Qui di seguito
discutiamo l’articolo «Dio
perdona, ma non dimentica». È stato immancabile che tale
soggetto abbia richiamato temi affini e vari ambiti di applicazione.
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre
esperienze, idee e opinioni?
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I contributi sul tema
▲ (I
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1. {Gionathan
Russo}
▲
Abbiamo parlato della differenza tra perdonare e dimenticare proprio qualche
sabato fa nel nostro gruppo giovani! Sono d’accordo con te, Nicola! In effetti,
giusto per aggiungere altra carne al fuoco, il nostro Dio è onnisciente,
quindi né dimentica né viene sorpreso o deluso da noi, in quanto conosce già
in anticipo i nostri errori... eppure in tutto questo, ci perdona!
{07-06-2010}
2.
{Manlio Muscarella}
▲
La verità, che riguarda un atto compiuto, una parola detta, un
atteggiamento del nostro cuore verso il prossimo, è una realtà che entra
nel tempo dell’esistenza, che Dio affida a ogni uomo. Questa realtà è
come un solco d’un vecchio 45 giri, una volta inciso rimane. Per
questo paragone esistono due possibilità, proseguire la nostra «musica»
(vita), distorcendo i nostri pensieri, atti, inclinazioni del nostro
cuore; oppure ravvedersi e convertirsi per entrare a far parte
d’una armoniosa orchestra ed eseguire la musica meravigliosa, che dirige
il nostro Maestro, Salvatore e Messia. Egli ha indicato il solco (via)
giusto da eseguire. Contemporaneamente ha cancellato i nostri
peccati o stonature nell’atto della espiazione.
Se Dio annullasse
la memoria o il ricordo della cattiva e ribelle esistenza distorta d’ogni
uomo, annullerebbe sia la misericordia che il giudizio e, correggetemi se
sbaglio, anche la salvezza. Questo non credo faccia parte della sua natura di
Luce, Giustizia e Verità che siamo chiamati a testimoniare ed eseguire giorno
dopo giorno. Grazie per il tema di questa riflessione... Grazia e pace. Shalom.
{08-06-2010}
▬
Risposta
(Nicola Martella): Abbiamo visto che Dio non dimentica, quando
perdona. Tanto più, come è stato ricordato, perché è onniveggente e,
aggiungo, il Giudice di tutta la terra. Ammesso e non concesso che Dio
dimenticasse i singoli peccati, dopo averlo perdonati, ciò non
annullerebbe la salvezza, poiché la fonte di salvezza rimarrebbe
attiva e sempre disponibile per ogni ulteriore trasgressione commessa,
di cui il peccatore si ravvede. Il problema sarebbe non per la salvezza,
ma con la premiazione dei redenti. Essendo cancellata la memoria
di Dio riguardo ai demeriti dei credenti, tutti riceverebbero il massimo
del premi. Ciò è ingiusto e anche in contraddizione con 1 Corinzi 3;
infatti chi ha costruito la sua casa con materiali preziosi e chi è
salvato come attraverso il fuoco, avrebbero lo stesso premio. Dio
risulterebbe un Giudice poco affidabile. Grazie a Dio che le cose non
stanno così.
3. {Pietro
Calenzo}
▲
Grande è la maestà e potenza del nostro Signore Onnipotente. Che il Signore
cancelli il suo ricordo dei nostri peccati, mi pare inverosimile.
Possedendo l’Eterno tutti i santi attributi, insiti nella sua perfetta natura e
onniscienza, confermata da un così gran numero di passi scritturali, è
impossibile che Egli ne cancelli il ricordo. Mi pare che sia invece scritturale
la realtà divina che Egli, quando come credenti andiamo ai suoi piedi, per
chiedere e ottenere per la sua grazia, il perdono, Egli ne
cancelli gli effetti e la conseguente punizione. Se non fosse per la
gloriosa e immensa opera espiatrice del nostro Signore, Mediatore, intercessore
Gesù, chi si potrebbe avvicinare al trono della sua grazia! Ma come
c’istruisce l’apostolo Paolo, avendo aperto il Messia risorto una via recente,
accostiamoci con piena fiducia, avendoci acquistata una redenzione certa ed
eterna. A Dio la gloria. Benedizioni. {08-06-2010}
4. {Mario Di
Quinzanello}
▲
■ Contributo 1: «Io,
io sono colui che per amor di me stesso cancello le tue trasgressioni,e non mi
ricorderò più dei tuoi peccati» (Isaia 43,25). Al di là delle vedute
personali o dottrinali, io so soltanto una cosa, che questo passo della
Scrittura mi porta a temere il Signore e a non approfittare della sua
misericordia. Questo verso mi dice che, anche se io non riesco a perdonarmi,
anche se gli altri mi hanno messo un bollino addosso, per ricordarsi, il mio
Signore, quando ho confessato il mio peccato e glielo ricordo, mi dice: «Io
non mi ricorderò più», e questo mi basta. {08-06-2010}
▬
Risposta 1
(Nicola Martella): È vero, ciò è una na consolazione per noi peccatori,
ossia sapere che Dio non vuol riportarsi alla mente i nostri peccati. È altresì
vero che temere Dio, non ci fa approfittare della sua bontà. Essendo ciò
fuori dubbio, il
tema consiste appunto nell’appurare se perdonare significhi anche
dimenticare, come alcuni affermano… a torto.
