Un lettore ci
ha presentato le seguenti questioni.
Caro Nicola,
shalom. Ho un quesito da porti riguardo all’ufficio di pastore / vescovo /
anziano: in 1 Timoteo 3 sta scritto: «...che governi bene la propria
famiglia e tenga i figli sottomessi e pienamente rispettosi; se uno non sa
governare la propria famiglia, come potrà aver cura della chiesa di Dio?». E
in Tito 1
sta scritto: «...che abbia figli fedeli, che non siano accusati di
dissolutezza né insubordinati».
Negli ultimi anni ho visto in molte chiese divenire responsabili uomini, che
avevano
figli non credenti, irrispettosi e maleducati verso i genitori, fidanzati
o sposati con non credenti, alcuni aderenti a una religione per piegarsi ai riti
di quest’ultima, altri dediti alla tossicodipendenza, all’alcol o al fumo.
Mi chiedevo: qual è il limite, oltre il quale si devono considerare
squalificati tali responsabili? Come possiamo interpretare condizioni
come «sottomessi», «pienamente rispettosi» e «fedeli»? Quale peso e significato
dobbiamo dare a sostantivi quali «dissolutezza» e «insubordinazione»?
In questi anni di decadimento generale del livello morale della società, non
dovremmo cercare di preservare il livello di santità, che Dio ci chiede e
di cui un giorno ci domanderà conto personalmente?
Grazie a Dio per le molte occasioni, che ti dà per farci riflettere sulla sua
Parola, e grazie a te per l’impegno, che investi per l’edificazione comune. Dio
ti benedica e t’illumini continuamente. {13-12-2010; Giosafat Montanari, ps.}
Ad aspetti
rilevanti di tali questioni rispondiamo qui di seguito. |
1. ENTRIAMO IN TEMA: Per
interpretare un brano, si fa sempre bene a risalire a una traduzione il
più letterale possibile. Infatti, in brani del genere ogni parola conta, e il
giudizio, che se ne trae, può essere un macigno a favore o contro una certa
tesi.
■ «[Bisogna dunque che il sorvegliante] …soprintenda bene alla propria
casa, tenendo i figlioli [tékna] in sottomissione con ogni rispettosità — ma se
uno non sa soprintendere alla propria casa, come si curerà dell’assemblea di
Dio?» (1 Tim 3,4s).
Il termine
epimeléomai intende «curarsi di qualcosa, provvedere a qualcosa, dirigere
qualcosa, essere procuratore di qualcosa». È quindi un sinonimo di proistamai
«soprintendere, dirigere», che compare nello stesso verso. Il termine oikos
«casa» non intendeva soltanto moglie e figli, ma tutti coloro, che stavano sotto
il proprio tetto (servi, parenti).
■ «…tu costituisca anziani per ogni città, come t’ho ordinato, quando
qualcuno sia irreprensibile, uomo d’una donna, avente figlioli [tékna] fedeli,
non [stando] nell’accusa di dissolutezza o [essendo] insubordinati» (Tt
1,5s).
Il termine
anypótaktos «disubbidiente» in Tt 1,6 non è riferito verso i genitori, ma
verso l’ordine comune.
Il termine critico in ambedue i brani è téknon «figliolo,
fanciullo, bambino, prole» (figlio generato o minorenne); è usato anche per il
cucciolo di un animale. Non si tratta qui, dunque, di huiós
«figlio» in quanto erede o adottato in quanto tale (figlio emancipato o
maggiorenne). Ciò a che fare col diritto romano d’allora.
2. EXCURSUS: PROLE E FIGLIOLANZA NEL
DIRITTO ROMANO: È importante capire il diritto romano d’allora,
per comprendere i brano in esame. Paolo lo usò per spiegare la storia della
salvezza. Qui si possono usare specialmente i brani delle epistole paoline, che
erano rivolti ai credenti gentili, che vivevano in tale ordinamento.
■ Rispetto alla legge mosaica: Poiché ogni téknon «figliolo,
prole» era equiparato a un servo, fino al momento dell’emancipazione, Paolo poté
dire rispetto all’affrancamento dalla legge che «Dio mandò il suo Figlio
[huiós]… per riscattare quelli che erano sotto la legge, affinché noi
ricevessimo la figliolanza [huiothesía]. E perché siete figli [huiói], Dio ha
mandato lo Spirito del suo Figlio [huiós] nei nostri cuori, che grida: “Abba,
Padre”. Per cui, tu non sei più servo [doulos], ma figlio [huiós]; e se sei
figlio [huiós], sei anche erede per grazia di Dio» (Gal 4,4-7).
