Un lettore mi ha
scritto, tra altre cose, quanto segue: Carissimo Nicola, prima di tutto
ringrazio il Signore di averti concesso di lavorare nella sua opera e ti saluto
nel suo nome. Sono dell’assemblea dei fratelli di Manfredonia (FG) di Viale
Michelangelo; attualmente il nostro conduttore di chiesa è il fratello Davide
Martella, che credo tu conosci già.
Desidero ricevere
qualche pensiero riguardo alla «elezioni
degli anziani» nella chiesa. In Tito 1 e in 1 Timoteo 3 Paolo ci parla
proprio di questo tema. Attualmente il Signore ci sta guidando a studiare
l’elezione degli anziani secondo la sua Parola. Il punto, in cui non si riesce a
essere di pari consentimento, riguarda il fatto che un fratello, che aspira al
compito di anziano, deve avere i figli
sottomessi o fedeli. Ora, a mio avviso, questo può essere richiesto fino a
che i figli sono sotto la tutela dei genitori e vivono sotto lo stesso tetto.
Ecco le questioni.
■ Laddove i
figli diventano adulti, anche tra i 40/50 anni di età, e
non sono credenti, non avendo
accettato Cristo come loro personale Salvatore, il fratello padre, che aspira
all’anzianato, avendo tutti gli altri requisiti richiesti, può essere eletto
anziano, se la chiesa lo desidera?
■ Prendiamo il caso di un fratello, che
aspira a essere «anziano», ma i suoi figli non vivono sotto lo stesso tetto,
sono andati via di casa appena maggiorenni, e oggi sono adulti, di circa 40
anni, e hanno condotto e conducono tuttora una
vita dissoluta, al punto da essere
definiti dalla legge Italiana come dei «delinquenti recidivi»; inoltre, questi non frequentano la casa
paterna da oltre 20 anni. Ora chiedo: Il fratello, loro padre, avendo tutti gli
altri requisiti e una buona testimonianza da parte di quelli di fuori e nella
chiesa, se aspira al servizio di anzianato, può essere eletto secondo la volontà
del Signore?
So che il tema ha
molti spigoli da smussare, ma prego il Signore che ti dia una risposta proprio
secondo il discernimento di Cristo Gesù, nostro Signore. Se pubblicherai le tue
risposte come articolo, sarà senz’altro una fonte di benedizioni anche
per gli altri fratelli in Cristo Gesù. {Antonio
Milonia; 06-03-2016}
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Ho già trattato un
tema simile nell’articolo «Conduttori
e figli dissoluti o insubordinati». Qui mi limito ad alcuni aspetti soltanto.
1.
OSSERVAZIONI TESTUALI:
Nei testi di base, in cui Paolo presentò il catalogo dei prerequisiti minimi,
per accedere al ministero di conduttore, leggiamo quanto segue:
■ Al futuro epískopos
(sorvegliante, sovrintendente, conduttore)
veniva richiesto che «sovrintenda
bene alla propria casa, tenendo i
figlioli [tékna] in sottomissione con ogni rispettosità — ma se uno non sa
sovrintendere alla propria casa, come si curerà dell’assemblea di Dio?»
(1 Tim 3,4s).
■ Al conduttore
veniva comandato «che
abbia
figlioli
[tékna] fedeli, non [stando]
nell’accusa di dissolutezza o [essendo] insubordinati»
(Tt 1,6).
La
risposta alla domanda del lettore dipende in massima parte dal significato del
termine greco tékna «bambini, figli piccoli,
fanciulli,
ragazzi; prole», che Paolo usò in
ambedue i brani; questo è usato anche per i cuccioli di un animale.
Questo termine intende i «figli biologici», che si trovavano prima
dell’emancipazione; perciò, caratterizzava i figli minorenni
(figli
generati o minorenni), quindi prima che raggiungessero
il momento dell’adozione, che li rendeva «figli legali» e perciò eredi. Infatti,
al raggiungimento della maggiore età, un figlio veniva emancipato dal padre ed
era chiamato in greco huiós «figlio emancipato» e, perciò, erede (cfr. Gal 4,7; Eb 1,2; Ap
21,7).
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2.
ALCUNI APPROFONDIMENTI:
Il termine
téknon è usato in modo
specifico, ad esempio, nei seguenti contesti. Si veda il parallelo fra bambini e
cagnolini (Mt 15,26), come pure con pulcini (Mt 23,37). Un padre comanda ai
figli, che sono ancora sotto la sua autorità (Mt 21,28). Maria si rivolse al
dodicenne Gesù con l’appellativo «figliolo» (ragazzo; Lc 2,48).
3.
LA RESPONSABILITÀ DEI PADRI:
La Parola di Dio mostra
inoltre che la colpa è personale. I
figli non possono essere perseguiti per le iniquità dei padri, e viceversa, ma «ognuno
morrà per la propria iniquità» (Gr 21,29s; Ez 18,4.14). «La
persona, che pecca, è quella che morirà; il figlio non pagherà per l’iniquità
del padre, e il padre non pagherà per l’iniquità del figlio» (Ez 18,20).
Per legge un
padre è responsabile per il figlio, fintantoché non raggiunge la
maggiore età; dopo non può rivendicare il diritto di governare la vita dei suoi
figli maggiorenni, né può essere perseguito per le malefatte d’essi. Fino al
raggiungimento della maggiore età, un figlio dev’essere
sottomesso ai genitori.
Nessuno, che
svolga il ministero di conduzione, può dare la sicurezza che i suoi figli, una
volta maggiorenni, saranno credenti e fedeli al Signore e che, al contrario, non
diventeranno dissoluti o sfrenati. Per fare qualche nome di
famosi predicatori, cari alle
Assemblee dei Fratelli, anche Abele Biginelli e Gian Nunzio Artini hanno avuto
almeno un figlio maggiorenne non-credente. Erano per questo da squalificare come
servi del Signore?
Per ulteriori
approfondimenti e dettagli rimandiamo al sunnominato
articolo
e al
tema di discussione
a esso connesso.
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Condutt_figli_GeR.htm
16-03-2016; Aggiornamento: |