Questa epistola è praticamente il testamento dell’apostolo Pietro (cfr. 1,14). E come fa ogni
persona in punto di morte, egli scrive alle persone a lui più care e sviscera
tutto ciò che ritiene essere importante, vitale.
E l’apostolo lo fa anche perché sa dal Signore che s’introdurranno nella chiesa
dei falsi dottori (non medici, ma gente che insegnerà eresie), persone pronte a sfruttare e ad
adescare i cristiani. In effetti, Pietro parlava al futuro, ma per noi oggi,
questi falsi dottori hanno già trasmesso nel corso dei secoli le loro eresie e
tuttora ci sono persone che insegnano dottrine false che le porteranno alla
condanna da parte di Dio. Questi ingannatori, in particolare, insegnano il non
ritorno di Gesù e l’assenza d’un giudizio divino (3,3-4). Forse, anche voi
pensate che il mondo andrà avanti come sempre è stato e che Dio alla fine
chiuderà entrambi gli occhi sulla nostra natura di persone peccatrici e
concederà la grazia a tutti. Ma Pietro è stato testimone oculare della maestà di
Gesù sul monte della trasfigurazione e anche la parola profetica attesta il
ritorno di Gesù e il suo giudizio. Chi si definisce cristiano non può avere
dubbi al riguardo!
Per approfondire il «tempo della fine» e le strumentalizzazioni da parte di vari falsi maestri in 2.000 anni di storia,
rimandiamo all’opera «<Escatologia
1-2»:
■ Nicola Martella (a cura di),
Escatologia biblica essenziale
(Punto°A°Croce, Roma 2007).
■ Nicola Martella (a cura di),
Escatologia fra legittimità e abuso (Punto°A°Croce, Roma
2007).
Il
primo volume (400 pagine) mostra il confronto delle opinioni sul tempo della
fine e affronta varie problematiche connesse all’escatologia. Il secondo
volume (456 pagine) affronta le speculazioni e le strumentalizzazioni
religiose, politiche, ecc. dell’escatologia giudeo-cristiana in 2.000 anni di
storia e anche al presente. |
Pietro inizia la sua
lettera definendosi servo e apostolo
(ossia «mandato», «inviato») di Gesù Cristo: se questa era una posizione
d’autorità in quanto uomo scelto e inviato da Gesù stesso per far conoscere la
sua potenza e la sua venuta, era altresì una posizione scomoda essendo in prima
linea nella persecuzione (anche se c’è stato un breve periodo in cui gli
apostoli non venivano toccati; At 8,1). Anche sul punto di morte, Pietro non ha
ripensamenti. Egli ha vissuto tre anni e mezzo con Gesù, ha visto e ascoltato da
lui cose straordinarie, Dio lo usò in diverse occasioni per compiere miracoli e
scacciare demoni, ha visto Gesù risorto ed è stato con lui per quaranta giorni
(non solo lui, ma centinaia di discepoli lo hanno visto risorto)! Tutto questo
lo ha spinto a continuare ad annunciare la verità e a combattere attraverso
questa lettera le menzogne di chi mette in dubbio la Scrittura. E la morte,
legata alla fede che professava, lo ha spinto a scrivere affinché i credenti
rimangano fermi, saldi, sicuri sulla loro vocazione ed elezione (1,10).
Questa lettera esprime in maniera meravigliosa quello che il credente (ossia
colui che, attraverso la fede nell’opera espiatoria di Gesù, ha ottenuto la
redenzione, la salvezza e la giustizia di Cristo) ha ricevuto dal Signore. Ecco
qui di seguito alcuni di questi doni.
■
Una
chiamata, una elezione per mezzo della gloria e virtù di Gesù La gloria
ci parla della maestà, della possanza divina, della prerogativa solo di Dio di
concedere la grazia redentrice. La virtù
ci parla della giustizia umana di Gesù nei confronti della santità di Dio.
Giustizia che permette al credente d’essere considerato giusto e santo, in
quanto Gesù stesso ha pagato la condanna al posto suo.
