Qui discutiamo l'articolo «La
chiesa di Berea in Atti 17,11?». Specialmente nel Web si trovano asserzioni scontate da parte ci coloro, che
prendono per scontato che i Bereani di Atti 17,11 fossero, già in tale fase,
«credenti», ossia «cristiani» all’interno di una «chiesa», appunto quella
di Berea. Eppure Paolo e Sila si recarono in una sinagoga. Come stavano
veramente le cose?
I Giudei di Berea necessitarono vari giorni per analizzare le parole di
questi missionari alla luce dell’AT, prima che molti di loro si decidessero a
riconoscere Gesù quale Messia. Nella fase, in cui verificarono le cose, non
erano, quindi, ancora «cristiani»; solo dopo aver accertato puntualmente le
cose, si decisero di abbracciare la fede in Gesù Messia.
Ecco i fatti. Paolo e Sila si trovavano dapprima a Tessalonica, dove era
in pericolo la loro incolumità, a causa dei Giudei.
«Ma i fratelli subito, di notte, fecero partire
Paolo e Sila per Berea; ed essi, appena giunti, si recarono nella sinagoga
dei Giudei. [11] Or questi [Giudei] erano più nobili di quelli di
Tessalonica, perché ricevettero la Parola con ogni premura, esaminando ogni
giorno le Scritture per vedere se le cose stavano così. [12] Molti di loro
[Giudei], dunque, credettero, e così pure un gran numero di nobildonne
greche e di uomini. [13] Ma quando i Giudei di Tessalonica vennero a
sapere che la Parola di Dio era stata annunciata da Paolo anche a Berea, si
recarono là, agitando e mettendo sottosopra la folla» (Atti 17,10-13).
Ho aggiunto il termine «Giudei» per far rendere conto a che cosa gli aggettivi e
i pronomi si riferivano; si noti anche il «così pure», che introduce un altro
aspetto non contemplato fin lì: la conversione dei Gentili.
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e
opinioni?
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I contributi sul tema
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1. {Nicola
Martella}
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Silvano Creaco mi ha segnalato l’editoriale di
agosto 2010 de «Il Cristiano» dal titolo «Bereani apparenti» di Paolo
Moretti. Non lo conoscevo. Ne riporto l’inizio, in cui si evidenzia benissimo
che si trattava di Giudei: «Capita spesso di sentir ricordare l’esempio
indubbiamente positivo che ci è stato lasciato dai Giudei della cittadina
macedone di Berea: un esempio che ha percorso la
storia e che è sempre là, ancora oggi, a ricordarci la serietà e l’onestà con
cui dobbiamo porci davanti alla Parola di Dio. Che cosa fecero di così esemplare
questi Giudei di Berea? Quando Paolo e Sila giunsero nella loro sinagoga
per annunciare che Gesù era il Cristo annunciato dai profeti, non si fecero
condizionare dai loro pregiudizi né dai loro personali punti di vista, ma “ricevettero
la Parola con ogni premura, esaminando ogni giorno le Scritture per vedere se le
cose stavano così” (At 17,11). Sono da sottolineare il loro atteggiamento (“con
ogni premura”), il loro impegno (“esaminando ogni giorno”) e il loro
obiettivo (“vedere se le cose stavano così”. Quando parliamo della nostra
scelta di vivere il nostro cammino con Cristo sottomessi all’autorità della sua
Parola (“le Scritture”), c’identifichiamo volentieri con i Giudei
bereani» (formattazione redazionale).
L’autore ha
correttamente indicato che tali Bereani erano a quel tempo Giudei! Concordo con
la maggior parte delle cose che Paolo Moretti ha espresso nel resto
dell'articolo sui «Bereani apparenti». Chiaramente ciò, che egli afferma in
tale editoriale, può valere per ognuno, quindi anche per lui e per quanti
scrivono su tale mensile, oltre che per noi tutti
che ne discutiamo.
