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Due tesi a confronto su Matteo 6,22-23 (3)
7. La tesi (4)
{Argentino Quintavalle}
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Si rifiuta deliberatamente d’accettare la testimonianza d’un intero popolo
riguardo al proprio modo di parlare, e questa è una cosa molto grave che denota
l’atteggiamento spirituale che si ha nei confronti d’Israele. Si rifiuta di
prendere nota del contesto dei versi prima e dopo il detto di Gesù dove si parla
di servire Dio e non il denaro. Perché mai Gesù in mezzo avrebbe parlato di
qualcos’altro?
Comunque, la parola greca haplotes ha in
sé il concetto di generosità e bontà. Nel giudaismo, nell’ambito dei
rapporti umani, espressi soprattutto nell’atto di donare, haplotes in
riferimento al donatore equivale a bontà. La prova documentaria per
questo si trova in Giuseppe Flavio, Antichità 7,3,3. La stessa parola,
nel TestIss 3,8 (Testamento d’Issachar, uno scritto non canonico) è intesa come
una caratteristica del cuore.
In Gcm 1,5 haplous definisce lo stile con cui
Dio dona: «abbondantemente» (vedi Ricciotti).
All’uomo è richiesto di darsi integralmente a Cristo (haplotes
eis Christon), un atteggiamento che Paolo raffigura con l’immagine d’una
fidanzata che si dà a un solo uomo (2 Cor 11,2s).
Paolo, intende la colletta, che le comunità gentili
raccoglievano per quelle d’Israele, come giusta espressione dell’unità, e in
questo contesto
haplotes acquista una portata straordinaria di «liberalità», «generosità»,
«larga beneficenza», «abbondanza» (2 Cor 9,13,11; 8,2 –
Ricciotti).
Rom 12,8 «chi dà, dia con haploteti», si può
tradurre: «chi dà, dia con generosità».
Dov’è dunque il problema a riconoscere questo
significato anche in Mt 6,22s se non nella disposizione mentale di rifiuto
aprioristico di chi legge?
Per quanto riguarda poneros, il termine
deriva da ponos (= lavoro, fatica) e poneo (= trovarsi
al lavoro, faticare). Il verbo originario è penomai (= faticare,
essere povero), donde anche penia (= povertà), e penichros
(= povero, misero) come in Luca 21,2 in riferimento alla vedova
poveretta che gettava i due spiccioli nella cassa delle offerte. Da qui il
concetto di penuria e di colui che è scarso nel dare e per estensione, quindi, a
colui che pur potendo dare con generosità, dà come se fosse povero (significato
passivo). Ma può avere anche significato attivo: cattivo, riprovevole. Non vedo alcun problema a riconoscere il significato
dato dagli autori da me citati negli articoli precedenti in riferimento al detto
di Gesù. Stiamo solo perdendo tempo ed energie, bastava riconoscere l’idioma
ebraico che non è un’invenzione degli ebrei medioevali ma esisteva anche nel
primo secolo, così come testimonia oggi Israele.
8. Obiezioni e osservazioni (4)
{Nicola Martella}
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Entriamo in tema
Il mio interlocutore parla della «testimonianza d’un intero popolo», non tenendo
presente le mie osservazioni sul fatto che un modo di dire nasce in un certo
periodo in un dato settore della vita e che non può essere retro-proiettato né
applicato dapprima a tutti gli altri settori. Sorvolo nuovamente sulle
conclusioni nuovamente affrettate e partigiane, che lo spingono a tirare in
ballo continuamente un «atteggiamento spirituale che si ha nei confronti
d’Israele» ogni qual volta dissento su qualcosa (sob!). Poi si fa riferimento al contesto prima e poi,
chiedendo: «Perché mai Gesù in mezzo avrebbe parlato di qualcos’altro?». Potrei
rispondere perché Gesù andò direttamente al problema di base, ossia
all’atteggiamento del cuore, di cui l’occhio è lo specchio, citando un modo di
dire generale dei suoi tempi. Ma di ciò ho già parlato. Poi è una questione di
coerenza all’interno della Scrittura: lo stesso modo di dire non può significare
due cose diverse in due differenti brani; di questo ne parlo sotto a propositi
di Lc 11,33-36.
