1. LE QUESTIONI: Un lettore del mio sito mi ha posto le
seguenti problematiche, su cui ha desiderato avere un mio parere.
Caro Nicola, tu hai parlato di alcune immagini presenti nella Scrittura, ad
esempio «accendere carboni sul capo di qualcuno». [►
In tutte le cose o in tutte le maniere?:
Tra traduzione letterale e dinamica] Proprio a proposito di quest’ultima
immagine desidero un tuo parere su quanto ti riporto sotto. Grazie per il
riscontro.
«Se il tuo nemico ha fame, dagli del pane da mangiare; se ha sete, dagli
dell’acqua da bere; perché, così, radunerai dei carboni accesi sul suo capo, e
il Signore ti ricompenserà» (Pr 25,21s).
Il concetto «radunerai dei carboni accesi sul suo capo» è solitamente
interpretato come capacità persuasiva, per ammorbidire il cuore del
nostro nemico, risultato delle «nostre opere di bene» (dare da mangiare, dare da
bere), che possiamo rendergli.
Senza voler sminuire gli effetti (di persuasione, di buona testimonianza) delle
nostre «buone opere», capaci di trasformare anche il cuore del nostro nemici, il
nostro approccio con la Parola deve sempre essere legato al contesto
esegetico del brano. Infatti, questo versetto verrà poi ripreso
dall’apostolo Paolo nell’epistola ai Romani 12,20: «Non fate le
vostre vendette, miei cari, ma cedete il posto all’ira di Dio;
poiché sta scritto: “A me la vendetta; io darò la retribuzione”, dice il
Signore. Anzi, “se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli
da bere; poiché, facendo così, tu radunerai dei carboni accesi sul suo capo”.
Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene» (Rm
12,19ss). L’invito, che l’apostolo fa, è diretto all’astenersi dalle nostre
vendette e, quindi, soprattutto cedere il posto all’ira di Dio, perché Lui darà
la retribuzione. Quindi possiamo ben affermare che il nostro agire (dare da
mangiare, dare da bere) sia un modo, attraverso cui noi non ci sostituiremo al
Signore (vedere anche Giacomo 1,20 «L’ira dell’uomo non promuove la giustizia
di Dio»), ma stiamo lasciando spazio al suo intervento.
Il significato dei carboni accesi è, infatti, sempre riferito al giudizio di
Dio. Ecco alcuni esempi: «Allora la terra fu scossa e tremò, le fondamenta
dei cieli furono smosse e scrollate, perché egli era
acceso d’ira. Un fumo saliva dalle sue narici e un fuoco divorante gli
usciva dalla bocca; da lui sprizzavano carboni accesi» (2 Sm 22,8s). «Fa’
che la testa di quanti mi circondano sia coperta dalla perversità delle loro
stesse labbra. Cadano loro addosso carboni accesi; siano essi gettati nel
fuoco, in fosse profonde, da cui non possano più risorgere» (Sal
140,9s). In questi passi ben possiamo evidenziare come l’ira del Signore venga
descritta come con l’espressione «carboni accesi». {Paolo Irollo; 07-06-2013}
2. COME NASCONO LE IMMAGINI RETORICHE E I MODI DI DIRE?: Le
immagini nascono in contesti particolari e poi diventano espressioni
idiomatiche, anche se le persone non conoscono più il contesto originario.
Questo è, ad esempio, il caso di tante espressioni ricorrenti nella società, che
sono tratte dalla Bibbia, sebbene spesso le persone non conoscano fin in
fondo i contesti d’origine. Si vedano, ad esempio, espressioni come le seguenti:
«Sei peggio di Caino»; «Dopo di noi il diluvio»; «E muoia Sansone con tutti i
Filistei»; «Si è comportato come un Giuda»; «Questa gente m’ha messo in croce»;
«Questa vita è un Calvario»; «Vitello grasso» (da Lc 15,23).