2. {Pierluigi
Prozzo}
▲
■ Contributo:
Scusa, Nicola, prima i Bereani erano solo Giudei, sicuro; ma dopo la
predicazione di Paolo e Sila molti di loro sono divenuti cristiani,
questo è altrettanto sicuro. Lo dico perché solitamente io personalmente cerco
proprio di fare come i Bereani, come consiglio a
tutti; e anche in questo caso, leggendo le tue osservazioni, non posso
condividerle appieno, nel senso che non reputo un luogo comune del tutto
inesatto chiamare i Bereani cristiani o credenti, perché in seguito lo
divennero. E credo che tutte le persone, che hai citato, in «buona fede»
hanno fatto riferimento a quanto riportato al verso 12; che, poi, questi hanno
citato solo il verso 11, non credo abbia importanza cruciale, in quanto è
obbligo di ognuno esaminare sempre il contesto delle citazioni, almeno io sono
di tale convinzione. {01-11-2010}
▬ Risposta
1 (Nicola Martella): Come in ogni cosa, c’è un prima e c’è un poi.
Paolo e Sila «si recarono nella sinagoga dei Giudei» (v. 10); e questi,
dopo averli ascoltati, esaminarono «ogni giorno le Scritture per
vedere se le cose stavano così» (v. 11). Solo allora, molti di questi
Giudei, dopo aver esaminato le cose, credettero (v. 12). Questa è la
tabella di marcia; se non la teniamo presente, tutto diventa relativo e, per
certi aspetti, banale, dipendendo tutto dall’arbitrio umano e non dalla corretta
esegesi. È meglio, quindi, seguire la «freccia temporale» e ammettere,
con onestà intellettuale che c’è un prima e c’è un poi: prima essi, da Giudei,
analizzarono le cose alla luce dell’AT, e poi decisero a diventare seguaci di
Gesù Messia.
▬
Replica
(Pierluigi Prozzo): Sì, Nicola, ma non ho capito
chi e quando qualcuno ha detto (o scritto) il contrario, cioè che i
Bereani, che erano stati visitati da Paolo e Sila, erano già dei cristiani...
{01-11-2010}
▬ Risposta
2 (Nicola Martella): Nella maggior parte dei link indicati nell’articolo, le
persone affermano che coloro, che si misero a esaminare «ogni giorno le
Scritture per vedere se le cose stavano così», erano già cristiani;
tanto è vero che alcuni parlano già in quella fase
di una
«chiesa di Berea» e affermano anacronisticamente che essa avesse
esaminato le parole dette da Paolo e da Sila.
Sopra, nel primo
contributo, ho citato le parole di Paolo Moretti; egli si esprime correttamente
al riguardo, senza bruciare le tappe, come fanno invece altri.
3. {Pietro
Calenzo}
▲
Voglio
ringraziarti, carissimo Nicola, per questo interessantissimo studio sui
discepoli di Berea. Francamente e in verità, non vedo, almeno per quanto mi
riguarda grosse difficoltà nella retta comprensione della pericope in esame. I
Bereani erano discepoli giudaici, che al pari dei
Tessalonicesi furono evangelizzati per la prima volta da Paolo e Sila (e forse
dalla sua squadra di collaboratori, ma ciò è ipotetico, poiché non è scritto).
Chiaramente coloro, che furono visitati dai missionari cristiani anteriormente a
Tessalonica e quindi a Berea, non erano assolutamente dei credenti,
poiché Paolo si recò nella sinagoga di detta città, per annunciare loro la Buona
Novella. In questo specifica la Scrittura (Atti 17,11) gli ascoltatori giudei
della sinagoga di Berea furono più attenti o più scrupolosi di quelli di
Tessalonica. Infatti, la Parola di Dio c’insegna che ricevettero la Parola
dell’Evangelo con ogni premura o con ogni attenzione. La Parola di Dio c’insegna
anche che loro conversione non fu subitanea, ma per numerosi giorni (la
Scrittura indica tutti i giorni) esaminarono o confrontarono che
quanto loro annunciato da Paolo e Sila fosse conforme alla verità scritturale
delle profezie o degli scritti dell’Antico Testamento. Una volta accertatisi
di ciò, e che l’annuncio dell’Evangelo fosse conforme alla Parola di Dio
dell’Antico Patto, molti dei discepoli giudei di Berea credettero, mentre
una parte minoritaria di essi rimase nell’incredulità e respinsero l’Evangelo,
ivi predicato da Paolo e Sila, rimanendo (ovviamente Giudei).