■
Contributo 2 (Mario Di Quinzanello):
Sono sicuro che la grazia di Dio, dimostrata con la morte di Cristo e il suo
indescrivibile amore, va oltre il concetto umano. Nella dispensazione
della grazia si parla della pazienza di Dio e della sua misericordia. E la
descrizione del padre del figliol prodigo rende perfettamente l’idea d’un
padre che vuole dimenticare e cioè perdonare.
Ma quando pensiamo al peccato volontario di chi
grida sotto la croce: «Costui non è il nostro re», noi vediamo un rifiuto
volontario. Gesù che piange su Gerusalemme, mostra che ciò è una conseguenza per
chi non vuole, non accetta, rifiuta la protezione di Dio e si espone, quindi,
volontariamente alla condanna.
Ma non dimentichiamo che il giorno di vendetta
deve ancora arrivare e, se Dio aspetta, è perché vuole salvare e non condannare.
{08-06-2010}
▬
Risposta 2
(Nicola Martella):
Il peccato
volontario, ossia il rifiuto della grazia, non è qui in
discussione; chiaramente ci sarà il «giorno di paga» per tutti alla fine
dei tempi: gli uni a perdizione e gli altri a salvezza. Qui parliamo
soltanto se perdonare è dimenticare o solo non ricordare.
L’illustrazione
del padre del figliol prodigo mostra proprio il fatto che tale padre
aveva
riaccettato il figlio, creduto morto e che
aveva dilapidato la sua parte di eredità, ma che era ritornato confessando il
proprio peccato. Se tale padre, oltre a perdonare, avesse
dimenticato, avrebbe fatto un torto all’altro figlio, a cui apparteneva
de facto la proprietà restante. La riaccettazione è una cosa, i diritti sono
un’altra. Tale figlio venne riaccettato per misericordia paterna, ma i suoi
diritti all'eredità erano persi per sempre, essendo stati già onorati;
tanto è vero che egli stesso voleva essere trattato soltanto
come un servo, ossia uno che non aveva diritti.
Qui un padre dimentichevole, sarebbe stato un padre ingiusto.
■
Contributo
3
(Mario Di Quinzanello): Caro Nicola, non sono d’accordo quando affermi
che il figliol prodigo ha
perso i suoi diritti, perché è vero che lui dice: «Non sono più degno
d’essere chiamato tuo figlio»; ma risalta nel testo la determinazione del
padre nel comandare ai suoi servi di dare al figlio la veste più bella e di
mettergli un anello, che secondo me è la dimostrazione che il figlio ha ricevuto
di nuovo il diritto, che aveva perso.
Non è in discussione la necessità d’un ravvedimento, ma non dimentichiamo che
dove il peccato abbonda, la grazia di Dio sovrabbonda e come diritto mi
riferisco al diritto che Dio mi dà, che procede dalla grazia.
L’apostolo Paolo afferma io non sono degno d’essere chiamato apostolo...
ma per la grazia di Dio io sono quello che sono.
Non capisco perché tu
affermi che il figliol prodigo aveva perso i suoi diritti. {09-06-2010}
▬
Risposta 3
(Nicola Martella): Riguardo alla storia del cosiddetto figliol
prodigo, non bisogna confondere tale storia (probabilmente un fatto
di cronaca) con gli aspetti della storia della salvezza. Ogni cosiddetta
parabola ha una sola lezione spirituale (come le altre storie di tale
contesto): ciò che è perduto, può essere ritrovato, eccetera.