Altre immagini sono tratte da favole, racconti o eventi storici e sono
entrate nell’immaginario di tutti, sebbene alcuni non sanno più da dove
provengano tali modi di dire. Si vedano, ad esempio, espressioni come le
seguenti: «È arrivato Pollicino» (per persona piccola o nanetto; da una fiaba
omonima di Charles Perrault); «Brutto anatroccolo» (persona apparentemente
sgraziata, ma dotato di potenzialità ancora inespresse; dalla fiaba omonima di
Hans Christian Andersen); «Ecco King Kong» (per persona «ingombrante»; da vari
film omonimi); «Andare a Canossa» (ossia andare a fare penitenza; nell’anno
1077, l’imperatore Enrico IV si umiliò davanti a papa Gregorio VII, perché
ritirasse la scomunica); «Questa fu la sua Waterloo» (ossia la sua sconfitta
definitiva; nell’omonima battaglia del 18 giugno 1815 fra Napoleone Bonaparte e
la settima coalizione [Regno Unito, Austria, Prussia, e altri], l’imperatore
francese ebbe la sua definitiva disfatta); «Voler raddrizzare le gambe ai cani»
(Don Abbondio nei «Promessi Sposi» di Alessandro Manzoni); «L’acqua cheta scava
i ponti» (dalla commedia «L’acqua cheta» [1908] di Augusto Novelli); «Ai posteri
l’ardua sentenza» (da «Il cinque maggio» di Alessandro Manzoni su Napoleone
Bonaparte). E così via.
Si pensi anche a frasi celebri di film, che sono sulla bocca di tutti,
sebbene non tutti sappiano da dove provengano; ad esempio: «E io pago! E io
pago!» (Totò in «47 morto che parla»); «Domani è un altro giorno, e si vedrà»
(battuta finale di Rossella O’Hara nel film «Via col vento»); «Armiamoci e
partite» (Totò nel film «Totò contro Maciste» [1962]; poi titolo di un film di
Franco Franchi e Ciccio Ingrassia [1971]); «Quando il gioco si fa duro, i duri
iniziano a giocare» (usata nel film «Animal House» e pronunciata da John
Belushi); «Quisquilie e pinzillacchere» (detto da Totò in diversi film);
«Seppellire (o dissotterrare) l’ascia di guerra» (dai film western); «Armata
Brancaleone» (dall’omonimo film di Mario Monicelli [1966]).
Tutta questa dissertazione serve per far capire che la stessa dinamica è sorta
anche per le espressioni idiomatiche, i modo di dire e le immagini retoriche
presenti nella sacra Scrittura. La sfida sta nel capire il loro senso
autentico.
3. RIPOSTE ALLE TESI: La locuzione «radunare carboni accesi
sul capo di qualcuno» non ha a che fare primariamente con una presunta «capacità
persuasiva», facendo del bene al nostro nemico.
C’è da notare che Paolo in Romani 12,19ss non fa l’esegesi di Proverbi
25,21s, ma se ne serve solo come pezza d’appoggio per il suo discorso, il cui
succo è il seguente: non fare le tue vendette, ma vinci il male col bene,
lasciando il resto all’arbitrio di Dio. Affermare che, facendo del bene al
nostro nemico, stiamo lasciando spazio all’intervento divino, può essere
vero in parte; quando desistiamo dal fare da noi, permettiamo a Dio di agire a
modo suo e nei suoi tempi. Tuttavia, in Proverbi 25,21s non è scritto che sarà
Dio a radunare
«carboni accesi sul suo capo», ma lo fa il credente. A ciò si
aggiunga che Paolo affermò che, rinunciando noi alle nostre vendette, diamo
spazio alla vendetta e alla retribuzione di Dio verso gli empi. Quindi, egli
esortò all’azione benefica nella prospettiva che Dio agirà presto da giudice, se
non ci sarà un sincero ravvedimento.
È vero che si parla di carboni accesi in riferimento al giudizio di Dio,
ma tali esempi (2 Sm 22,8s; Sal 140,9s) sono fuori luogo, non spiegando Proverbi
25,21s, dove è il credente ad accumularli sul capo dell’empio, non Dio!
In tali brani, citati dal lettore, l’effetto non deriva dal fare noi il bene ai
nemici, vincendo il male col bene, ma si tratta di un giudizio distruttivo e
senza appello.
4. LA VIA PER UNA SOLUZIONE: Un aiuto concreto può venire
certamente da una traduzione letterale della parte finale di Romani 12,20:
ánthrakas pyròs sōreúseis epì tḕn kefalḕn autũ «ammucchierai
carboni di fuoco sul suo capo». Si noti che l’espressione
ánthrakai pyròs «carboni di fuoco» si trova in greco soltanto in Proverbi
25,22 (LXX), da dove proviene la citazione originale, e al singolare in Is 5,24
(LXX «carbone di fuoco»; TM «lingua di fuoco»).