Mi pare evidente e palese
che i Giudei che si trovavano presso la sinagoga di Berea, in tempi
anteriori alla visita apostolica non fossero cristiani, ma che lo diventarono in
buona o gran parte, successivamente, dopo aver ascoltato la Parola di Cristo e
dopo numerosi giorni di equilibrato e sano confronto con le Scritture
dell’Antico Testamento, confrontandolo diligentemente con l’annuncio di Paolo e
Sila. Affermare che i Giudei di Berea fossero seguaci di Gesù, prima della
visita missionaria degli apostoli, è una antinomia scritturale.
Altra cosa, è apprezzare
e ammirare questi discepoli giudei e additarli come esempio lo zelo e
d’amore per le Scritture dell’Antico Testamento, comportamento che dovremmo
imitare noi tutti. Affermare invece che fossero dei discepoli di Cristo già
prima della visita di Paolo e Sila, mi pare un’amenità antiscritturale.
Benedizioni in Gesù Messia.
{01-11-2010}
▬ Osservazioni
(Nicola Martella): Non solo tali Giudei non erano discepoli cristiani
prima dell'avvento di Paolo e Sila, ma non lo divennero neppure subito
dopo aver ascoltato la dimostrazione scritturale di questi missionari
relativamente al fatto che Gesù fosse il Messia promesso. Solo in seguito al
processo di verifica delle Scritture, cosa che durò diversi giorni, molti di
tali Giudei si convinsero che le cose stavano proprio così e accettarono
l'Evangelo.
4. {Tonino Mele}
▲
Caro Nicola, mi ha fatto piacere leggere che sei
giunto alle mie conclusioni di qualche anno fa. Allora, cercando di approfondire
il verbo «esaminare», usato dalla Nuova riveduta, sia in Atti 17,11 che in 1 Ts
5,21, ho notato notevoli differenze, tra cui, quello appunto che i Bereani erano
una sinagoga di Giudei, che ancora non aveva lo Spirito, mentre i
Tessalonicesi erano una chiesa locale che veniva ammonita a «non spegnere lo
Spirito». Questa analisi mi ha convinto che nei due testi, il termine «esaminare»
ha un significato diverso, anche perché diverso è il termine originale usato.
Fai bene, dunque, a richiamare una maggior precisione in merito, perché
altrimenti si perdono per strada importanti elementi distintivi del testo
biblico; questi ultimi, se tenuti nella debita considerazione, aiutano a capire
meglio un tema spesso trascurato, quale quello del «discernimento spirituale».
A
conferma di ciò, accludo uno stralcio del mio studio di qualche anno fa, ossia
la parte che più interessa qui di quello che era uno studio più ampio sul
«discernimento spirituale».
La parola «esaminare»
ricorre in Atti 17,11 a proposito dei Giudei della sinagoga di Berea, i quali «ricevettero
la parola con tutta prontezza, esaminando ogni giorno le Scritture per vedere se
queste cose stavano così».
Parrebbe che essi stiano facendo ciò, che Paolo ordina ai Tessalonicesi (1 Ts
5,21). Ma cosa fanno veramente i Bereani? Essi fanno un’operazione anzitutto
mentale, nella quale confrontano la Parola annunciata dall’apostolo
Paolo (v.13), con le Scritture dell’Antico Testamento, che evidentemente
egli citava. I Bereani dunque, processavano informazioni e concetti, al fine di
discriminare eventuali falsità, e il criterio o metro di questo esame
erano le Scritture dell’Antico Testamento. In seguito a ciò «molti di loro
dunque credettero» (v.12). Essi erano, dunque, dei «non-credenti» che
facevano un’operazione soprattutto mentale. E che la razionalità fosse
fortemente implicata in questo esame, lo conferma l’autore degli Atti, quando
riferisce della precedente predicazione di Paolo, nella città di Tessalonica: «per
tre sabati tenne loro ragionamenti tratti dalle Scritture, spiegando e
dimostrando che il Cristo doveva morire e risuscitare dai morti. “E il Cristo”,
egli diceva, “è quel Gesù che io vi annunzio”» (At 17,2-3). E Luca aggiunge
