Il suicidio — ossia «l’auto-uccisione» o la
«morte data a se stessi» — è stato da sempre una questione molto dibattuta.
Alcuni hanno affermato che il suicida, togliendosi la vita, pratichi un arbitrio
verso Colui che gliel’ha data, anzi in tal modo si faccia egli stesso Dio.
Qualcuno ha detto che il suicida commetta un peccato di incredulità.
Per capire come nella cultura religiosa occidentale si è pensato
dei suicidi fin dal Medioevo, riportiamo la popolarizzazione, che Dante
fece di tale idea. Dante e Virgilio si ritrovano in una foresta dagli alberi
contorti e senza frutti, dove abitano le arpie e da dove provengono enigmatici
lamenti. Su invito di Virgilio, Dante spezza un ramo, da cui escono sangue e
lamenti; si trattava in effetti del suicida Pier delle Vigne, un consigliere di
Federico II di Svevia: «Perché mi scerpi? / non hai tu spirto di pietade alcuno?
/ Uomini fummo, e or siam fatti sterpi: ben dovrebb’esser la tua man più pia, /
se state fossimo anime di serpi» (Inferno, canto XIII). L’uomo-albero
dell’inferno dantesco racconta che tutti i suicidi diventano alberi e vengono
tormentati continuamente dalle arpie. Alla risurrezione, essendo l’anima
d’ognuno di loro rinchiusa per l’eternità nell’albero, il loro corpo sarà appeso
ad esso, perché non sarebbe giusto che riabbiano il corpo, di cui essi si sono
privati da soli. Ciò contrasta chiaramente con la dottrina biblica, che
non conosce distinzioni alla risurrezione, se non di quella a salvezza e a
giudizio.
Come si vede, nel passato si è
visto nel suicida una specie di «maledetto» e di «senza Dio». A ciò si
aggiunga che, credendolo impuro, non aveva alcun diritto di essere seppellito
nel «campo santo», ma solo in terra non consacrata. (Per la Bibbia tutto
il cimitero è luogo di contaminazione, senza eccezioni!) In campo cattolico il
prete si rifiutava di celebrare il funerale per chi si riteneva meritasse
l’inferno. In campo evangelico alcuni potevano almeno sospettare che il suicida
avesse
perso la salvezza o non l’avesse mai avuta, visto il tal gesto. È
probabile che il suicidio sia stato associato nell’antichità al tradimento di
Giuda e al suo gesto disperato, dopo aver realizzato di aver tradito il
sangue innocente.
Il suicidio di una persona cara o
di un cristiano che è stato un esempio per noi, può sprofondarci, oltre che nel
lutto, in una grande confusione e in una crisi di coscienza. Ciò può
succedere anche nel caso, in cui veniamo a sapere dell’auto-morte di un parente
o di un amico.
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre
esperienze, idee e opinioni?
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1.
{Giovanni Fogato} ▲
Tempo fa, questo lettore mi ha scritto a caldo
le seguenti parole: «[…] sono in una situazione difficile e ho bisogno di aiuto.
Ti spiego. Un mio carissimo amico cristiano aveva sua suocera cristiana malata
di
depressione e demenza senile, che si è lanciata giù da una finestra del
terzo piano di casa sua. Era in cura da uno psichiatra e prendeva anche delle
medicine. Mi dai una mano su questo argomento così difficile!?». {04-2007}
2.
{Nicola Martella} ▲
Caro Giovanni, mi poni una «domanda da un
milione di dollari». Dovendo mancare diversi giorni, non posso risponderti così
in fretta. Ma tu
che ne pensi?
Ti lascio con questo
testo significativo di Romani 8,35-39:
«Chi ci separerà dall’amore di
Cristo? Sarà forse
la tribolazione, o la distretta, o la persecuzione, o la fame, o la nudità, o il
pericolo, o la spada? 36Come è scritto: “Per amor di te noi siamo
tutto il giorno messi a morte; siamo stati considerati come pecore da macello”.
37Anzi, in tutte queste cose, noi siamo più che vincitori, in virtù di
colui che ci ha amati. 38Poiché io son persuaso che né morte,
né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future,
39né potestà, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura
potranno separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore».
Tutto chiaro?
Confrontati con esso. Verbalizza per iscritto il tuo processo mentale e le tue
riflessioni e mandamele.
3.