Si noti che la
huiothesía «figliolanza» era l’atto di emancipazione dallo stato di
téknon «prole» a quello di huiós «figlio» e, quindi, di erede
mediante un atto giuridico di adozione. Il periodo della legge corrispondeva a
tale stato di servitù, da cui in Cristo il credente del nuovo patto è emancipato
(cfr. Gal 3,28s).
■ Rispetto alla salvezza finale: «Lo Spirito stesso attesta insieme
col nostro spirito, che siamo figlioli [tékna] di Dio; e se siamo figlioli
[tékna], siamo anche eredi; eredi di Dio e coeredi di Cristo, se pur soffriamo
con lui, affinché siamo anche glorificati con lui» (Rm 8,16s). I tékna
«figlioli, prole» vengono insediati a eredi, venendo adottati a «figli» (huiói);
Paolo vide qui tale momento dell’adozione come coincidente con «il riscatto
del nostro corpo» (v. 23), ossia con la risurrezione.
■ Status ed eredità: Riguardo ad Agar e Ismaele (= Israele e i Giudei
increduli; Gal 4,24ss) fu detto: «Caccia via la schiava [paidískē = giovane
serva] e il suo figlio [huiós]; perché il figlio [huiós] della schiava
[paidískē] non sarà erede col figlio [huiós] della libera. Perciò, fratelli, noi
non siamo figlioli [tékna] della schiava [paidískē], ma della libera» (Gal
4,30s). Il figlio (huiós) di una serva era erede d’essa, ma non poteva
vantare diritti sull’eredità del suo padrone, sebbene questi poteva essere il
suo genitore, come nel caso di Abramo verso Ismaele. Spiritualmente parlando,
solo la prole (tékna) della libera (= credenti in Cristo) può aspirare a
diventarne erede.
3. APPROFONDIMENTO DI 1 TIMOTEO 3,4S E TITO
1,5S: Questo lungo excursus è stato necessario per
evidenziare che in ambedue i brani in questione si trattava della prole
generale. L’episcopo o presbitero doveva dare prova di essere in grado di
dirigere principalmente casa sua. Non doveva essere poligamo (ciò avrebbe
moltiplicato a dismisura la prole, i problemi e l’occupazione con essa). Non
doveva avere figlioli che, non essendo ancora emancipati (ossia viventi
ancora sotto il proprio tetto e sotto la sua dipendenza), erano in odore di
vivere in modo lascivio e sovversivo rispetto all’ordine morale e civile
costituito. Se un tale uomo non era in grado di essere un buon sorvegliante e
soprintendente in casa sua, non tenendo la prole ancora non emancipata in
rispettosa sottomissione, era difficile che potesse soprintendere e provvedere
alla comunità locale.
Da ciò risultano, ad esempio, le seguenti riflessioni.
■ Nessuno ha garanzia che i figli seguiranno la fede e il timore di Dio
dei genitori. Ciò è certamente una grazia di Dio. Non per questo non si hanno
precise responsabilità (vedi sotto).
■ I genitori sono responsabili dei figli fintantoché abitano nella loro casa.
Gli atti dei figli maggiorenni non possono essere addebitati ai genitori.
Tuttavia, ciò dipende anche da quale coerenza morale e spirituale essi usano a
casa propria, quando i figli increduli e dissoluti sono in visita o addirittura
abitano in casa. Dio dichiarò il tollerante Eli responsabile della sua
mancanza di sorveglianza verso i suoi figli dissoluti, che avevano preso il suo
posto nel tempio. D’altra parte, anche un giudice giusto come Samuele
fallì a casa propria, poiché anche i suoi figli non seguivano il suo esempio di
fede e coerenza.
■ Se tutti i figli si allontanano da Dio specialmente già nella pubertà e
seguono la via della dissolutezza, non si può far finta di niente. Un tale
credente dovrebbe porsi il problema, se le cause non risiedano anche nella sua
incapacità di essere stato un modello positivo di fede e di coerenza biblica.
Per scrupolo morale dovrebbe chiedersi se essere conduttore di chiesa e curatore
delle anime sia il ruolo adeguato alla sua situazione. È difficile predicare
agli altri su cose, in cui si è fallito a casa propria; è difficile dare
consigli pastorali agli altri, quando non si è stati capaci di pasturare le
pecore di casa propria.
■ In genere, tali conduttori hanno altre lacune rispetto a tutti i
prerequisiti richiesti in Timoteo 3 e in Tito 1; essi mancano probabilmente
delle qualità, che possano dichiararli irreprensibili e coerenti. Se mancano
queste due ultime caratteristiche, si è un «conduttore di paglia» e agli occhi
degli altri non si avrà mai la dignità e l’autorità morale necessarie.
►
Conduttori e figli dissoluti o insubordinati? Parliamone
{Nicola Martella} (T)
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Condutt_figli_dissolut_UnV.htm
23-01-2011; Aggiornamento: 15-03-2016 |