Osservazioni e obiezioni
Il termine haplótes è troppo generico per
essere ristretto solo a «generosità» (cfr. sotto Lc 11,33-36). Citare Giuseppe
Flavio e lo pseudoepigrafo «Testamento d’Issachar», senza riportare le citazioni
e il contesto, non serve a nulla. In ogni modo, il mio interlocutore parla che
qui è «intesa come una caratteristica del cuore»: infatti la «semplicità»
(schiettezza, integrità) è tale anche senza un contesto economico (generosità
contro avarizia). Di Gcm 1,5 ne ho già parlato e il brano non ha nulla a
che fare con le finanze. La Elberferder traduce: «…Dio, che dà a tutti
volenterosamente e non rinfaccia nulla…». Il termine greco intende «con
semplicità, con schiettezza», ossia senza secondi fini. Non sempre i traduttori
traducono letteralmente, anzi a volte è riportano le loro interpretazioni. Qui e
in tutti gli altri brani si intende quindi «con semplicità», ossia di cuore o
d’animo.
In tutti gli altri brani del NT, in cui haplótes
ricorre, non c’è il termine «occhio» per poter trovare una comparazione. Anche
in essi si può partire dal significato di «semplice» (schietto d’animo, integro
di cuore). Certo si può proiettare un significato diverso nei brani in cui
compare
haplótes, ma ciò non è accertamento della verità, ma mera interpretazione.
■ In Rm 12,9 si può tradurre in modo letterale
come segue: «Chi dà, dia con semplicità», ossia di cuore, quindi con
schiettezza e senza secondi fini. ■ Anche in 2 Cor 8,2 si può intendere
letteralmente «profonda povertà… nelle ricchezze della loro semplicità»,
ossia della loro schiettezza di cuore, senza secondi fini; «essi erano
volenterosi di propria iniziativa» (v. 3). Sarebbe stato semplice mettere
qui «generosi» (megalopsychoi), ma Paolo non lo fece. Tradurre qui
«liberalità», come alcuni fanno, è un’interpretazione. Infatti la Vulgata
tradusse: in divitias semplicitatis eorum. ■ Lo stesso dicasi di 2 Cor 9,11.13 dove si
intende la «semplicità», ossia la schiettezza d’animo: «resi ricchi in ogni
semplicità» (v. 11; lat. abundentis in omnen simplicitatem) e «per
la semplicità della partecipazione verso di loro e verso tutti» (v. 13; lat.
et semplicitate communicationis in illos, et in omnes). ■ In 2 Cor 11,3
haplótes «semplice (schietto, integro)» sta in contrasto con
panourghía «astuzia» e in analogia a «purità rispetto a Cristo». La «semplicità…
rispetto a Cristo» è quella indirizzata solo su di lui e non su un «altro
Gesù» (v. 4). Qui non c’è nulla di economico con cui essere generoso verso il
prossimo. ■ Similmente in Ef 6,5 Paolo esortò i servi a
ubbidire ai loro padroni «nella semplicità del cuore vostro, come a Cristo»,
quindi con schiettezza e senza secondi fini. ■ Ciò fu accentuato dall’apostolo anche in Col 3,22,
in cui la «schiettezza» fu contrapposta alla parvenza che si dà per
opportunismo: «…non servendoli soltanto quando vi vedono come per piacere
agli uomini, ma con semplicità di cuore, temendo il Signore». Questi due
ultimi brani mostrano che «semplicità» sta per «semplicità di cuore». ■ Nell’unico brano in cui nelle traduzioni italiane
ricorre «liberalità» e «avarizia» (2 Cor 9,5) e in cui si poteva
presumere che ricorressero i termini haplótes e ponērós, le cose
stanno diversamente, quando si traduce letteralmente: «Perciò ho reputato
necessario pregare i fratelli, perché venissero essi prima da voi e preparassero
la vostra già annunciata benedizione [euloghía], cosicché essa sia preparata
come benedizione e non come avarizia [pleonexía]». Ecco che cosa succede con
le approssimazioni nelle traduzioni e nelle interpretazioni!