{Giovanni Fogato} ▲
[…] grazie per avermi risposto subito! Quando
ti ho scritto, ero in stato mentale ed emotivo molto particolare per la notizia
della morte di uno altro mio amico e fratello in fede! Sono sicuro che siamo
salvati e conservati dalla potenza di Dio in Gesù e che quindi nessuna cosa
ci può separare dal suo amore eterno (Rm 8,39). La notizia della morte
tragica di questa sorella, madre e suocera di cari amici e fratelli, mi ha
sconvolto non poco proprio per la dinamica, con cui è avvenuta la morte, come ti
dicevo nel mio scritto precedente: si è
buttata giù da una finestra di casa! La notizia l’ho avuta in chat su
skype. La situazione è abbastanza difficile per loro; sono sottosopra anche per
le varie «sparate» di alcuni fratelli della loro chiesa (A.D.I.) sulla
perdita della salvezza della sorella e comunicate direttamente alla
famiglia; puoi immaginare come si sentono: sono sconvolti. Soprattutto se
ne fanno una colpa, in modo particolare la figlia, e non capiscono perché Dio
l’abbia permesso! Hanno chiesto aiuto anche a me! La prima persona che mi è
venuta in mente, a cui rivolgermi, sei stato tu. Non voglio caricarti di
responsabilità, ma sono sicuro che tu puoi darmi dei sani consigli su come poter
aiutare questi fratelli, oltre che con la preghiera. Ho fatto le mie ricerche
nella Bibbia. Ma non c’è nessuna circostanza analoga nella Bibbia, non si parla
di nessun «credente», malato mentale morto suicida. Fatta questa premessa, sono
convinto, ma non so loro, che un
vero credente non può «perdere» la salvezza, non per le sue capacità di
conservarla, ma per le promesse di Dio nella sua parola (Gv 3,16; 1 Gv 5,13).
Vorrei tanto poterli aiutare a trovare le giuste risposte! Questo mio caro amico
sta cercando delle risposte nella Parola, e sono convinto che «possiamo»
aiutarlo in questa sua «ricerca». Lui è convinto che la suocera sia salva, ma
vorrebbe del materiale da consultare sull’argomento. Per questo ho pensato a te
che hai un ministero della Parola, ti stimo pur non conoscendoti ancora di
persona […]. {04-2007}
4.
{Nicola Martella} ▲
1. CASI DI SUICIDIO NELLA BIBBIA:
Nella Bibbia non ci sono molti esempi di suicidio. Ecco qui di seguito quelli
più rilevanti.
■
Timori di disumana tortura: Saul si gettò sopra la propria
spada per non cadere nelle mani dei nemici, che lo avevano circondato, temendo
di essere da loro trafitto e di ricevere da loro oltraggio (1 Sm 31,4).
Oltre all’onta di essere in balia di crudeli aguzzini, Saul temeva qui di essere
lungamente torturato da loro fino alla morte, dopo una lunga agonia.
Similmente fece lo scudiero di Saul (v. 5) per disperazione e per timori simili.
■
Oltraggio del prestigio: L’orgoglio può essere causa di un gesto
estremo. Achitofel era un saggio e prestigioso consigliere, che le
azzeccava proprio tutte. Quando egli ritenne che il suo prestigio e il suo amor
proprio fossero stati profondamente offesi, avendo Absalom preferito il
consiglio strategico di un altro (Hušai), se ne tornò a casa e, dopo aver messo
a posto le faccende domestiche, s’impiccò (2 Sm 17,23).
■
Disperazione: Dopo un gesto folle, la coscienza può mordere e ci
si può sentire sporchi e disgraziati al punto che non si vede altra via d’uscita
che uccidersi con le proprie mani. Questo fu il caso di Giuda, che dopo
aver realizzato di aver tradito del sangue innocente, cercò di impiccarsi
(Mt 27,4s) e, durante questo intento, probabilmente il suo corpo precipitò giù
per la scarpata e il ventre si squarciò (At 1,18).
2. PUNTI DA PONDERARE:
Quanto segue è scritto nella speranza che possa essere considerato e dibattuto,
per arrivare a una propria convinzione. Personalmente non incoraggerò mai
nessuno a nutrire in sé l'idea di suicidarsi, poiché la vita è un dono di Dio.
Nella Scrittura la questione del suicidio non viene mai affrontata direttamente
e in senso dottrinale. Anche nei brani sopra citati, in cui alcune persone lo
praticarono, gli scrittori non ne diedero una interpretazione morale o
spirituale, né lo fece Dio, ma narrarono semplicemente ciò, che era successo.
Per questo motivo, facciamo bene a non creare nessuna facile dottrina di qualche
tipo riguardo a ciò che possa accadere a un rigenerato fedele, che in un momento
di profonda disperazione abbia fatto un gesto inconsulto.
Alcuni vorrebbero
applicare il «non uccidere» (Es 20,13) anche al suicidio (nel
senso di «non [ti] uccidere»), ma è illogico poiché poi bisognerebbe riferire
anche tutti gli altri comandamenti a se stessi: «Non [ti] rubare» (v.