Tornando a tale storia di cronaca, bisogna tener presente quanto segue. Tale
giovane fede la seguente richiesta: «Padre, dammi la
parte dei beni, che mi tocca»
(Lc 15,12). Quindi si legge: «Ed egli
spartì fra loro
i beni». Ciò significa che tale figlio ebbe la sua parte d’eredità, e
l’altra apparteneva interamente a suo fratello.
La richiesta di tale giovane, che ritornò, non fu quella di avere ancora una
parte all’eredità del fratello, ma avendo perso il suo diritto di erede
(figlio ereditiere), chiedeva di rimanere lì almeno come servo (vv. 19.21), per
sopravvivere. La compassione del padre verso il figlio perduto riguardava gli
affetti
(v. 20) e la gioia festosa di aver ritrovato il figlio perso (vv. 22ss).
L’altro fratello era abbastanza adirato per tale accoglienza e si fece vento col
padre (vv. 28ss). Non era in discussione la parte d’eredità, che
apparteneva a tale figlio, che era rimasto a casa. Infatti il padre chiarì
subito: «Figlio, tu sei sempre con me, e
ogni cosa mia è tua» (v. 31);
ossia, l’altro suo figlio, avendo già ricevuto a sua parte d’eredità, non ne
poteva aspettare un’altra. Tale padre evidenziò soltanto la grande gioia di
aver ritrovato il figlio ritenuto morto (v. 32), né più, né meno. Se tale padre
avesse fatto diversamente, sarebbe stato
ingiusto. I panni sporchi si sarebbero lavati in casa dopo la festa, magari
il giorno dopo; ora era tempo di festeggiare.
Questa è la storia, un fatto di cronaca reale. Bisogna guardarsi dallo
spiritualizzare
tutto ciò. Se si proietta in ciò tutta la soteriologia (dottrina della
salvezza), si fa solo danno a tale storia e alla comprensione della salvezza.
Tale storia aveva una sola lezione e basta, come tutte le altre
dell’intera sezione: ciò che è perduto, è stato ritrovato (pecora, dramma).
Tutto ciò non ha però molto a che fare col nostro tema «perdonare e
dimenticare». Né ha a che fare con la grazia di Dio, che sovrabbonda rispetto al
peccato (Rm 5,20), né con le affermazioni personali di Paolo sulla sua indegnità
biografica e dignità in Cristo (1 Cor 15,9s).
5. {Angela
Morana}
▲
Sono d’accordissimo col fratello Pietro. Dio dicendo «non mi ricorderò»,
è chiaro che intende il fatto che attraverso il sangue di Gesù copre i
nostri peccati e ci perdona, e diciamo che non li ricorda più perché Gesù ha
pagato per i suoi figli. Lui vede noi
attraverso Gesù, il giusto. È chiaro che qui non si parla di memoria,
Dio è l’Onnipotente, vede e sa tutto, quindi non dimentica.
Ora, però, il suo «non ricordare» vuole insegnarci
qualcos’altro. Quindi, con questo vuole anche «insegnarci» che noi
dobbiamo perdonare, alla stessa maniera, chi ci fa del male, e non farci
guidare dalla carne, come quando eravamo senza Dio! Tutti diciamo: «Sì, a parole
è facile!». Ma deve esserlo e può esserlo, solo
se viviamo una vita «nascosta in Cristo». Non dobbiamo amare solo a
parole, come dice l’apostolo Giovanni nella sua prima lettera. Se siamo figli di
Luce, dobbiamo manifestarlo con i nostri atti. E quello del perdono è l’atto
più grande e, se non perdoniamo, non siamo suoi figli... e, non
saremo perdonati. Ecco cosa ci vuole insegnare il Signore, che col perdono
dobbiamo togliere ogni ruggine, ogni rancore verso l’altro dal nostro
cuore. E non dobbiamo sentirci mai superiori per aver perdonato qualcuno,
perché anche noi possiamo sbagliare alla stessa maniera (se non peggio), ma
dobbiamo riguardare all’Agnello di Dio che per noi s’è immolato sulla croce, per
noi che non eravamo né amabili, né puri... anzi! {08-06-2010}
▬
Osservazioni
(Massimiliano Monti): Dio non copre il peccato. Ad Adamo e Eva il peccato fu
coperto. Quando s’offrivano i sacrifici, Dio copriva il peccato. Ma con il
sacrificio di Cristo, mediante il suo sangue, Egli cancella. Se il nostro
peccato fosse solo coperto e non cancellato, esso sarebbe ancora lì, ma
il nostro peccato viene non coperto ma cancellato. Scusa, sorella Angela, se ho
detto questo, ma era doveroso, Gesù non ha coperto ma cancellato il nostro
peccato. Che Dio poi se ne ricordi o meno, questo poco importa, esso è di fatto
cancellato. {08-06-2010}
▬
Replica
(Angela Morana): Sì, hai ragione, ho sbagliato espressione! Lui ha
cancellato i nostri peccati e non se ne ricorda più, perché il suo amore è
grande e non perché ha poca memoria. È chiaro questo. Scusa, ma m’ero
espressa male, anche se era quello che intendevo. Buona serata. {08-06-2010}
▬
Risposta
(Nicola Martella): Massimiliano Monti e Angela Morana, vi faccio notare che
«coprire il peccato» è una questione terminologica legata alla lingua ebraica.