Si trattava, quindi, in origine, di fuoco concreto. Tale locuzione non ricorre
mai più nella Bibbia e non è quella che ricorre nei brani citati per il giudizio
di Dio (2 Sm 22,8s; Sal 140,9s).
La traduzione della CEI spiega per Proverbi 25,21s: «[Tali versi sono] Citati in
Rm 12,20 per inculcare l’amore verso i nemici; i carboni possono significare il
rimorso che induce a pentimento». Si può abbastanza concordare con tale
tesi, sennonché i carboni non rappresentano il rimorso, ma la pubblica
vergogna, che poi può anche portare a rimorso e pentimento.
Ricordo di aver letto, molti anni orsono, che tale immagine risalga a un antico
costume egiziano, secondo cui il colpevole di alcuni reati era condannato a
portare sul capo un braciere con dentro carboni accesi. Ci si può immaginare il
disagio fisico, essendo che la testa «bolle» e suda. A ciò si aggiunga il
disagio sociale, diventando la burla di tutti, perdendo così la faccia.
Ho ricercato tale fonte e l’ho trovata. Verso la metà del 20° secolo
Siegfried Morenz, direttore dell’Istituto di Egittologia presso l’Università
di Lipsia, fece scalpore riguardo a Romani 12,20. Morenz segnalò un antico
racconto egizio, che era stato ritrovato, secondo cui, quando un ladro
restituiva a una persona il maltolto, aveva sulla sua testa un vassoio di
carboni ardenti. Il suo viso diventava rosso vivo per l’effetto dei carboni
ardenti; e, in tal modo, egli stava dimostrando la sua vergogna per il
malaffare. [Siegfried Morenz, «Feurige Kohlen auf dem Haupt»,
Theologische Literaturzeitung 78 (1953), pp.187-192.]
Per diversi commentatori della Bibbia tale costume egiziano gettò luce su
Proverbi 25,21s e Romani 12,20, trovandolo come la migliore spiegazione.
Altri, volendo rimanere nelle proprie convinzioni, portarono motivazioni
contrarie e si chiesero se Salomone (e poi Paolo) sapesse di tale costume.
Chiaramente ci sono altre spiegazioni
per tali testi (p.es. il fuoco domestico condiviso col proprio prossimo e tenuto
in vasi, che venivano trasportati sul capo), ma personalmente non mi hanno
convinto. [Cfr. Paul E. Zell
qui (pdf, inglese) e
qui (pdf in zip, tedesco, pp. 5s)]
Salomone e Paolo avrebbero usato l’immagine dei carboni accesi sulla testa come
una metafora per imbarazzo e vergogna? All’inizio della trattazione abbiamo
visto che le immagini culturali
vengono usate per secoli ed entrano nel linguaggio come modi di dire
indipendentemente dalla loro fonte originaria. È indiscutibile che Salomone
aveva molti contatti internazionali e particolarmente con l’Egitto (1
Re 3,1 «sposò la figlia di Faraone»; 10,28 cavalli). È altresì
indiscutibile che un’area geografica come il Medio Oriente fosse unita da
comuni usi e costumi, modi di dire, frasi idiomatiche e illustrazioni retoriche.
Paolo non doveva per forza conoscere tale originario costume egizio, quando citò
tale brano dei Proverbi, ma ben ne conosceva il significato illustrativo, che
doveva essere un bagaglio comune dei cultori dei sacri scritti.
Ho altresì letto che, ancora oggigiorno, gli Arabi
caratterizzano come «carboni ardenti del cuore» (o
anche «fuoco del fegato») il forte dolore interiore.