che per Paolo questo procedimento «era sua consuetudine». Ma c’è una
particolarità, che inizia a mostrarci la differenza tra At 17,11 e 1 Ts 5,21: il
termine greco usato è diverso. In Atti 17,11 ricorre anakrinontes,
mentre in 1 Ts 5,21 ricorre dokimazete. L’esame dei due contesti mostra
che i due termini sono impiegati in modo diverso, il primo in modo più generale,
mentre l’altro in modo più specifico. Premesso che in entrambi i brani, il criterio di
giudizio per valutare le cose è sicuramente la Scrittura, anche se in 1 Ts 5,21
non è detto esplicitamente come in At 17,11, rileviamo comunque le seguenti
differenze. Anzitutto il contesto a cui si riferisce At 7,11 è quello della «sinagoga
dei Giudei», mentre l’imperativo di 1 Ts 5,21 «esaminate ogni cosa» è
il contesto della chiesa locale. I Bereani erano dunque non-credenti
giudei, che facevano l’esame delle cose, mentre i Tessalonicesi erano già
dei credenti. In secondo luogo, l’oggetto dell’esame di At 17,11 era la
predicazione di Paolo, mentre in 1 Ts 5,21 è dato dalle profezie che venivano
enunciate nella chiesa locale da chi aveva tale carisma (cfr. 1 Cor 12,10). In
terzo luogo, l’esame di At 17,11 era alquanto razionale e formale, mentre in 1
Ts 5,21 è ben più profondo e spirituale. E questo lo si capisce dal riferimento
allo «Spirito» (1 Ts 5,19). Rispetto ai Bereani, lo Spirito era
già una realtà per la chiesa di Tessalonica (1 Ts 1,5-6; 4,8). Il problema non
era più riceverlo, ma non spegnerlo (1 Ts 5,20). Tutte queste differenze
si riflettono fortemente sul significato della parola «esaminare» e questo sarà
maggiormente evidente prendendo in considerazione il brano di 1 Ts 5,19-22.
{01-11-2010}
5. {Marina
Mancinelli}
▲
■
Contributo: Il versetto che mi viene in mente leggendo, sia il tema, sia
i commenti, è quello che Gesù disse in «Beati quelli che non hanno visto
e hanno creduto» (Giovanni 20,29). Non ho mai letto che Gesù abbia detto:
«Prima leggete le Scritture e poi credete!». Gesù era circondato da
persone «dotte», che conoscevano bene le Scritture, eppure non hanno
creduto.
Investigare le Scritture è importante; conoscere
l’autore della Bibbia ancora di più. Ma è una conseguenza di ciò, che avviene
dopo aver accettato Gesù come personale Salvatore, non il contrario. Quello
che inizialmente ti convince di peccato e fa sì che ci rendiamo conto che
abbiamo bisogno di Gesù nella nostra vita, è soltanto l’opera dello Spirito
Santo, non la nostra intelligenza! «E Simon Pietro, rispondendo, disse:
“Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”. E Gesù rispondendo gli disse “Tu sei beato
o Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue ti hanno rivelato
questo, ma il Padre mio che è nei cieli”» (Mt 16,16-17). {01-11-2010}
▬ Risposta 1
(Nicola Martella): Non ho capito che cosa abbiano a che fare le riflessioni di
questa lettrice col tema in corso. Quanto ella dice, non risolve l’enigma se i
Bereani in Atti 17,11 fossero già cristiani o ancora Giudei. Le consiglio di
rileggere l’intero articolo di riferimento e poi di rispondere nel merito alle
questioni poste.
Faccio notare comunque che presentare così le cose, è oltremodo pericoloso.
Inoltre, citare mezzo verso è rischioso; infatti, il contesto di Giovanni
20,29 è specifico a Tommaso, a cui Gesù disse: «Perché m’hai veduto, tu
hai creduto…». Quelli che credono, pur non vedendo i fatti successi a
quel tempo, sono coloro che
ascoltano la Parola di Dio. Infatti, non esiste la fede senza le
Scritture, e l’Evangelo è tratto dalle Bibbia. Appena due versi dopo Giovanni
20,29, questo evangelista disse: «Queste cose sono
scritte, affinché crediate che Gesù
è il Cristo, il Figlio di Dio, e affinché, credendo, abbiate vita nel suo nome»
(v. 31). Quindi, tale tesi è semplicemente falsa.