Un ogni modo, in nessuno di questi brani ricorre il
termine «occhio» associato a haplótes per fare un confronto
omogeneo. Quest’ultimo termine può essere inteso e tradotto per quello che è
(semplice di cuore, schietto d’animo), senza traduzioni interpretative. A ciò si
aggiunga che — come si constata — i lettori greci potevano comprenderlo
direttamente, senza dover risalire a un «sottotesto ebraico» e senza doversi
servire di un interprete giudeo!
In Mt 6,22s si tratta quindi di una mera proiezione. Quanto a ponērós, è curioso come il mio
interlocutore si serva di un salto mortale etimologico, pur di far quadrare il
cerchio e concludere: «Ma può avere anche significato attivo: cattivo,
riprovevole». Sorprende il suo «anche». Prendendo un dizionario di greco, ci si
accorgerà che questo è il significato normale e prevalente: cattivo, male,
maligno, malvagio, malevole. Meraviglia il riferimento probatorio del mio
interlocutore a Lc 21,2! Se egli desse un’occhiata al testo greco, si
accorgerebbe che qui si parla di una kēran penichràn «vedova indigente» e
non di una kēran ponēràn «vedova malvagia». La gente usa le parole al
presente nel loro significato attuale e di là dalla loro etimologia. È come se
si volesse tradurre «generazione malvagia [ghenèa ponērà] e adultera» (Mt
12,39; cfr. v. 45; 16,4) con «generazione povera (o indigente)», a causa
dell’etimologia!
Tutto ciò mi ricorda quel cristiano che non usa il
termine «augùri» (speranza o voto di felicità, ecc.) — neppure «auguri di
benedizione nel Signore» — perché l’etimologia lo porta agli «àuguri»
(pronosticatori) romani. Ciò mi ricorda pure quell’altro cristiano che non usa
termini come «cazzuola», «cazzotto» e simili, perché ciò gli suscita
imbarazzanti reminiscenze etimologiche o affinità sonore.
Luca 11,33-36
Questo è un brano focale per la comprensione della
discussione. L’espressione proverbiale di Mt 6,22s poteva essere compresa da un
greco per quello che era di per sé, senza alcun aggancio diretto a
questioni economiche e all’atteggiamento verso il denaro (generosità contro
avarizia)? La risposta è assolutamente sì. Infatti Gesù la menzionò in Lc
11 e la spiegò nei particolari, senza far alcun riferimento a ricchezze e
all’atteggiamento verso di esse. In Lc 11 Gesù difese il suo ministero dagli attacchi
dei suoi avversari che attribuivano i suoi miracoli a Beelzebub (vv. 14-26), poi
chiamò felici coloro che erano facitori della Parola di Dio (vv. 27s) e, infine,
si rifiutò di fare un segno, ricordando l’atteggiamento dei Niniviti alla
predicazione di Giona. A tutto ciò seguirono le parole dell’occhio e della
lampada, che riportiamo in una nostra traduzione. «Nessuno, però, che abbia
acceso una lampada, la mette in un [luogo] nascosto o sotto il moggio, ma sul
candeliere, affinché gli entranti vedano lo splendore. 34La lampada
del corpo è il tuo occhio; se l’occhio tuo è semplice, anche tutto il tuo corpo
è luminoso; ma se è malvagio, anche il tuo corpo è tenebroso. 35Guarda
dunque che la luce che è in te non sia tenebra. 36Se dunque il tuo
corpo è tutto luminoso, non avendo alcuna parte tenebrosa, sarà tutto luminoso
come quando la lampada t’illumina col suo raggio» (Lc 11,33-36).