Nehemia pregava come segue a causa di Tobia e degli altri schernitori pagani: «E
non
coprire la loro iniquità, e non sia
cancellato dal tuo cospetto il loro peccato» (Ne 4,5).
Ancora nel NT nei libri redatti da Giudei cristiani e destinati a Giudei
cristiani, è scritto: «Sappiate che colui, che riconduce un peccatore dallo
sviamento della sua via, proteggerà l’anima di lui dalla morte e
coprirà
moltitudine di peccati» (Gcm 5,20). «...l’amore
copre
moltitudine di peccati» (1 Pt 4,8). Tale modo d’esprimersi viene dal fatto
che «espiare» significa coprire; il propiziatorio era il coperchio
sopra l’arca, su cui si metteva il sangue della vittima: esso appagava la legge
contenuta nell’arca, coprendo appunto il peccato dinanzi a Dio.
Affermare quindi che
il sangue nell’AT «copriva» il peccato, mentre quello del NT lo «cancella», è
un’inesattezza
sia linguistica, sia teologica. Cancellare i peccati (o colpe) non sta soltanto
nel NT (At 3,19), ma già nell’AT: «Nascondi la tua faccia dai miei peccati, e
cancella tutte le mie iniquità»
(Sal 51,9; Gb 7,21; Is 43,25; Ger 18,23). La differenza non sta nei termini, ma
nell’eccellenza del sangue del nuovo patto e nella irripetibilità del
sacrificio di Cristo (Eb 9,11ss.23).
▬
Replica
(Angela Morana): Grazie Nicola! Spiegazione chiarissima! Ecco perché non mi
sembrava di essermi sbagliata. Comunque è buono chiarire i termini, perché per
questo, a volte, si fa confusione inutile. {08-06-2010}
6. {Ealasaid
Flur Bheag}
▲
Interessante discussione, e io ho il mio piccolo pensiero in proposito, ve lo
propongo e vorrei sapere cosa ne pensate. Credo che il perdono sia strettamente
legato al
pentimento e ravvedimento. Dio perdona solo quando ciò avviene. Se mia
figlia mi disubbidisse, io esigo che mi chieda scusa per quello che ha fatto, e
che non si ripeta. Fino ad allora il nostro rapporto è interrotto. Dopo il
pentimento e il ravvedimento, io sono capace di dimenticare nel senso che non
le rinfaccerò sempre ciò che ha fatto, anche se ovviamente rimarrà nella mia
memoria. Dio perdona così coloro che s’avvicinano a lui con pentimento e, in
questo senso, dimentica i loro peccati. {08-06-2010}
▬
Osservazioni
(Massimiliano Monti): È corretto il tuo pensiero, alla base d’un perdono vi è un
ravvedimento; questo è o dovrebbe essere scontato. Infatti Dio ci perdona, a
patto giustamente che noi ci ravvediamo. {08-06-2010}
7. {Vincenzo
Russillo}
▲
Il perdono potrebbe qualificarsi come un’attitudine che non cancella, ma risana
ovvero ristabilisce un rapporto. Questo è avviene ogni giorno, nel profondo
legame tra Dio e l’uomo: viene rinsaldata nuovamente questa unione attraverso il
suo amore e il perdono. Il Signore senz’altro comanda ai credenti di
perdonarsi a vicenda (Efesini 4,32). Ma quest’atto di profondo amore implica
che bisogna cancellare ciò che è successo? Perdonare non significa
assolutamente dimenticare. Il perdono è una decisione volontaria, che rende
liberi da dissidi e riconcilia chi ha commesso il torto verso colui che
l’ha subito: ciò implica anche un vero e proprio cambiamento. Nella fattispecie
nel rapporto tra Dio e l’uomo, Egli sa già dall’inizio dei tempi dei nostri
errori: «Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio» (Romani
3,23). Ma senz’altro troviamo scritto nell’epistola agli Ebrei: «Perché avrò
misericordia delle loro iniquità e non mi ricorderò più
dei loro peccati» (Ebrei 8,12). L’Eterno, avendo perdonato il peccatore,
considera ciò, che è successo, come se non fosse mai accaduto; Egli non
può dimenticare, ma mediante la nostra fede in Cristo, Egli cancella i
nostri peccati. {08-06-2010}
▬
Osservazioni
(Nicola Martella): L'espressione: «L’Eterno, avendo perdonato il peccatore,
considera ciò, che è successo,
come se non fosse mai accaduto», è incauta, un luogo comune, basato su