15), «non concupire la moglie del tuo prossimo [che è in te]» (v. 17), ossia
«non desiderare tua moglie»; tutto finirebbe nell’assurdo!
Sull’auto-uccisione è
bene non affrettare le conclusioni. Come per altre cose, quando si è diventati
una «nuova creazione» (2 Cor 5,17; Gal 6,15), ossia si è stati rigenerati da
seme celeste (1 Gv 3,9), si può perdere il premio, non la salvezza: «Se
l’opera sua sarà arsa, egli ne avrà il danno; ma egli stesso sarà salvo, però
come attraverso il fuoco» (1 Cor 3,12-15). In ogni modo, ciò rientra nei
misteri riservati a Dio (Dt 29,29), che ha su tutto l’ultima parola.
Bisogna considerare
che il cervello è una macchina e come tale può ammalarsi. Come succede
per le droghe, le medicine (o una combinazione di esse) posso creare stati
alterati della mente e produrre allucinazioni; la stessa cosa possono
produrre un profondo travaglio mentale e spirituale. Ci sono momenti della vita,
in cui si può cadere in un profondo buco nero, si si può essere cadere
catturati dal mostro della depressione e la situazione si può cadere apparire
senza via d’uscita (cfr. molti salmi). Può succedere che in certe circostanze,
travolti dal vortice della disperazione, non si sia più «in grado di
intendere e di volere». Purtroppo, sebbene la comunione è la migliore
medicina, può succedere che la persona «malata» si isoli (ritenendo di non
essere accettata, amata, ecc.) e venga isolata (ritenendo che non voglia avere
contatti, che sia riservata, ecc.). A volte, si trascurano i segnali che il
candidato al suicidio manda ripetutamente. In un ambiente, dove la cura
reciproca e costante è normale e in cui tutti vengono coinvolti in progetti
positivi, l’indice di tendenza al suicidio cala senz’altro. L’isolamento,
l’alienazione, il senso d’inutilità, la percezione di dare fastidio e di essere
un peso, la mancanza di prospettive, la delusione, la depressione progressiva, i
timori alimentati per una possibile malattia grave e dolorosa e quant’altro
nutriscono il mostro
sempre più famelico, per sfuggire al quale l’auto-uccisione sembra il «male
minore». La risposta migliore verso chi ha tendenze suicide è la cura
pastorale!
3. DOMANDE PER LA
DISCUSSIONE: Può la tortura
subita o temuta (magari sentendo o vedendo altri casi) essere un motivo per
suicidarsi? Si vedano al riguardo i lager, i gulag e i campi di sterminio. ● 1.
Può il suicidio essere, in casi estremi, un atto eroico, quando si preferisce
l’auto-uccisione all’evenienza di abiurare la fede o di tradire altri credenti,
facendo nomi e svelando fatti segreti? ● 2. Come valutare ad esempio Dietrich
Bonhoeffer (1906-1945), che ci ha lasciato pagine bellissime di fede e di etica,
ma che nella prigionia nazista in un campo di sterminio preferì infine
l’auto-uccisione? ● 3. Qual è il compito e la responsabilità dei cristiani verso
altri cristiani a rischio di suicidio? Quali sono gli antidoti, che la Parola di
Dio prevede all’alienazione e a tutte le cause che sono alla base del suicidio?
Per l’approfondimento cfr. Nicola Martella,
«L’oppressione spirituale»,
Entrare nella breccia
(Punto°A°Croce, Roma 1996), pp. 122-140. Cfr. qui anche «I disturbi psichici e
le loro cause», pp. 141-160 |
5.
{Gaetano Nunnari} ▲
Il suicidio è un argomento molto delicato,
e personalmente non me la sento di esprimere giudizi su chi ha compiuto tali
atti. Mi sento però in dovere di mettere in guardia a non relativizzare troppo
questo gesto così estremo. Certo che questa sorella ha comunque per così dire
delle attenuanti. Soffriva di demenza senile, da quanto ho capito, e
quindi non poteva avere le piene facoltà mentali. Nessuno di noi può
sentenziare; Dio è il giusto giudice.
Credo comunque che sia
doveroso far notare che nessun profeta, o apostolo ha tentato di
porre fine prematuramente alla sua vita, per evitare pene peggiori. Gesù
stesso rifiuto il vino mescolato con la mirra, che avrebbe potuto narcotizzarlo
e, quindi, sentire meno sofferenza. Non conosco Dietrich Bonhoeffer, ma
credo che se si è tolto la vita, in fondo non ha dimostrato una piena maturità,
ed è quindi un modello da non seguire. Credo che bisogna fare attenzione a
proporre certi esempi, perché qualche persona particolarmente labile potrebbe
vedere ciò come una scusante, che infine possa giustificare tale gesto, e
compierlo. Credo che sia meglio avere la convinzione di andare all’inferno, che
in un momento di sconforto commettere tale atto insano. {04-2007}
6.
