Il lettore prende qui posizione riguardo all’articolo «Ateobus:
Quando gli atei s’attaccano al tram». Il seguente
contributo avrebbe potuto trovare posto all’interno del tema di discussione «Ateobus?
Parliamone», ma a causa della sua lunghezza,
della trattazione di aspetti specifici
e di un'adeguata risposta, abbiamo preferito metterlo extra.
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1. Le tesi
{Andrea Bargagli}
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Volevo
commentare, solo un particolare aspetto della questione. Premesso che
sono d’accordo con molto di quanto discusso, e in particolare che non è
una iniziativa felice, che rappresenta un altro dogma (quello
dell’ateismo), che la dicitura in inglese era assai meno aggressiva e
che comunque la seconda parte del messaggio (enjoy your life) era
positiva, mentre la versione italiana assomiglia più a uno slogan
politico.
Il punto di cui voglio parlare è il seguente: perché (a parte le
motivazioni politiche) qualcuno dovrebbe prendere una tale iniziativa?
Credo che questa sia un’esigenza da parte di chi è ateo e che possa
avere a che fare con alcuni aspetti della religione, e io qui mi limito
a prendere in considerazione quella cristiana (di cui in realtà conosco
solo la componente cattolica, quindi potrei fare affermazioni non
generalizzabili alle altre confessioni cristiane).
Il punto è che per coloro che sono disponibili ad ascoltare la Parola
di Dio, le modifiche che quest’ascolto suggerisce - inizia - attua
nella propria vita, sono percepite come positive come verso una vita più
piena, senza paure senza fobie, senza limitazioni (scegliere un regalo
invece d’un altro non è una limitazione ma una libera scelta). L’aspetto
che invece viene portato più a conoscenza della religione, è solo
l’applicazione della regola. Sembra quasi che per un cristiano in
ogni situazione di «vita vissuta» sia possibile trovare una regola, un
comandamento. La vita diviene allora una accettazione di limitazioni,
l’applicazione di successive regole di comportamento. Ecco che si
discute se in quel tal caso un cristiano è meglio che si comporti così o
cosà, e una volta stabilito che «cosà» è meglio, «cosà» diviene una
regola. Il problema è che questo comportamento viene applicato anche ad
aspetti che dovrebbero riguardare solo il nostro intimo. Per esempio: «Ama
il prossimo tuo come te stesso» diviene una regola, ma
l’amore che ne consegue, è fittizio, è un amore preteso. Preteso nel
senso che non è amore nel senso pieno (accettazione incondizionata
dell’altro) ma un suo surrogato che ha uno scopo, quello di fare di me
uno che «ama il prossimo», uno che rispetta la regola, uno che andrà in
paradiso.
Ecco allora che per aiutare gli altri, non offriamo spontaneamente
e senza sforzo il nostro possibile aiuto, non offriamo la nostra
amicizia. Sopratutto offriamo il nostro consiglio: la nostra regola di
comportamento. E molto spesso quell’offerta diventa un tentativo di
convincimento, di costrizione.
Ecco che gli altri (gli atei per esempio) possono avvertire, percepire
questa falsità, e reagiscono, perché avvertono che la loro
libertà è minacciata (forse a ragione). Se venisse veramente offerta
loro vicinanza e disponibilità non credo che percepirebbero una
minaccia alla loro libertà.
Naturalmente, lo scopo di questa mail non è di difendere la libertà
degli atei (anche se sarebbe legittimo), ma far notare che se si
trascura l’intimo dell’uomo, e quindi anche l’intimo del credente, è
difficile giungere a una comprensione limpida della realtà. {13 marzo
2009}
2. Osservazioni e obiezioni
{Nicola Martella}
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La
livella per i cristiani
Chiaramente per un credente biblico, ossia la cui massima autorità è la
sacra Scrittura, ciò che vale è ciò che «sta scritto», ciò che a Dio
piace, quello che è la volontà di Dio. Gesù stesso si difese dal diavolo
con «sta scritto» (Matteo 4,4.10); chiaramente anche il diavolo
lo disse, ma strumentalizzando la Scrittura. Per il credente biblico ciò
che «sta scritto» decide fra verità e menzogna, fra giustizia e
iniquità.
