea», ma non sentirti obbligato a rispondermi, anche perché è una variazione sul tema, che può essere trattato in apposita discussione, se e quando altri lettori lo vorranno. {22-02-2014}

 

 

8. {Nicola Martella}

 

Quest’ultimo argomento è qui fuori tema. Se l’affrontassi, tutta la discussione dei lettori ne sarebbe polarizzata. Mi ripropongo di affrontare tale tema a sé. Qui formulo solo alcune domande per la riflessione: ▪ 1. Chi elegge le guide nella chiesa locale? ▪ 2. Chi depone le guide della chiesa locale in caso di infedeltà? ▪ 3. Chi è chiamato a intervenire in fatti di immoralità e a mettere fuori comunione i membri infedeli e impenitenti? ▪ 4. In casi controversi qual è l’ultima istanza prevista da Gesù? ▪ 5. Chi dà incarichi e manda dei membri in missione? ▪ 6. A chi furono inviate normalmente le epistole del NT? E così via.

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Sottom_obbed_Avv.htm

06-03-2014; Aggiornamento:

 

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