1. L’IMPORTANZA DELLE
ESPRESSIONI IDIOMATICHE: Da tempo, sto lavorando a un
commentario sulla lettera agli Ebrei. Per tradurre letteralmente, devo fare
molti studi filologici e munirmi di molta pazienza. Voglio anticiparvi l’analisi
della locuzione greca katà pánta,
che significa letteralmente «secondo tutto» e che fa poco senso nel contesto.
Tale espressione idiomatica greca intende, in effetti, «in ogni modo o maniera,
in tutti i modi, in tutte le maniere» e ricorre nei seguenti brani: At
3,22; 17,22; Rm 3,2; Col 3,20.22; Eb 2,17; 4,15. Tradurre qui «in tutte le
cose», come viene fatto dalle traduzioni nostrane, non è confacente
all’intenzione degli autori biblici, mettendo così l’accento sui dettagli; al
contrario, «in tutte le maniere» intende in tutti i modi possibili.
Prima di passare ai dettagli,
faccio notare che le espressioni idiomatiche non intendono precisamente
ciò, che è scritto, ma ciò che il consenso attribuisce loro. Ad esempio, se si
dovesse tradurre in altra lingua letteralmente l’espressione romanesca: «Non
me ne po’ frega’ de meno» (in altri dialetti: «Non
me
ne
frega molto»),
nessuno capirebbe. Si dovrebbe renderlo dapprima così: «Non me ne importa
niente», «Non sono per nulla interessato» o «Non mi
interessa affatto», per poi tradurlo a senso nell’altra lingua.
Similmente esiste, ad
esempio, anche in italiano una differenza fra «Mi ha detto tutto» e «Mi ha
detto di tutto». La prima espressione intende «Mi ha detto ogni particolare»
di una certa cosa; la seconda può significare: «Me ne ha dette di tutti i
colori» (anche questa è un’espressione idiomatica, tanto più che i colori si
vedono, non si dicono!).
Tutto ciò l’ho premesso per
far capire l’importanza delle espressioni idiomatiche, la loro valenza culturale
e il fatto che bisogna tradurle correttamente in un’altra lingua. Ora, la
Bibbia, essendo stata scritta nel tempo, è ricca di immagini provenienti dalla
rispettiva cultura di riferimento, di modi di dire (p.es. «accendere carboni sul
capo di qualcuno») e di espressioni idiomatiche.
2. ANALISI TESTUALE:
Vediamo qui di seguito le implicazioni di katà
pánta, che sono molto rilevanti, nei brani del NT, in cui compare.
■ «Mosè, infatti, disse: “Il Signore Dio vi
susciterà in mezzo ai vostri fratelli un profeta come me; ascoltatelo in
tutte le cose che vi dirà”»
(At 3,22 NR). Traduciamo la parte finale: «a
lui darete ascolto in tutte le
maniere, per quanto egli dica
a voi». Il primo verbo è un futuro, il secondo è un congiuntivo (esso è
preceduto da ósa án all’incirca «per quanto», che nessuno nelle
traduzioni in italiano ha tradotto). Si tratta di un ascolto attivo (in
tutte le maniere) e non passivo (in tutte le
cose) e non bisogna sapere tutti i dettagli, ma ciò che riguarda la
propria categoria d’appartenenza (p.es. uomo o donna, governanti o governati,
padroni o servi, genitori o figli).
■ «Ateniesi, io vi
trovo in ogni cosa fin troppo religiosi»
(At 17,22 ND). Traduciamo letteralmente: «Uomini,
ateniesi, vi vedo in tutte le maniere
come più che religiosi [lett. più che devoti agli dèi]».
La NR si avvicina, riportando «sotto ogni aspetto». Paolo intendeva non i
dettagli della devozione degli ateniesi, ma la varietà delle espressioni
religiose o culti.
■ «Qual è dunque
il vantaggio del Giudeo? Qual è l’utilità della circoncisione? [2] Grande in
ogni senso. Prima di tutto, perché a loro furono affidate le rivelazioni di
Dio»
(Rm 3,1s).
Traduciamo letteralmente l’inizio del v. 2: «Grande
usanza
in tutte le maniere»; qui polý
«molto, grande» e trópon «costume, uso,
usanza, maniera,
condotta» sono ambedue accusativo neutro, mentre
katà pánta è accusativo plurale! Si veda Eb 13,5: «La condotta sia senza
amor di denaro» (afilárghyros ho trópos). La circoncisione portava,
quindi, dei vantaggi sotto ogni aspetto, ad esempio
per motivi igienico-sanitari.
■ «Figli, ubbidite ai vostri genitori in ogni
cosa, poiché questo è gradito al Signore…
Servi, ubbidite in ogni cosa
ai vostri padroni secondo la carne» (Col
3,20.22a NR). Tradurre qui «in ogni cosa» ha
già portato problemi di coscienza a tanti credenti, durante il corso della
storia, siano stati essi figli, servi o lavoratori. Da ciò è risultata la
pretesa di padri, padroni e datori di lavoro (cfr. anche capi militari e capi
religiosi) di essere ubbiditi in tutti i dettagli, passivamente e senza
discutere, poiché ciò sarebbe la volontà di Dio (v. 20b). Ciò è diventato
l’alibi dei padri-padroni. Al contrario, l’espressione «ubbidite
in tutte le maniere» non
riguarda i singoli contenuti, ma il modo con cui si ubbidisce (cfr. v. 22b); non
è un’attività passiva e non genera una fede fatalista, ma intende la propensione
a compiacere a chi è preposto e a essergli leale.
