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Due tesi a confronto su Matteo 6,22-23 (1)
3. La tesi (2)
{Argentino Quintavalle}
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Nicola sbaglia nella sua interpretazione di Mt 6,22s a fare troppo affidamento
sui dizionari d’ebraico i quali difficilmente sono in grado di spiegare gli
ebraismi. Io non sono stato l’unico ad aver interpretato così quel passo di
Matteo, ed ecco le prove:
■ 1) Adam Clarke (1762-1832) fu un teologo
metodista inglese e uno dei più seri studiosi biblici, che ha rafforzato gli
insegnamenti di John Wesley, e quindi persona al di sopra delle parti che non
può essere accusata di giudaizzare né di gnosticizzare. Uno studioso di cui la
chiesa può essere fiera. Nel suo commentario su Mt 6,22s egli dice testualmente
(traduzione mia): «Un
occhio viziato era una frase in uso tra gli antichi giudei,
per indicare un uomo invidioso e avaro; un uomo che si lamenta della prosperità
del prossimo, che ama il suo denaro e che non farebbe mai la carità per amore di
Dio».
■ 2) John Gill (1697-1771). Teologo Battista
inglese, grande studioso di Latino e Greco sin dall’età di 11 anni. Ha fatto poi
studi di Logica e d’Ebraico. Una mente geniale di cui la chiesa può essere
fiera. Anche lui non può essere accusato di giudaizzare o gnosticizzare. Ecco il
suo commento su Mt 6,22s (traduzione mia): «Se dunque
l’occhio tuo è sano, cioè se tu sei munifico e generoso. L’argomento di
Cristo è per la generosità e contro l’avarizia, ed egli sta parlando
completamente nel linguaggio dei Giudei, i quali avrebbero potuto capirlo. Nella
letteratura giudaica leggiamo di tre tipi d’occhi; un occhio buono, un occhio
passabilmente buono, e un occhio malvagio, in riferimento alle offerte delle
primizie (Mishnah Trumot, 4,3).
Un “occhio buono” dava il quarantesimo, la scuola di
Shammai dice la trentesima parte. Un occhio “passabilmente buono” dava il
cinquantesimo; e un “occhio malvagio” dava la sessantesima parte (Maimonide
Bartemora & Ezra Chayim). Un “occhio sano” significa che è generoso e un “occhio
viziato” significa il contrario, perciò si legge spesso (Talmud Bab. Bava
Bathra, fol. 37,2 & 71,1 & 72,1) di “commercio” e “dare con occhio sano” o con
“occhio viziato”; cioè, generosamente, largamente, o in modo sempre più avaro, e
questo ci è d’aiuto per capire il senso delle parole del Signore, il cui
significato è: se egli non è un uomo avaro, ma la sua mente è disposta alla
generosità, se questo è il caso, allora tutto il suo corpo sarà illuminato.
Tutte le sue azioni saranno influenzate da questo nobile principio; tutta la sua
vita sarà illuminata, guidata e governata da esso».
Quelli che ho citato sono dei giganti della chiesa per quanto riguarda
l’interpretazione della Bibbia. Non a caso hanno scritto un commentario su ogni
singolo libro della Bibbia che tutti dovrebbero leggere (ma ci vorrebbe tempo e
possibilità per tradurli). Mi fermo qui, ma potrei citare un altro gigante della
teologia cristiana, John Lightfoot, e in tempi più recenti Edwin A. Abbott,
Israel Abrahams, C.F. Burney, Gustaf Dalman, C.G. Montefiore, Charles C.Torrey.
Altro che gnosticismo giudaizzante, queste erano persone che avevano capito come
si leggeva la Bibbia.
Per quanto riguarda gli autori moderni cito i seguenti:
Robert A. Guelich, The Sermon on the Mount
(Waco, TX: Word Books, 1982), pp. 329 (traduzione mia): «Nel sermone sul monte
Gesù ha usato un idioma ebraico “se l’occhio tuo è sano… se l’occhio tuo è
viziato”. La maggior parte dei traduttori hanno fallito nel rendere chiaro che
il significato non ha niente a che fare con la qualità fisica degli occhi. Il
concetto è etico. Nella letteratura rabbinica, se tu hai un “occhio sano” tu sei
una persona generosa; ma se tu hai un “occhio viziato” tu sei una persona avara
o avida».
Ed infine do la mia umile testimonianza che avendo
personalmente parlato con un rabbino ebreo-cristiano mi ha confermato che in
Israele l’occhio sano è un modo di dire per indicare una persona generosa e
l’occhio viziato indica una persona avara.
4. Obiezioni e osservazioni (2)
{Nicola Martella}
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Osservazioni e obiezioni alle tesi
Mi aspettavo una dimostrazione chiara, diretta e
incontrovertibile, basata su prove esegetiche e sulla citazione di fonti
contemporanee al primo secolo. Ma di tutto ciò non c’è ombra nello scritto del
mio interlocutore. La sua logica (o il suo sillogismo) è questa: siccome non
sono solo ad affermare ciò che dico, dev’essere vero. Ma questa non è una prova,
a meno che le fonti citate non le portino. Mi ricorda un amico che mi mando anni
fa una lista di citazioni su 1 Cor 11 provenienti da autori contrari alla
preghiera della donna; poiché tali citazioni non contenevano prove documentarie,
ma solo asserti, gli risposi che si poteva continuare a fare liste di citazioni
pro e contro la preghiera della donna, ma senza che ci si avvicinasse di un
millimetro alla verità; altrimenti la logica sarebbe quella della lista più
lunga.