una convenzione spiritualista. Una tale concezione astorica non è presente nella
Scrittura. Dio perdona ciò, che di peccaminoso è accaduto, laddove c'è il
ravvedimento e la richiesta di remissione, ma non smette di considerarlo come
accaduto. Riprendo tale questione alla fine del prossimo contributo.
8. {Carlo
Altieri}
▲
■
Contributo 1: Un saluto. Mi pare strano
sentire, se ben ho capito, che Dio perdona, ma non dimentica. Come si può
perdonare e non dimenticare? Non resterebbe rancore? È come si concilia
il verso di Isaia 43,25? Oppure in Atti 3,19? Vero è che coloro che non credono,
dovranno subire conseguenze, Dio in quel caso non dimenticherebbe; ma per coloro
che aprono il cuore, il perdono è assicurato e ogni cosa è dimenticata da Dio.
Non riusciremmo veramente a perdonare, se nella nostra mente resterebbe il
ricordo del torto o offesa subita. Ovviamente in questo lo Spirito Santo ci
verrebbe in aiuto; questo credo. In ogni caso, non sto criticando nessuno, sia
chiaro; la pace sia su ognuno! {08-06-2010}
▬
Risposta 1
(Nicola Martella): Mi chiedo se tale lettore abbia letto l'intero articolo sul
sito? Se lo farà, le nebbie si diraderanno e capirà... In ogni modo, «non voler
ricordare» (= non riportarsi alla mente, non farne conto) e dimenticare
(cancellare dalla mete) sono due cose differenti; il primo si trova nella Bibbia
(Is 43,25; At 3,19), il secondo no.
■
Contributo 2 (Carlo Altieri): Penso d’aver letto l’articolo. In pratica
tu dici che Dio perdona e non dimentica; quelle che tu chiami nebbie son
rimaste. Per quanto riguarda i libri storici, è chiaro che sono anche
d’insegnamento, quindi devono riportare le azioni divine rispetto all’ubbidienza
o disubbidienza. Chiaramente un popolo o un singolo riceverà la giusta
retribuzione. Gli esempi che citi tipo il Salmo 109, si riferiscono a una
richiesta di Davide verso chi l’opprime e lo perseguita, un empio quindi e la
sua progenie; è verso quella che il salmista dirige la ricordanza di Dio, nel
non dimenticare il peccato non verso un credente. Chi riceve perdono e lavacro
di peccati è sicuro che non ci sarà memoria da parte di Dio; da nessuna
parte è scritto il contrario. Per quel che concerne l’atto accusatorio in
Colossesi 2,14, quello è
cancellato; per me una cosa cancellata, è cancellata, non esiste più. Ha
fatto un pubblico spettacolo delle potestà sconfitte attraverso la croce, mentre
i credenti sono stati perdonati da tutte le iniquità e peccati; non si
menziona nulla riguardo al ricordare qualcosa. Tutto questo conferma quanto
credo; per il credente il peccato è perdonato e dimenticato, grazie a
Lui. A rigor di logica come si potrebbe gustare la presenza di Dio, sentendosi
sporchi di peccati commessi, senza certezza d’essere stati lavati e purificati,
come se non fossero stati mai commessi? E se Dio ricordasse i peccati,
dopo averli perdonati e lavati, come potrebbe avere armonia con il credente? Una
cosa lavata, è lavata... non esiste memoria della macchia. Ringrazio Dio
che perdona i miei peccati, e son certo che non se ne ricorderà. Pace a te e a
quanti leggeranno. {09-06-2010}
▬
Risposta 2
(Nicola Martella): Vedo che il lettore non ha afferrato la differenza
fra «non (voler) ricordare» (= non riportarsi alla mente, non farne
conto) e dimenticare. Il «cancellare» nei brani biblici si riferisce ai
peccati (o colpe) e al documento, che le attesta (Legge mosaica), ma non
alla
consapevolezza di Dio in merito a ciò che è successo. Dio cancella
le colpe, non vuole poi riportarsele alla mente, ma non le dimentica
come fatto storico successo. Inoltre, un Dio onnisciente non
dimentica! Ciò che è stato perdonato, lavato o cancellato, non ha più
vigore in giudizio quanto a punizione; ma non per questo viene
dimenticato come fatto storico. Altra cosa è per il premio che si può
defraudare e di cui si può quindi subire il danno (Col 2,18).