È chiaro che Gesù parlò della coscienza (ossia
dell’atteggiamento del cuore che si mostra nell’occhio) dell’uomo rispetto alla
Parola di Dio e a lui che la promulgava. «L’occhio semplice» denotava una
coscienza schietta e integra, «l’occhio malvagio» indicava una coscienza
cattiva. Non fu un caso che subito dopo seguì la veemente
censura di Gesù (vv. 37-53) verso i Farisei stolti e ipocriti e specialmente
verso i loro rabbini («dottori della legge»), che erano l’esempio di un «occhio
malvagio», poiché essi tutti nettavano l’esterno delle cose, dimenticando il
loro interno, che rimaneva «pieno di rapina e di malvagità» (v. 39), e
seguivano una religione dell’apparenza (v. 43) e della prevaricazione della
gente (v. 46), oltre a fare delle manovre subdole e insidiose per screditare
Gesù dinanzi al popolo (vv. 53s). Questo è l’esempio illustrativo e
chiarificatore di ciò che Gesù intendesse per «occhio malvagio».
Aspetti conclusivi
Abbiamo perso tempo ed energie? Bastava riconoscere
l’idioma ebraico perché esistente già nel primo secolo? Ciò che testimonia oggi
Israele valeva già allora e proprio nel detto di Gesù? Il mio interlocutore ha
portato prove veramente convincenti che Gesù intendesse in Mt 6,22s proprio
«generoso» contro «avaro»? La mia risposta è un no assoluto. Il mio
interlocutore ce l'ha messa tutta per convincermi delle sue tesi; egli ritiene
che le sue conclusioni siano realistiche, ma non mi hanno convinto.
Il punto focale è Lc 11, un brano in cuiGesù usò
la stessa asserzione in un contesto completamente differente e in cui non si
parlava per nulla di ricchezze e denari. Come i lettori greci l’hanno capita lì
direttamente, l’hanno intesa anche in Mt 6, senza dover presumere un sedicente
«sottotesto ebraico» e senza dover ricorrere a un ermeneuta ebraico / aramaico.
Il mio interlocutore mi spieghi quindi a sufficienza la sua tesi nel rapporto
fra Lc 11 e Mt 6. Consiglio al lettore di consultare l’interessante
articolo seguente su Lc 11: Giovanni Bissoli, «Occhio
semplice e occhio cattivo in Lc 11,34 alla luce del Targum» (Studium
Biblicum Franciscanum, 1996).
Il punto del confronto
Esso è stato alquanto sofferto, ma molto utile per l’ermeneutica. Sia io che il
mio interlocutore abbiamo cercato di interpretare il testo in modo corretto. La
base di partenza, la metodologia e i risultati possono essere differenti, ma non
si può negare la sincerità e la serietà d’ognuno. Possa servire come stimolo e
aiuto a chi intende interpretare in modo corretto il testo biblico, distinguendo
fra le opinioni degli interpreti nel corso della storia e le vere asserzioni
testuali dell’autore del testo biblico. Non mi sono tratto indietro alla sfida
lanciatami dal mio interlocutore, né di affrontare le sue ripetute offensive, né
di dare risposta alle questioni da lui poste. Spetta ora al lettore di trarre le debite conclusioni.
Ecco qui di seguito alcune domande di orientamento. Essendo il NT stato scritto
in greco, bisognava che il lettore ellenista risalisse veramente a un
«sottotesto ebraico» per capire Mt 6,22s e Lc 11,33-36? Il lettore doveva
avvalersi veramente di un ermeneuta giudeo di estradizione giudaico / aramaico
per capire tali testi? Oppure gli autori scrissero in modo così chiaro nella
lingua dei lettori greci che questi potevano capire subito, direttamente e
chiaramente? La maggior parte dei Giudei non parlava allora greco? La cultura
ellenista del primo secolo non era aperta e cosmopolita?
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Due tesi a confronto su Matteo 6,22-23 (5)
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A1-Mt6,22s_supposizioni4_UnV.htm
27-06-2007; Aggiornamento: 26-05-2010 |