È vero poi che a quel tempo c’erano persone dotte nelle Scritture, che
rimasero incredule, ma c’erano anche studiosi credenti. Uno d’essi era
Natanaele, che poi divenne un seguace di Gesù. Per questo Filippo gli parlò in
questo modo: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella legge,
ed i profeti: Gesù figliuolo di Giuseppe, da Nazareth» (Gv 1,45). E Gesù,
conoscendo il suo amore per la Scrittura, lo presentò così: «Ecco un vero
israelita in cui non c’è frode» (v. 47); egli si riferiva alla sua onestà
intellettuale verso la sacra Scrittura.
Per accettare Gesù
come personale Salvatore, bisogna capire l’Evangelo, che è l’annuncio della
Parola di Dio. Lo Spirito Santo usa soltanto la Scrittura per convincere
e il convincimento è un processo intellettivo.
Citare qui Matteo 16,16s
è fuori contesto. Tuttavia, il Padre rivelò a Pietro quel Messia, di cui
parlavano le Scritture ebraiche! Che le «ispirazioni» ricevute siano alquanto
evanescenti, se non ancorate alla Scrittura, basta leggere alcuni versi dopo
(vv. 22s), in cui Gesù apostrofò Pietro come avversario e scandalo!
Gesù sfidò i suoi contemporanei, che erano Giudei, a investigare le
Scritture per sincerarsi che era lui il Messia promesso (Gv 5,39); il problema è
che essi si rifiutavano di credere che lui fosse il Messia. I Giudei stessi
rimproveravano al rabbino Nicodemo: «Sei anche tu di Galilea? Investiga, e
vedrai che dalla Galilea non sorge profeta» (Gv 7,52). Essi avevano ragione
(cfr. 1,46), ma non sapevano evidentemente che Gesù era nato in Giudea. Poiché
per i Giudei valeva la
dimostrazione scritturale, Gesù asserì continuamente che le Scritture
parlassero di lui (Gv 7,38) e che lui era venuto per adempierle (Mt 26,54.56; Mc
14,49; Lc 4,21; Gv 13,18; 17,12; 19,24.28.36).
Da tutto ciò concludo che tale modo di argomentare, per altro fuori contesto
rispetto ad Atti 17,11,
non è condivisibile né biblicamente sostenibile.
▬ Replica
(Marina Mancinelli): Il testo l’ho letto tutto, e ti posso dire che sono
informata sui Bereani attuali. La Bibbia non dice molto su loro, sappiamo, da
Atti 17,10-13 che erano di sentimenti più nobili di quelli di
Tessalonica, e ricevettero la parola con prontezza. Si possono fare delle
supposizioni in merito, e io ho espresso il mio parere, facendo capire, dal mio
punto di vista (mi spiace che non è emerso), cosa pensavo io del comportamento
dei Bereani. Sarebbe bello che ogni credente facesse come loro, cioè
investigare le Scritture e non prendere per oro colato tutto quello che
alcuni conduttori affermano; ma ripeto, ciò deve avvenire dopo aver creduto e
accettato Gesù. Se non sbaglio, in un commento anche tu, esprimi un tuo parere
dicendo: «È meglio, quindi, seguire la “freccia temporale” e ammettere,
con onestà intellettuale che c’è un prima e un poi: prima essi, da
Giudei, analizzarono le cose alla luce dell’AT, e poi decisero di
diventare seguaci di Gesù Messia».
{01-11-2010}
▬ Risposta 2
(Nicola Martella): I Giudei erano il «popolo del libro», che a quel tempo
era ciò che noi chiamiamo oggi l’Antico Testamento. Dal Sinai, dove ricevettero
la legge mosaica, erano passati quasi 1.500 anni. In tutte le
sinagoghe del mondo d’allora, veniva letta e studiata la sacra Scrittura.