Quanto a ciò che a Dio piace, Esdra disse al popolo contaminato
con costumi pagani: «Voi avete commesso una infedeltà… Ma ora rendete
omaggio all’Eterno, al Dio dei vostri padri, e
fate quel che a lui piace!» (Esd 10,10s). Il «se piace a
Dio» (Romani 15,32) o «se piace al Signore, saremo in vita e
faremo questo o quest’altro» (Giacomo 4,13-16), determina la vita
del credente biblico ed è un atto di umiltà riguardo a un futuro che non
sta completamente nelle mani dell’uomo; similmente è quando si parla del
volere (o volontà) di Dio in una certa situazione (Romani 1,10).
Gesù stesso proclamò pubblicamente e al cospetto dei suoi famigliari,
che erano venuti per prenderlo, ritenendolo fuori di senno: «Chiunque
avrà fatta la volontà di Dio, mi è fratello, sorella e madre»
(Marco 3,35). Al credente biblico viene raccomandata questa
trasformazione: «E non siate conformi a questo mondo, ma siate
trasformati mediante il rinnovamento del senno, affinché siate in grado
di provare quale sia la volontà di
Dio: quella buona e gradita e perfetta» (Romani 12,2).
Riguardo ai cristiani di Colosse Paolo e la sua squadra missionaria
pregava e chiedeva a Dio che «siate ripieni della profonda
conoscenza della volontà di Dio in ogni sapienza e intelligenza
spirituale, affinché camminiate in modo degno del Signore per
piacergli in ogni cosa, portando
frutto in ogni opera buona e
crescendo nella conoscenza di Dio»
(Col 1,9s; cfr. 4,12). Poi si parla esplicitamente di cose che sono
nella volontà di Dio, ad esempio: astenersi dalla fornicazione, trattare
il proprio corpo con santità e onore, non soverchiare il fratello né
sfruttarlo negli affari (1 Tessalonicesi 4,3-7); e anche: ammonire i
disordinati, confortare gli scoraggiati, sostenere i deboli, esser
longanimi verso tutti, non rendere male per male, cercare sempre il bene
degli altri, essere sempre allegri, non cessare mai di pregare, rendere
grazie a Dio in ogni cosa (5,14-18).
Si badi bene che Dio non salva chi fa opere buone, ma solo per grazia
mediante la fede; ma chi è stato da Dio salvato, fa buoni frutti, al
pari di un albero innestato. Chi fa la volontà di Dio permette al
Signore di realizzare le sue promesse nella vita del credente (Ebrei
10,36). Inoltre, così facendo il bene, si tura «la bocca alla
ignoranza degli uomini stolti», si mostra di essere servi di Dio (1
Pietro 2,15s) e ci si allontana dalle concupiscenze degli uomini (4,2).
Ciò può portare incomprensioni e sofferenze da parte degli altri (3,17;
4,19), ma il credente sa che «il mondo passa via con la sua
concupiscenza, ma chi fa la volontà di Dio dimora in eterno» (1
Giovanni 2,17).
Volontà di Dio e convenzioni umane
Bisogna assolutamente distinguere ciò che Dio ha veramente comandato
nella sua Parola e se ciò valga per i credenti del nuovo patto, i quali
non appartengono alla teocrazia d’Israele, ma alla «assemblea» del
Messia. Il discorso sulle «convenzioni umane», accreditate a
precetti religiosi, è reale. I credenti biblici sono chiamati a
verificare se le cose che praticano siano cose comandate esplicitamente
da Dio o se sono state inventate da gente religiosa in tempi
post-biblici. Gesù stesso accusava i maestri religiosi del suo tempo di
aver snaturato il comandamento divino mediante le proprie convenzioni
religiose: «Voi, lasciato il
comandamento di Dio, state attaccati alla
tradizione degli uomini. E diceva loro ancora: Come ben sapete
annullare il
comandamento di Dio per osservare
la tradizione vostra!»
(Marco 7,8s). Questo è quindi un rischio reale. Come credenti biblici
siamo chiamati a provare noi stessi e le nostre pratiche, per appurare
se sono in sintonia con la volontà, esplicitamente dichiarata da Dio nel
nuovo patto, e per emendare in corrispondenza i nostri costumi e le
nostre pratiche. [►
Tradizioni e convenzioni: che cosa determina il comportamento cristiano?;
►
L’etica della libertà e della responsabilità]
Amore e volontà di Dio
Mi ha alquanto meravigliata l’asserzione, secondo cui il comandamento «Ama
il prossimo tuo come te stesso», divenga una mera regola. Si
trascura di vedere che, se qualcosa ci viene ingiunto da Dio, è perché è
giusto dinanzi a Lui e perché la nostra natura è incline a fare altro.