Passiamo ora all’analisi di tali fonti. Mi è saltato
all’occhio che gli autori citati sono perlopiù vecchi di vari secoli; si ha
l’impressione come se l’esegesi non abbia fatto d’allora in poi nessun passo
positivo!? Alcune domande da porsi possono essere, ad esempio le seguenti: Tali
autori hanno portato prove certe o solo fatto asserzioni? Quanto citato proviene
dai tempi di Gesù o da vari secoli dopo, quando la cultura, la lingua e tanti
modi di dire erano mutati? Le persone, che si cita, sono credibili in un certo
aspetto solo perché hanno meriti in altri campi?
■ 1) Adam Clarke: Egli parla di «antichi
giudei»: quanto antichi? Chi conosce la lingua e la cultura giudaica, sa che
non sono rimaste immobili. Egli parla di «occhio viziato», ma il testo greco ha
qui «occhio malvagio», un’espressione troppo generica per essere ristretta
all’invidia e all’avarizia. Quindi, non troviamo qui nessuna prova.
■ 2) John Gill: Egli fa delle asserzioni
interpretative (generosità contro avarizia), ma non porta una prova esegetica.
Presume che sia così e attribuisce ciò ai Giudei. Poi basa la sua tesi dapprima
sulla Mishna, poi su due rabbini e infine su un trattato del Talmud babilonese.
Si noti che il rabbino Maimonide, se si tratta di
Moshe ben Maimon (detto anche Rambam), è vissuto nel
12°-13° secolo (!), quindi non è proprio contemporaneo con Gesù. Questa è
quindi la prova! L’autore non fa nessun tentativo di analizzare il testo greco,
di farne un’esegesi corretta e di portare prove documentarie contemporanee.
Sebbene l’autore citi la «scuola di Shammai» (1° sec. d.C.), non riporta nessun
detto di questo rabbino che spieghi le asserzioni di Gesù nel loro proprio
contesto. Si noti infatti che le citazioni delle opere giudaiche si riferivano
alle
offerte delle primizie, mentre Gesù non stava parlando di culto e di
offerte rituali, ma del modo di rapportarsi a Dio (e al mondo) e di essere in se
stessi (semplice o malvagio); quindi «l’ambito vitale» è diverso. Ribadiamo
anche qui che Gesù non parlò di «occhio viziato», ma di «occhio malvagio». Si
può quindi capire l’asserzione di Gesù già di per sé, così come si
presenta in greco, anche senza le proiezioni di Gill, prese in prestito
dall’«ambito vitale» rituale riguardo alle offerte delle primizie.
Si possono citare «giganti della chiesa per quanto
riguarda l’interpretazione della Bibbia», ma ciò non significa che nel punto
specifico abbiano ragione. Da quando hanno scritto Clarke e Gill, tante sono
state le analisi esegetiche e le scoperte. Anche tali studiosi più recenti
devono portare però prove certe al riguardo. Finora non ne ho viste.
■ 3) Robert A. Guelich: Anche lui, sebbene sia
un autore recente, si ferma ai proclami, ma non porta nessuna prova
documentaria. Scredita tutti i traduttori (!) e riporta il luogo comune di una
generica «letteratura rabbinica», che come abbiamo ribadito è medioevale quanto
alla recensione finale del Talmud. Non ci voleva proprio lui per sapere che ciò
«non ha niente a che fare con la qualità fisica degli occhi»!
■ 4) Argentino: Quello che gli dice un odierno
«rabbino ebreo-cristiano» è prova documentaria? Ciò che si dice oggigiorno in
Israele è ingiuntivo per l’esegesi? Non mi sembra questo un modo serio di
procedere nella ricerca e nell’accertamento della verità.
Aspetti conclusivi
Gli effetti sono imprevedibili, quando si confondono
gli «ambiti vitali» (Sitz im Leben), in cui sono inserite alcune
affermazioni. Per esempio, prendendo un argomento non controverso fra me e il
mio interlocutore, se si cita il comandamento «tu non uccidere» per avvallare la
tesi che non bisogna difendersi da un esercito aggressore e si
introducono al riguardo citazioni esterne che avvallano tale tesi, non è detto
che si affermi la verità su tale soggetto; anzi, si può scoprire che tale
comandamento regolava l’ambito interpersonale nella quotidianità, mentre
esisteva nella Torà una «legge bellica» che regolava l’aspetto particolare. I
due «ambiti vitali» sono dissimili sebbene trattino un argomento simile. Si
possono fare liste di citazioni di famosi rabbini e di altri studiosi a favore e
contro l’argomento se in guerra si possa uccidere o meno, ma se si trascura la
«legge bellica» della Torà, si farà dire al comandamento «tu non uccidere» ciò
che si vuole. Similmente le parole di Gesù in Mt 6 e le osservazioni dei rabbini
sui vari modi di comportarsi della gente riguardo alla legge sulle primizie
appartengono a due distinti «ambiti vitali» e, come tali, possono non avere
nulla a che fare l’uno con l’altro.
Alla fine di questa discussione, devo asserire che il
mio interlocutore non mi ha convinto. Mi sarei aspettato delle prove più solide.
Ritengo quindi che il lettore greco nel mondo ellenista capisse perfettamente
quanto Gesù disse in questi versi, senza filtri culturali giudaici e senza dover
conoscere le norme sulle primizie e le interpretazioni rabbiniche al riguardo.
Per lui era chiaro che Gesù contrapponeva una coscienza «semplice» (schietta,
onesta) a una «malvagia»; l’occhio esprime il rapporto di tale coscienza verso
il mondo esterno e tutto il suo essere verrà influenzato da tale rapporto.
L’evangelista Matteo non fece nulla per spiegarlo ulteriormente; tutto doveva
essere già chiaro così.
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Due tesi a confronto su Matteo 6,22-23 (3)