Questa visione delle cose è
liberatoria e si armonizza al meglio con le richieste fatte ai padri (v. 21) e
altrove ai padroni. In altri casi, in cui la coscienza è posta nel
conflitto fra richieste ingiuste e la volontà evidente di Dio, si può rispondere
come fecero Pietro e Giovanni dinanzi al tribunale giudaico: «Bisogna
rispettare [o dare retta] più a Dio che agli uomini» (At 5,29
così dal greco; cfr. v. 32 «che rispettano [o danno retta a] Lui»; cfr.
At 27,21 «si doveva portarmi rispetto [o darmi retta], non partendo»; Tt
3,1 portare rispetto a governanti e autorità,
non ubbidire loro ciecamente). Già in una situazione precedente, essi avevano
detto letteralmente: «Se è giusto, davanti
a Dio, di dare più ascolto a voi che a Dio, giudicatelo voi»
(At 4,19 gr. akuein «ascoltare, dare ascolto, prestare orecchio»; anche
quest’ultima locuzione è un’espressione idiomatica!).
■ «Perciò, egli doveva diventare simile ai suoi
fratelli in ogni cosa, per essere un misericordioso e fedele sommo
sacerdote nelle cose che riguardano Dio, per compiere l’espiazione dei peccati
del popolo»
(Eb 2,17 NR). Ciò
intende una conformità in tutti i dettagli. Traduciamo letteralmente l’inizio: «Perciò,
egli doveva essere equiparato
in tutte le maniere
ai suoi fratelli».
Tradurre qui «in tutte le cose» mette l’accento
sui dettagli, cosa che l’autore non aveva in mente; invece, «in tutte le
maniere» intende in tutti i modi possibili. Gesù cercò di vivere come uomo fra
gli uomini e come Giudeo fra i Giudei (cfr. Gal 4,4), sebbene si orientasse
all’espresso volere di Dio, scritto nella legge, e non alle tradizioni ebraiche
(Mt 15,3; Mc 7,9).
■ «Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non
possa simpatizzare con noi nelle nostre debolezze, poiché egli è stato tentato
come noi in ogni cosa, senza commettere peccato»
(Eb 4,15 NR).
Una tale traduzione premette che non ci sia una sola cosa, in cui Gesù non fosse
stato tentato; ciò è fuorviante. Traduciamo letteralmente la parte finale: «ma
è stato provato in tutte le maniere,
per similarità, senza peccato»; tralascio
qui la discussione della locuzione kath’
homoiótēta
«per similarità, affinità, analogia o somiglianza».
L’autore non intendeva mettere l’accento sui dettagli
ma, al contrario, voleva esprimere che Gesù fu «provato in tutte le maniere»,
ossia in tutti i modi possibili, evidenziando la grande varietà di approcci
della tentazione, in cui si venne a trovarsi. Vivendo da pio Giudeo, Egli si
teneva lontano dai luoghi, che erano fonte di peccato e tentazioni. Tuttavia, le
persone dei suoi tempi, specialmente i religiosi, vennero per metterlo alla
prova in tutti i modi (Mt 16,1; 22,35; Gv 8,6).
3. ASPETTI CONCLUSIVI:
Abbiamo visto che un’espressione idiomatica è una locuzione peculiare di
una certa lingua (p.es. «rimanere a bocca asciutta») e, come tale, non significa
ciò che viene letteralmente espresso, ma ciò che il consenso culturale ha
codificato e tramandato («rimanere senza il bottino, senza l’affare, ecc.»).
Perciò, tradurre letteralmente una simile frase in altre lingue, non dà alcun
senso logico; per essere capiti, bisogna tradurre in modo dinamico,
possibilmente trovando una corrispondenza nell’altra lingua.
Ad
esempio, in ebraico «alzare (o abbassare) il corno» significa «prevalere (o
soggiacere, umiliarsi)»; dinamicamente può corrispondere all’espressione
idiomatica italiana «alzare (o abbassare) la cresta».
Si pensi, ad esempio, anche a espressioni come le seguenti, che noi
usiamo senza neppure badarci: «è una ragazza acqua e sapone»; «è un tipo in
gamba»; «ha preso un granchio»; «ho parlato a braccio»; «va’ a quel paese (o al
diavolo, all’inferno, alla malora)»; e così via (cfr. «Glossario
delle frasi fatte»).
A questo punto, avendo «messo molta carne a cuocere» (anche questa è
un’espressione idiomatica!), lascio ai lettori, dotati di discernimento e
attitudine allo studio, di formulare le eventuali valutazioni e le debite
conclusioni.
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URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A1-Cose_maniere_UnV.htm
14-02-2013; Aggiornamento: |