Tale costume divenne poi un modo di dire illustrativo e oramai
proverbiale, per significare la vergogna personale e sociale, che viene sopra
qualcuno. Colui, che tanto ci ha osteggiati, calunniati e avversati
personalmente e socialmente, caduto in disgrazia, viene
svergognato (socialmente, nella sua coscienza, ecc) proprio dal fatto, che
gli facciamo del bene, e lui è costretto ad accettarlo. Oltre agli aspetti
sociali, la sua coscienza lo compungerà. Egli sentirà tanto disagio in se
stesso, dinanzi a noi, che gli facciamo del bene, e dinanzi agli altri, che
conoscono le sue passate calunnie e avversioni. Ciò è appunto paragonabile a chi
deve portare sul capo un braciere pieno di carboni: la sua testa sarà rossa
per la vergogna; si spera, che il suo cuore allora sia contrito al punto,
che il rimorso lo porti al ravvedimento.
La lezione morale è che al Signore piace, se facciamo del bene proprio al
nostro nemico, e non mancherà di ricompensarci per questo.
5. ASPETTI CONCLUSIVI: Bisogna tener presente che, di là
dall’immagine particolare dei carboni accesi sul capo, Proverbi 25,21s si basa
sulle
direttive della legge, che riguardano il comportamento proprio verso la
proprietà (gli animali) di chi inimìca e odia di qualcuno: «Se
incontri il bue del tuo nemico o il suo asino smarrito, dovrai assolutamente
ricondurglielo. Se vedi l’asino di colui, che t’odia, accasciato sotto il
carico, guardati di farlo liberare da solo, ma dovrai assolutamente liberarlo
insieme a lui» (Es 23,4s).
L’asino e il bue erano spesso le uniche risorse «motrici», che un uomo
aveva, per muoversi e per lavorare. Dove era in gioco la vita e le risorse
fondamentali di una persona, si era in obbligo morale di intervenire
anche verso colui, che lo odiava. Anzi, questa era l’occasione per
prosciugare le acque dell’inimicizia e dell’odio.
Non usare le occasioni propizie per vendicarsi contro altri Israeliti, ma per
fare del bene proprio a chi lo riteneva un nemico, era l’atteggiamento del
giusto, che la legge
esigeva. Infatti è scritto: «Non odierai il tuo fratello
in cuor tuo; riprendi pure il tuo prossimo, ma non ti caricare di un
peccato a motivo di lui. Non ti vendicherai, e non serberai rancore
contro i figli del tuo popolo, ma amerai il prossimo tuo come te stesso»
(Lv 19,17s).
Anche nell’insegnamento di
Gesù c’è questo modo nuovo rispetto al giudaismo di interpretare i
rapporti alla luce della fede biblica. «Voi avete udito che fu detto: «“Ama
il tuo prossimo” e odia il tuo nemico. Ma io vi dico: Amate i vostri
nemici e pregate per quelli, che vi perseguitano, affinché siate figli
del Padre vostro, che è nei cieli; poiché Egli fa levare il suo sole sopra i
malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Se infatti
amate quelli, che vi amano, che premio ne avete? Non fanno anche i pubblicani
lo stesso? E se fate accoglienze soltanto ai vostri fratelli, che fate di
singolare? Non fanno anche i pagani altrettanto? Voi siate dunque
perfetti, com’è perfetto il vostro Padre celeste»
(Mt 5,43-48).
In corrispondenza a ciò, anche l’apostolo Pietro dava le seguenti
raccomandazioni: «Diletti, io vi esorto come stranieri e pellegrini ad
astenervi dalle carnali concupiscenze, che guerreggiano contro l’anima, avendo
una buona condotta fra le nazioni; affinché in ciò, che essi sparlano di
voi come malfattori, glorifichino Dio per le vostre buone opere, che
osservarono, nel giorno della visitazione» (1 Pt
2,11s). Il «giorno della visitazione (o ispezione)» è il giorno della resa dei
conti (cfr. Is 10,3; 29,6; Gr 6,15; cfr. Lc 19,44); lì, essendo palesati i fatti
reali, nessuno potrà dire male, ma anche quelli delle nazioni non potranno che
glorificare Dio, dando buona testimonianza.
Che fare se, dopo aver agito secondo le direttive del Signore, si miete solo
del male, senza che ci sia ravvedimento? Bisogna guardare al Signore e
mettere tutto nelle sue mani, sapendo che Egli non terrà
il colpevole per innocente (Es 34,7; Na 1,3).
Egli darà, a suo tempo, a ognuno secondo le opere sue (Pr 24,12; Ap 2,23;
20,12).
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A1-Carboni_accesi_R12.htm
09-06-2013;
Aggiornamento: 10-06-2013 |