Un Dio che dimentica i fatti accaduti, come farebbe a essere un giusto «rimuneratore
di quelli che lo cercano» (Eb 11,6) e «giudice di tutta la
terra» (Gn 18,25; Sal 94,2)? Anche per i figli di Dio, il perdono è una
cosa, il
premio secondo le proprie opere è un’altra (Ap 2,23; 22,12); se il Signore
dimenticasse, come farebbe a premiare in modo giusto i credenti? Il credente
pigro e indolente riceverebbe lo stesso trattamento del credente fedele e
solerte!? Secondo 1 Corinzi 3, alcuni credenti saranno salvati appena in
tempo (v. 15), senza alcun premio, avendo essi vissuto in modo indegno, mentre
altri riceveranno una buona ricompensa (v. 14), poiché avranno accumulato ricchi
premi di fedeltà al Signore (cfr. Mt 6, 20).
Faccio anche un esempio pratico. Mettiamo il caso che un conduttore di
chiesa cada in un peccato di infedeltà (in campo sessuale, economico, ecc.) e la
comunità lo destituisce da tale carica e ministero. Egli alla fine si ravvede,
si umilia dinanzi a Dio, ripara alle malefatte e chiede perdono anche alla
chiesa, che glielo concede. L’uomo viene riammesso in comunione. Nessuno vorrà
rivangare ciò che è stato (ricordare), al fine di ferirlo. Potrà la chiesa
locale mai dimenticare tale scandalo? Che cosa farà essa, quando tale credente
chiederà di essere riammesso al ministero di conduttore, visto che ha ottenuto
il perdono? Chiaramente il perdono (riaccettazione nella comunione) e la
sanzione (esclusione dalla conduzione) non sono la stessa cosa. Neppure «non
voler ricordare» (per rinfacciare) e «dimenticare» sono la stessa cosa. Ogni
chiesa locale ha un protocollo di disciplina ecclesiale in caso di
infedeltà e la riabilitazione ministeriale segue normalmente un percorso a tappe
più o meno lungo, che va dal perdono pubblico fino all'eventuale reintegro nel
ministero precedente.
Un’ultima annotazione
è la seguente. Il lettore afferma che Dio ci tratterrà come se i nostri peccati
«non fossero stati mai commessi»; pur cercando in tutta la Bibbia, non ho
trovato nulla del genere; in essa s’afferma invece che Egli tratterà i credenti
come coloro, a cui è stato perdonato, a causa dei meriti di Cristo. Questa è
tutta un’altra cosa.
■
Contributo 3 (Carlo Altieri):Che
buffo, fai un notevole
distinguo fra il «non ricordare» e «dimenticare», il non riportarsi alla
mente... ma secondo te non significano tutti la stesa cosa? Dimenticare? Ripeto
è chiaro che i peccati li ricordano quelli che non hanno lavato le loro vesti;
ed è chiaro che Dio ricorda di ricompensare i suoi... ma non ricorderà i peccati
di coloro che avrà cambiato in nuove creature, lavate con il prezioso sangue di
Cristo... La chiamata al ravvedimento anche in Atti 3,19: «Affinché i vostri
peccati siano cancellati». Questo cancellare, significa «come mai
esistiti»; cancellare è cancellare; significa mai fatti, non puoi ricordare
qualcosa mai fatta, questo è nelle possibilità di Dio. Permettimi di continuare
a non essere d’accordo con te su questa questione... Buon discernimento a te. La
pace di Cristo sia nel tuo cuore. {10-06-2010}
▬
Risposta 3 (Nicola Martella): È difficile spiegare qualcosa
a chi non sa capire. Dovrei ripetermi, ma vedo che è inutile. «Non
ricordare» non è dimenticare. In
tutta la Scrittura non viene mai detto che Dio dimentichi gli
atti peccaminosi degli uomini, neppure quelli da Lui perdonati.
