1. L’INTENZIONE
Per più di due decenni, ho corretto i compiti degli
studenti della scuola biblica, sia sia di quelli interni all'Istituto
biblico, sia sia di quelli che studiano a distanza. Attualmente analizzo,
in modo ricorrente, gli scritti di diverso genere, ricevuti da altri autori al
fine di una pubblicazione in forma cartacea o via internet. Per poterli
pubblicare, li rileggo con attenzione, correggo eventuali errori di grammatica,
di sintassi e di forma. Infine ne faccio la redazione finale. Facendo in modo
ricorrente quest’attività per il sito «Fede controcorrente», mi sono saltate
all’occhio le seguenti caratteristiche, su cui chi collabora fa bene a porre
attenzione.
2. I SINGOLI ASPETTI
■ I titoli non sempre sono adeguati all'intero
contenuto, ma solo a una sua parte e magari solo alla sua parte iniziale. È
chiaro che, così facendo, il lettore rimarrà deluso e irritato. Il titolo
generale deve designare in modo preciso e conciso il tema dell’articolo, così
come una etichetta, presente su un contenitore, ne dichiari il contenuto.
Sebbene, all'inizio, si possa formulare un titolo provvisorio, alla fine si fa
bene a riformularlo con precisione.
■ Certi articoli mancano di linearità e non si
sa bene di che cosa vogliano parlare. Un buon articolo deve contenere almeno
un’introduzione, un corpo e una conclusione. Alla fine si tratta solo di parole
spirituali messe insieme, come fosse un canovaccio di una meditazione; ma un
articolo deve avere un argomento chiaro e deve possedere una linearità.
■ Un altro elemento è la ripetitività. Certi
articoli, invece di avere una linearità, si muovono in modo ciclico, ripetendo
sempre di nuovo le stesse cose. Ciò stanca e annoia il lettore. Si fa bene a
fare dei titoli intermedi e a creare una struttura lineare e logica.
■ Alcuni scritti non solo mancano di linearità e
ripetono spesso le stesse cose, ma hanno una tematica complessa; ossia
sono usati come deposito per tanti altri argomenti che non rispecchiano il tema
principale. Vengono introdotti personaggi biblici, che non vengono spiegati; si
accenna a cose, persone, fatti, dottrine, istituzioni e così via, dandone magari
un giudizio, ma il lettore non sa di che cosa si tratta. In tal modo, chi legge
si sente confuso e alla fine perde il filo del discorso.
■ La mancanza di linearità, la ripetitività e la
mancanza di una tematica chiara fanno sì che i diversi articoli di un autore,
qualunque siano il titolo e il tema reale, rischiano di assomigliarsi tutti.
■ Alcuni iniziano a scrivere su un tema, ma poi
sfociano in un altro tema o presentano una seri di temi nello stesso
scritto. In tal modo, ogni loro scritto diventa inutilmente lungo. In tali casi
è meglio spezzare l’articolo in più parti e concludere ognuno di essi in se
stesso.
■ A ciò si aggiunga spesso l’uso di uno stile
predicativo. L’autore si rivolge al lettore con un «tu» o un «voi» e
generalizza il tutto con un «noi», come se si parlasse da un pulpito. Tale «noi»
è poi anche ambiguo, poiché non si capisce sempre se si tratta di un «noi
credenti» o «noi uomini, peccatori, ecc.». Un articolo non deve avere lo stile
di un’omelia. Inoltre certi scritti contengono continuamente appelli di
diverso genere. Un articolo non deve assomigliare a una predica; qui devono
convincere gli argomenti chiari, non la retorica.
■ Certi scritti sono altresì continuamente pieni di
pie espressioni omiletiche, asserti recitativi e retorici, tipici dei credi
e dei catechismi, come pie formule, asserzioni dottrinali ed eulogie. Tutto ciò
rende la lettura pesante e fa perdere il filo logico. Non c’è bisogno di
scrivere ogni volta dopo «sangue», «col quale Cristo ci purifica dai nostri
peccati» e simili. Dopo il nome «Dio», non bisogna mettere tutta una sfilza dei
suoi attributi né accodare eulogie (p.es. «il suo nome sia benedetto in
eterno»). Dopo il nome di «Gesù», non bisogna ricordare ogni volta tutti i suoi
meriti e tutta la sua opera.
■ A tali espressioni devozionali si aggiungono vari «fronzoli
religiosi» continuamente ripetuti, ma conosciuti solo a chi sta già in certi
«giri». Per l’uomo della strada una «preghiera unta» sarà un rito misterioso per
iniziati; per una persona normale un «uomo unto» è un meccanico, un benzinaio. A
ciò si aggiunga la «lingua di Canaan» o «evangelichese», un linguaggio
religioso pieno di espressioni idiomatiche, che è scontato fra certi evangelici,
ma incomprensibile ai «comuni mortali». Certamente si devono scrivere articoli
d’insegnamento destinati a credenti, ma si può essere chiari anche senza
«fronzoli religiosi» ed «evangelichese»; un buon rimedio è sempre l’esegesi. Ma
è assolutamente sconsigliato di scrivere un articolo, in cui si vuole presentare
Cristo, l’Evangelo e la via della salvezza a non credenti, usando appunto
«fronzoli religiosi» ed «evangelichese». Per tale non credente ciò sarà una
specie di «arabo cinese».