■
Le preziose
e grandissime promesse del suo ritorno,
dei nuovi cieli e nuova terra dove abita la giustizia, dell’ingresso nel regno
eterno di Gesù (1,4,11; 3,8-10)
■
La
partecipazione della sua natura divina
(1,4), ossia, la partecipazione alla sua santità e giustizia.
Fin qui, l’opera di Gesù.
Ma per rimanere fermi, saldi, per non inciampare mai nel nostro cammino di
persone che sono circondate da falsi dottori, la soluzione è impegnarsi a
conoscere Gesù Cristo
pienamente (1,8-10). Prima di tutto, bisogna dire che conoscere Gesù pienamente
non significa solamente conoscerlo in tutto ciò che viene detto a suo riguardo,
ma significa avere con lui un legame fortissimo, parentale, come un rapporto
d’amore padre-figlio, marito-moglie (dove il credente è subordinato nell’amore e
Gesù è l’autorità che agisce per il bene dell’altro (figlio / moglie). Conoscere
Gesù pienamente deve essere l’obiettivo fisso della nostra vita. Per arrivare a
conoscerlo, a instaurare con lui questo legame forte e intenso, dobbiamo
impegnarci (cfr. 2 Pt 1,5-8).
Pietro non indica solamente gli ingredienti necessari così come gli vengono in
mente, ma segue una logica ben precisa. Infatti, ripete sempre l’ultimo elemento
citato prima di passare al successivo. Inoltre, inizia con la fede che, per
logica, non può che essere all’inizio.
■
Fede: È la
verità rivelata alla quale si ha aderito con l’anima e la mente.
■
Virtù:
È la disposizione
a praticare il bene. Dopo aver accettato l’Evangelo come verità e aver aderito a
esso, dobbiamo impegnarci a disporre la nostra vita alla pratica del bene e
della giustizia.
■
Conoscenza:
Non è la piena conoscenza di Gesù perché questa è lo scopo finale del processo
(1,8). Non è neanche la conoscenza dei fatti riguardanti Gesù (altrimenti come
si potrebbe partire dalla fede?). Qui, Pietro indica l’impegno a conoscere la
volontà di Dio personalmente. Non a caso viene dopo la disposizione a praticare
il bene. Prima mi dispongo, poi m’impegno a capire cosa Gesù vuole da me.
■
Autocontrollo:
È il
«controllo di se stesso».
Non è il controllo verso chi ti manda in bestia, ma del controllare la tua vita
in base alla conoscenza della volontà di Dio che hai acquisito precedentemente.
Non basta sapere! Bisogna fare per instaurare un rapporto vero con Gesù.
■
Pazienza:
Bisogna essere pazienti, continuare a controllare la nostra vita anche quando
vediamo che siamo gli unici in questo mondo che camminano nel timore del
Signore. Inoltre, dobbiamo essere pazienti verso noi stessi quando non abbiamo
agito secondo giustizia. Essere pronti a chiedere perdono a Dio, rialzarci e
riprendere il cammino della piena conoscenza di Cristo.
■
Pietà:
È un sentimento che induce alla benevolenza e alla misericordia. È un sentimento
verso chi non conosce il Signore o verso quel credente che soffre (perché è
caduto nel peccato, perché è provato nel fisico, perché ha problemi in famiglia,
ecc. ). È strano per noi sentire dire che ci si deve impegnare per provare un
sentimento. Si pensa che o si prova quel sentimento o non lo si prova. Invece,
esaminare il nostro passato, la nostra natura prima della conversione, e lo
stare vicino a chi soffre fa crescere il sentimento della pietà (a condizione
che s’abbia ricevuto da Gesù lo Spirito Santo).
■ Affetto fraterno: Questo termine proviene dal verbo
filew [fileo] ed esprime un amore che agisce. Infatti, significa anche «assisto», «prendo
cura». Al sentimento della pietà si deve passare all’azione.
■ Amore: L’azione deve elevarsi al livello del sacrificio. L’amore che Cristo ha avuto
per noi, sacrificandosi sulla croce, è l’esempio perfetto di cosa significa
amare.
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A2-2_Pietro_riflessioni_Esc.htm
24-05-2007; Aggiornamento: 30-06-2010
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