Cancellare una colpa non significa cancellare l’atto storico
peccaminoso, come se mai fosse accaduto (questa è una spiritualizzazione
che non trova conferma nella Scrittura), ma soltanto che non viene più
imputato, poiché un altro ha pagato.
È la logica del condono: l’atto storico dell’infrazione rimane, ma il
legislatore dando la possibilità di sanare la situazione, toglie la possibilità
di essere perseguiti per l’infrazione commessa, una volta che si è regolarizzata
la propria posizione. Quando la casa verrà venduta, non sarà come se essa fosse
stata costruita secondo le regole, ma come una che è stata condonata; il notaio
chiederà appunto copia del condono.
È la logica dell’amnistia: l’atto storico del crimine rimane, ma il reo
può lasciare lo stesso il carcere, non come uno che non ha mai commesso il
reato, ma come uno a cui è stata fatta grazia. Gli atti commessi non vengono
dimenticati dalla legge, soltanto non vengono più imputati. Né per la legge né
per la coscienza tali atti storici peccaminosi possono essere considerati come
se non fossero mai stati commessi.
Penso che terminiamo
qui questo confronto, per non ripeterci. Il tema è oramai concluso.
9. {Andrea
Poggi}
▲
Caro Nicola, vorrei
lasciare un piccolo contributo in relazione al tema «Dio perdona, ma non
dimentica!». Mi riferisco alla tua riposta n° 2 fatta a Carlo Altieri, quando
fai l’esempio pratico citando un
conduttore di chiesa che cade in un peccato d’infedeltà. Personalmente credo
che questo esempio chiarisce qualcosa di veramente potente riguardo a ciò che
Dio è veramente. Dunque: caduta, conseguenze, destituzione da carica e
ministero, poi ravvedimento e umiliazione del fratello davanti a Dio e alla
chiesa (e fin qui niente da dire); ma vediamo le conseguenze: perdono di Dio
(totale) e della chiesa (parziale). Perché? La chiesa «riaccetta nella
comunione», ma «lascia l’esclusione dalla conduzione»; ovvero: perdono parziale
che viene impedito dal poter più esercitare la chiamata da parte del credente in
questione, perché purtroppo la chiesa in verità «non perdona» e nemmeno
«cancella» (nel senso che «vuole ricordare il peccato», non lo fa verbalmente
per non ferire, per non rinfacciare, ma lo fa con la pratica, escludendo, così
ammazza del tutto! Dio ci liberi!). Dio invece «perdona» e «riabilita» perché
non è un uomo (sicuramente «non può dimenticare la colpa come fatto storico», ma
al contrario dell’uomo che «nemmeno le cancella per non portarle alla mente»,
Egli lo fa eccome!). Dio ci ha scelti per servirlo e la chiamata che ha fatto ad
ognuno non è a tempo determinato, un ministro di Dio rimane tale fino alla fine
della corsa. La chiesa può anche non ammettere più la persona (in questo caso
alla conduzione), ma ciò vale per qualsiasi altro servizio, e questo è il
problema della chiesa, che dovrà risponderne davanti a Dio; la chiesa ha senza
dubbio perdono (?) e sanzione, ma Dio ha perdono e riabilitazione. Grazie per
l’attenzione. Tante benedizioni, caro fratello Nicola. {10-06-2010}
▬
Risposta (Nicola Martella): Veramente rimango perplesso
dinanzi a questa
sfuriata non abbastanza ponderata, che è per altro fuori tema rispetto al
titolo della questione e che prende spunto su un esempio collaterale. In ogni
modo, faccio presente che quando un credente o un conduttore cade in un grave
peccato, la chiesa commina una disciplina ecclesiale. Qualora non vi sia
un sincero e totale ravvedimento, il soggetto può essere allontanato. Quando
tale credente si ravvede, il perdono e la sanzione non sono in contraddizione o
antitesi, ma si trovano su due livelli diversi.