■ In alcuni scritti vengono riportati versi biblici,
ma senza virgolette, senza citare il brano, e spesso essi non corrispondono in
tutto a ciò che si trova nella Bibbia, ma si tratta di un adattamento a proprio
arbitrio. La citazione dei versi biblici dovrebbe seguire questo schema: «Brano»
(Sigla del libro capitolo, verso); ad esempio: «Dio è amore» (1 Gv
4,8.16). Bisogna usare le sigle suggerite dal gestore del sito.
■ Connesso alla citazione impropria dei versi, c’è
anche l’accumulo di versi in uno scritto. Alcuni citano lunghi brani
della Scrittura, altri fanno lunghe liste di versi. Tutto ciò mina la linearità
dell’articolo e rende affannosa la lettura. È meglio trascrivere solo alcuni
versi chiari e mettere tra parentesi gli altri brani che il lettore può
consultare.
■ Oltre alla citazione impropria di versi biblici e al
loro accumulo, alcuni citano dei brani fuori contesto, usandoli
strumentalmente. Questo è ciò che io chiamo «versettologia»: si pensa di
argomentare facendo uso di una certa quantità di versi, indipendentemente dal
loro contesto d’origine. ● Penso a quell’avventista che, dopo aver citato 10-15
versi biblici sul sabato, concluse che solo gli avventisti sono la confessione
cristiana legittima; è chiaro che non tenendo presente la decisione storica del
concilio di Gerusalemme (At 15) e l’insegnamento di Paolo riguardo alla libertà
rispetto al «giorno» e ai «cibi» di Rm 14, si fa una grande ingiustizia verso la
verità e la dottrina. ● Penso a quel pioniere della «Torre di Guardia», che citò
un certo numero di versi in cui nell’AT ricorre il nome Jahwè e mostrò che essi
sono riportati anche nel NT come citazioni, concludendo che essi sono gli unici
adoratori di «Geova». Leggendo però tutto il NT in greco, il nome Jahwè o
«Geova» non ricorre mai. Da più di vent’anni sto aspettando che tale pioniere
della «Torre di Guardia» mi porti copia di un antico codice greco del NT, in cui
compare chiaramente Jahwè o «Geova». ● Come si vede, con la «versettologia» si
possono fare asserzioni dottrinali che sembrano affascinanti, ma ciò non
significa che tutto ciò corrisponde alla verità, allo spirito della sacra
Scrittura e allo sviluppo della rivelazione. Dobbiamo esercitarci a essere
coerenti noi stessi nei metodi che contestiamo agli altri.
■ Infine, dobbiamo mantenere una grande correttezza
con la proprietà letteraria altrui. Ciò significa che non dobbiamo mettere il
nostro nome a uno scritto che proviene da un altro autore. Ciò è un plagio,
quindi disonesto e ingiusto. Se uno scritto proviene da un altro, è giusto
dirlo, indicando il suo nome; ma non si deve pubblicare gli scritti di un altro
senza chiederne il permesso. Se citiamo di tale scritto solo una breve parte
(citazione), bisogna indicarlo e mettere le virgolette. Se dallo scritto altrui
(che magari affrontava un tema più generico) traiamo solo uno spunto o
dei principi, è bene indicarlo, ad esempio così: «Lo spunto per questo articolo
mi è stato dato dalla lettura dello scritto “X” dell’autore “Y”, pubblicato…»;
oppure: «I seguenti principi trattati in questo mio articolo li ho tratti da una
lista che l’autore “X” ha fatto nel suo scritto “Y”, pubblicato…».
■ La correttezza morale che ci aspettiamo dagli
altri dobbiamo esercitarla noi stessi. Che dire di trovare un nostro articolo
che porta il nostro nome su un altro sito, senza che nessuno ce ne abbia chiesto
il permesso? Ancora peggio è se non porta il nostro nome o se è stato mutato a
proprio arbitrio. Che dire di trovare su internet un articolo che presenta le
nostre tesi e le nostre argomentazioni, senza mai citare il nostro nome?
■ Ci sono anche aspetti tecnici di uno scritto
che non sempre corrispondono all’arte di scrivere e alla comunicazione. Bisogna
controllare se le frasi sono logiche e lineari anche per la varietà dei lettori.
Frasi lunghe a astruse, bisogna semplificarle. Bisogna usare una buona sintassi
e le giuste interpunzioni. «Blablaismi» e frasi che non c’entrano nulla con
l’argomento, si devono eliminare. Errori grammaticali e di sintassi bisogna
correggerli. Se non si ha un buon pensiero logico e una buona proprietà di
linguaggio, si fa sempre bene a far leggere e correggere il proprio scritto
almeno a un altro. ● Scrivere significa comunicare; se però tra l’emittente
(scrittore) e il ricevente (lettore) si frappongono troppi filtri culturali e
ostacoli tecnici (di cui abbiamo parlato), allora quest’ultimo chiude la
comunicazione e passa ad altro.
3. CONCLUSIONE
Lo scopo di questo articolo è di aiutare specialmente i
collaboratori del sito «Fede controcorrente» a essere più efficaci nello
scrivere. In tal modo, oltre a evitare di annoiare il prossimo con luoghi comuni
e ovvietà (un’eventualità sempre in agguato), saranno in grado di comunicare
quei valori, in cui essi credono, e lo potranno fare in modo logico,
strutturato, efficace e salutare.
►
Consigli su come fare una recensione {Nicola Martella} (A)
►
Introduzione allo scrivere un tema {Nicola Martella} (A)
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Analizzare_scritto_Mds.htm
10-07-2007; Aggiornamento: 03-02-2015 |