Essi, sulla base dei patti, avevano già la fede nel Dio vivente; ciò che
gli mancava loro era di accettare che Gesù di Nazareth era proprio il Messia
promesso. Ciò accadde anche ad altri Giudei come Saulo (At 9), Apollo, i
dodici discepoli battezzati da Giovanni Battista (At 19), ecc. È evidente che,
nel caso dei Giudei praticanti, il convincimento scritturale doveva precedere
l’accettazione. Altra cosa è per i pagani, che si accostavano all’Evangelo,
poiché non conoscevano l’AT e non erano in grado di verificare le promesse di
Dio. Perciò bisogna tener presente la «freccia temporale»: tali credenti
secondo l’AT, conoscitori e studiosi delle Scritture, prima si sincerarono
della veracità delle cose udite da Paolo e Sila e, poi, molti di loro decisero
di accettarle, diventando seguaci di Gesù Messia. Accettare questo,
significa esercitare onestà intellettuale verso i testi biblici.
Poi, per tutti vale questo, allora come oggi: «La fede viene dall’udire e
l’udire si ha per mezzo della
parola di Cristo» (Rm 10,17); anche qui c’è prima l’udire la «parola
di Cristo» e poi l’accettazione per fede (cfr. v. 14).
6. {Matteo
Ricciotti}
▲
Carissimo fratello
Nicola, ho letto sul sito la questione sui Bereani. Vorrei capire bene qual è la
questione di fondo. È solo un problema riguardo alla questione se si trattava di
giudei o cristiani? Di chiesa o sinagoga? Nel libro degli Atti è
riportato diverse volte che l’apostolo Paolo si recava nelle sinagoghe.
Anche a Berea, insieme a Sila, avvenne così. Essi si recarono nella sinagoga dei
Giudei. È scritto così, punto. Nessun problema. La cosa bella è che questi
Bereani «ricevettero la Parola con ogni premura, esaminando ogni
giorno le Scritture per vedere se le cose stavano così». Il testo continua,
dicendo: «Molti di loro, dunque, credettero…» (v. 12). Da questo
capisco che, dopo aver esaminato ogni giorno le Scritture, nonostante i loro
nobili sentimenti, alcuni non credettero; ma molti sì. Quelli che credettero
erano, dunque, Giudei che ricevettero la Parola. E questo è bello. I
Bereani sono un esempio di nobiltà di sentimenti, che a molti di loro
portò la salvezza. Se su usa la città di Berea o i Bereani per sottolineare
coloro, che hanno ricevuto la Parola con ogni premura, non deve essere, a mio
avviso, un grosso problema accettare che il riferimento è chiaramente rivolto ai
molti nella sinagoga che credettero, rispetto agli altri che, nonostante
aver esaminato ogni giorno le Scritture, non credettero. Se diversi utilizzano
l’etichetta di Berea o Bereani riguardo a chiese o istituti biblici,
credo che il riferimento voglia mettere in evidenza il fatto di ricevere la
Parola con ogni premura. Un abbraccio in Cristo… {01-11-2010}
7. {Fortuna
Fico}
▲
Beh, mi rendo conto che certi
preconcetti e certe affermazioni diventano legge a mano a mano che
vengono citati. E il fatto grave che poi non si fa quel che si dice, e cioè come
i Bereani, andare a verificare le fonti!
Dio ti benedica, Nicola! {01-11-2010}
8. {Claudia
Falzone}
▲
Che i Bereani fossero dei semplici Giudei,
sembra abbastanza chiaro leggendo quelle frasi di Atti 17. Altra cosa chiara, ma
forse poco considerata, e che io stessa ho notato meglio, leggendo questo
articolo, è che i Bereani che si convertirono, non lo fecero istantaneamente, ma
solo dopo aver verificato per alcuni giorni i riferimenti dell’Antico
Testamento. Questo mi ha portata a una breve riflessione, che in un certo senso
risponde alla questione posta. L’episodio dei Bereani è comunque un caso
unico (almeno per quello che ricordo), e forse alcuni luoghi comuni, che
sono stati contestati, sono dovuti proprio a ciò. Infatti, quei giudei, essendo
persone che già conoscevano e studiavano le antiche Scritture, sono state
convinte dallo Spirito Santo solo attraverso tale confronto scritturale, con un
processo tutt’altro che immediato.