Anche Dio distingue fra perdono e sanzione nel suo agire. Il salmista
affermò: «Fosti per loro un Dio
perdonatore, benché tu punissi le loro male azioni» (Sal 99,8). Nel «salmo
di Davide, quando il profeta Nathan venne a lui, dopo che Davide era stato da
Batseba» (Sal 51), ci sono tutti gli elementi di un sincero pentimento.
Quando Davide disse a Nathan: «Ho peccato contro l’Eterno», questo gli
rispose: «E l’Eterno ha perdonato il tuo peccato; tu non morrai» (2 Sm
12,13). Anche altrove Davide confessò: «Tu hai perdonato l’iniquità del mio
peccato» (Sal 32,5). Eppure ciò non rimase senza conseguenze, come gli
comunicò il profeta Nathan: «Il figlio, che t’è nato, dovrà morire» (v.
14). A ciò si aggiungevano altre sciagure di tipo familiare e politico (vv.
9-12).
La disciplina ecclesiale
del reo confesso e la sua riabilitazione passano per diversi stadi, durante i
quali egli deve dare prova di se stesso e di essersi veramente ravveduto nei
fatti: 1. Perdono; 2. Riaccettazione in comunione; 3. Affidamento di incarichi
minori; 4. Affidamento di incarichi non decisionali; 5. Reintegro completo
nell’incarico e ministero precedente.
Tutto ciò ha anche uno scopo pedagogico sia per tale credente caduto nel
peccato e poi riabilitato, sia per la comunità. Infatti, è scritto per i
servitori: «E anche questi siano
prima provati; poi svolgano il
servizio, se sono irreprensibili» (1 Tm 3,10). Chiudiamo qui questa
questione, poiché ci fa deviare dal tema principale. In ogni modo, anche il tema
principale è stato oramai sondato abbastanza e può ritenersi chiuso. Muoversi in
cerchio fa perdere soltanto tempo ed energie.
10. {Francesca
Aglieri Rinella}
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Eppure fratello, Dio dice che getterà i nostri
peccati nel mare della dimenticanza... ovviamente quanto c’è il vero e sincero
pentimento! {11-06-2010}
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Risposta (Nicola Martella): Sì, getterà i peccati nel fondo
del mare (Mi 7,19): questa è una metafora per dire che non vuole riportarseli
alla mente; tale espressione vale nello stesso verso all'altra: «Si metterà
sotto i piedi le nostre iniquità», ossia non darà loro più nessun peso.
Nella Bibbia però non c’è un «mare della dimenticanza». Queste sono soltanto
metafore per far capire il fatto che Dio non vuole più imputare le colpe.
Tuttavia, un Dio onnisciente non dimentica, ma perdona lo stesso coloro che si
ravvedono.
11. {Angela
Palmieri}
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Ho sempre saputo che, dopo una confessione
sincera, Dio ci perdona realmente i nostri peccati, allontanandoli
come l’oriente dall’occidente, e di conseguenza ci tratta come se non li
avessimo mai
commessi! {12-06-2010}
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Osservazioni (Patrizia Miceli): Infatti, se li ricorda, ma
ci tratta come se non li avessimo commessi. Questa è misericordia.
▬
Risposta (Nicola Martella): Il verso menzionato recita
così: «Quanto è lontano il levante dal ponente, tanto ha egli allontanato da
noi le nostre trasgressioni» (Sal 103,12). Tale verso fa parte di una serie
di metafore che esprimono il perdono immeritato di Dio e la sua clemenza verso
coloro che lo temono (vv. 10-14). Anche qui si vuol dire che Dio non ha imputato
le iniquità, ma ha rimesse le colpe.
Ripeto ancora una volta: Il Dio onnisciente non dimentica, ma perdona (=
condona) i peccati di coloro, che si ravvedono. Dio non ci tratta come se non li
avessimo mai commessi, poiché i fatti storici (le infrazioni) non possono essere
aboliti, ma non ci imputa più le colpe. Rimaniamo peccatori, ma perdonati. Così
è per i pregiudicati che ottengono la grazia; così è per una casa condonata. Non
si è più perseguibili, ma la memoria storica rimane.
12. {}
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► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_Dot/T1-Dio-perdon_non-diment_Avv.htm
08-06-2010; Aggiornamento: 13-06-2010 |