Un amore non è fittizio solo perché ci viene ricordato che sia giusto
praticarlo. È un po’ una disquisizione oziosa parlare del fatto che non
sarebbe «amore nel senso pieno», se viene preteso; è come dire che
l’insegnante sbaglia a insegnare a praticare certe cose. Non è il
prossimo a reclamare l’amore, ma è Dio a comandarlo ai suoi seguaci; e
questo perché l’inclinazione naturale della carne è soltanto quella
verso «l’amor proprio» e «l’amore per il proprio clan» di
riferimento, mentre il Signore ci insegna ad amare anche coloro che ci
sono avversari (Matteo 5,44). Per praticare qualcosa, ci dev’essere
insegnato; il comandamento serve a questo. Biblicamente parlando, non si
ama il prossimo per andare in Paradiso, ma chi è stato già
rigenerato da Dio, ha piacere a osservare il suoi comandamenti e ad
amare il prossimo. Questa viene addirittura presentata come prova del
nove
fra i veri e i falsi credenti. «Se uno dice: “Io amo Dio”, e odia il
suo fratello, è bugiardo; perché chi non ama il suo fratello che ha
veduto, non può amar Dio che non ha veduto» (1 Giovanni 4,20). «Chi
dice: “Io l’ho conosciuto”, e non osserva i suoi comandamenti, è
bugiardo, e la verità non è in lui; ma chi osserva la sua parola, l’amor
di Dio è in lui veramente compiuto» (1 Giovanni 2,4s).
Noi siamo abituati ad andare a scuola per imparare. Lo stesso vale per
la «scuola di Dio»: i suoi insegnamenti sono necessari per creare
in noi il suo carattere. Uno di queste lezioni essenziali è di imparare
ad amare con l’amore che Dio ci ama. Per questo Gesù insegnò: «Io vi
do un nuovo comandamento:
che vi amiate gli uni gli altri.
Com’io v’ho amati, anche voi
amatevi gli uni gli altri. Da questo conosceranno tutti che siete
miei discepoli, se avete amore gli
uni per gli altri» (Giovanni 13,34s). Anche gli apostoli insegnarono
ai giovani credenti quanto segue: «Avendo purificate le anime vostre
con l’ubbidienza alla verità
per arrivare a un amore fraterno
non finto, amatevi l’un l’altro
di cuore, intensamente, poiché siete stati rigenerati non da seme
corruttibile, ma incorruttibile, mediante la parola di Dio vivente e
permanente» (1 Pietro 1,22s). I comandamenti di Dio sono stimoli,
lezioni di vita perché impariamo a esercitarli e ad assimilarli nel
nostro carattere.
Amore e libertà
La descrizione mirabile dell’amore di Dio in noi, in tutti i suoi
aspetti, si trova in 1 Corinzi 13. L’amore non minaccia la libertà
degli altri, essendo esso per definizione la ricerca del bene degli
altri. In tale «bene» rientra, secondo la sacra Scrittura, la
testimonianza della verità biblica. Dio concede all’uomo la libertà di
vivere anche senza di Lui, sia nel tempo che nell’eternità. Quanto alla
falsità e all’ipocrisia, questi sono articoli che si possono
insinuare in tutte le menti, comprese quelle degli atei. Biblicamente
parlando, si può «giungere a una comprensione limpida della realtà»
soltanto nutrendo il «timor di Dio», ossia mettendolo al primo
posto nella propria vita, nei propri pensieri, nelle proprie decisioni e
nei propri atti. «Il timor dell’Eterno è
l’inizio della sapienza;
buon senno hanno tutti quelli che mettono in pratica la sua
istruzione» (Salmo 11,10). «Il timor dell’Eterno è
scuola di sapienza; e l’umiltà precede la gloria» (Proverbi
15,33). A che classe ci troviamo nella scuola del Signore?
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Cul/A1-Atei_fede_regole_Avv.htm
13-03-2009; Aggiornamento: |