Negli altri casi, invece, in
cui Paolo e gli altri evangelizzavano i pagani, la fede arrivò in modo
istantaneo e per di più senza confronto delle Scritture ebraiche (poiché
ai gentili erano sconosciute), ma addirittura con l’ausilio della cultura
greco-romana (Atti 17,22-34). Quindi notiamo che lo Spirito Santo ha operato in
modo differente, probabilmente in base alla cultura di ciascun uditore. In
maniera progressiva con i Bereani, in maniera istantanea con i pagani. Dunque la
modalità temporale era necessaria per i Bereani, ma non per gli altri,
quindi non credo che una o l’altra conversione possano essere considerate come
«modello-base» per tutti. Spero però di non venire fraintesa, perché non sto
dicendo (e credo che nessuno lo abbia detto) che il confronto scritturale sia
inutile; è ovvio che anche nel caso di una conversione immediata e senza basi
scritturali, come quella dei gentili e come quella di molti di noi, si debba
iniziare a conoscere ed esaminare le Scritture continuamente, proprio per
rimanere sempre nella strada giusta, per crescere nella conoscenza di Dio ed
evitare di accettare dottrine errate, che spesso circolano fra le chiese.
{03-11-2010}
9. {Nicola
Martella}
▲
La lettrice ha
centrato abbastanza bene la questione. Per i Giudei è importante la
dimostrazione scritturale (cfr. At 2). «Saulo… confondeva i Giudei…,
dimostrando che Gesù è il Cristo»
(At 9,22). Nella «sinagoga dei Giudei» di Tessalonica, Paolo «per tre
sabati tenne loro ragionamenti tratti dalle Scritture,
spiegando e dimostrando che era
stato necessario che il Cristo soffrisse e risuscitasse dai morti; e
il Cristo, egli diceva,
è quel Gesù che io v’annunzio»
(At 17,1ss). In Acaia, il Giudeo Apollo «con gran vigore confutava
pubblicamente i Giudei, dimostrando per le
Scritture che Gesù è il Cristo» (At 18,28).
Chiaramente tale dimostrazione scritturale era necessaria anche laddove c’erano
persone che, pur non essendo praticanti, vivevano all’interno della cultura
giudaica, pur non essendo Giudei. Dinanzi al re Agrippa, Paolo raccontò
dapprima la sua testimonianza (At 26,1-21). Poi, però, aggiunse di non aver
detto «nulla all’infuori di quello che i
profeti e Mosè hanno detto che doveva avvenire, cioè: che il Cristo
soffrirebbe, e che egli, il primo a risuscitare dai morti, annunzierebbe la luce
al popolo e ai Gentili» (vv. 22s). Egli fece presente al procuratore Festo,
ivi presente, che stava parlando con franchezza al re Agrippa, poiché «egli
conosce queste cose; perché sono persuaso che nessuna di esse gli è occulta;
poiché questo non è stato fatto in un cantuccio» (v. 26). Perciò, chiese a
lui: «O re Agrippa, credi tu ai profeti? Io so che tu ci credi» (v. 27).
Anche il procuratore romano Felice, la cui moglie era giudea, «ben
conosceva quel che concerneva questa Via» e mandava spesso a chiamare Paolo,
per ascoltarlo circa la fede in Cristo Gesù (v. 22ss.26).
In caso contrario, i missionari cristiani cominciarono direttamente col nuovo
patto, ossia con la persona, la vita e l’opera di Gesù Cristo. Ciò avvenne ad
esempio con Cornelio e la gente radunata in casa sua per bocca di Pietro
(At 10,34-43), sebbene anche qui c’è un riferimento ai profeti
veterotestamentari (v. 43). Qui erano loro che comunicavano il messaggio di Dio
mediante la loro bocca, la quale si basava sulle sacre Scritture. Senza la
Parola di Dio non c’è conversione né fede salvifica. «Come dunque
invocheranno colui, nel quale non hanno
creduto? E come crederanno in colui, del quale non hanno
udito parlare? E come udiranno, se non v’è chi
predichi? E come predicheranno se non sono mandati? […] Così la
fede vien dall’udire e l’udire si ha per mezzo della
parola di Cristo» (Rm
10,14s.17).
La Parola di Dio si poteva innestare anche in situazioni contingenti, legati
alla cultura e alle tradizioni locali. Si vedano qui i discorsi di Paolo
in Listra (At 14,8ss) e presso l'areopago di Atene (At 17,19ss).
10. {}
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11. {}
▲
12. {}
▲
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/T1-Chiesa_Berea_Mt.htm
02-10-2010; Aggiornamento: 04-10-2010 |