{Nicola Martella} ▲
Nessuno vuol scusare il suicidio, giustificarlo o istigare a compierlo. Chi lo
ha fatto, si è trovato in una situazione particolare, spesso estrema e
non razionalizzabile («Chi sta sazio, non giudichi chi sta digiuno»!). Nella
maggior parte dei casi essa non era stata neppure preventivata dal soggetto
cristiano. Non mancano neppure le
responsabilità ambientali. In certi casi si tratta di una lunga lotta
all’interno di una grave depressione psichica; nel proprio ambiente sociale e
religioso si lanciano «segnali» e si cerca un «salvagente», ma nessuno «entra
nella breccia» (cfr. Ez 22,30). In altri casi è un gesto improvviso e
disperato, che a «mente fredda» non si sarebbe compiuto. In altri casi
ancora si tratta di un tragico incidente, poiché il soggetto si trova in una
tale fase alterata della mente che non distingue la realtà dall’irrealtà,
tra realtà concreta e realtà virtuale (sogno, allucinazione; cfr. Pr 23,33ss; Is
29,8); a ciò possono contribuire aspetti psichici
(depressione, malattia mentale, sonnambulismo) e sostanze alteranti la coscienza
(alcool, droghe, farmaci).
Lo
spauracchio dell’inferno contro il suicidio di un cristiano è un
pessimo deterrente (chi si suicida è normalmente in uno stato alterato della
coscienza) ed una tara ingiusta addossata al malcapitato (si giudica
ingiustamente di cose, che non si può verificare). Questa è altresì una
dottrina, che ritengo sbagliata (si «è salvati per grazia mediante la fede»
o no? Ef 2,8), visto che la Bibbia non afferma mai espressamente che chi si
suicida in uno stato di alterazione mentale e disperazione, vada all'inferno.
Lasciamo a Dio l'ultima parola su qualcosa, che non ha espressamente rivelato.
Le soprastanti domande vogliono aiutare alla riflessione e all’approfondimento.
Perciò riflettiamo su di esse e su quanto segue:
● 1. Quali sono le concause che possono
portare a tale gesto irrazionale ed estremo?
● 2. Quale responsabilità ha in ciò
l’ambiente sociale e religioso in cui tale persona vive?
● 3. Chi o che cosa può impedire il
suicidio?
● 4. Il suicidio è certamente un «gesto
insano», ma è altresì dichiarato chiaramente dalla Scrittura come un «peccato»?
(il peccato è sempre la trasgressione di una legge chiaramente definita!). Come
poterlo definire sul piano biblico? ● 5. Un cristiano suicida perde il
suo premio (o parte d’esso, come per ogni altro inganno; Col 2,18) o la sua
salvezza?
(cfr. 1 Cor 3,12-15).
7.
{Argentino Quintavalle} ▲
1. Se un cristiano si suicida,
viene perdonato?
Questa potrebbe
sembrare una domanda imbarazzante, ma ha una risposta. Nonostante che il
cristiano, che si suicida commette un grave peccato, egli è perdonato.
Ma, per capire perché è perdonato, prima abbiamo bisogno di capire che cos’è la
salvezza e su cosa si basa.
La salvezza è la
condizione dell’essere salvati dal giudizio di Dio, che incombe sul peccatore.
L’unico modo per essere salvati è di confidare in Gesù per il perdono dei propri
peccati (Gv 14,6; At 4,12). Tutti quelli, che non credono in Gesù, per mezzo
della fede (Rm 5,1; 6,23; Ef 2,8s) non vengono perdonati e sono condannati (Gv
3,18). Quando Gesù perdona qualcuno, gli rimette tutti i suoi peccati e
gli dona la vita eterna, ed egli non perirà mai (Gv 10,28). Egli non dà una vita
eterna provvisoria… altrimenti non sarebbe eterna.
La salvezza non si
basa su quello, che una persona fa. In altre parole, non è l’ubbidienza alla
legge di Dio che può condurre alla salvezza. Infatti nessuno è salvato per mezzo
della legge (Gal 2,21; Rm 3,24-28). Ma questo non significa che si è liberi di
peccare ogni volta che si vuole. Rm 6,1-3 condanna espressamente una simile
idea. Al contrario, siamo salvati per la santificazione (1 Ts 4,7). La nostra
salvezza è tutta di Dio: «Siete stati salvati per grazia, mediante la
fede» (Ef 2,8). Tutti quelli, che credono e accettano il fatto che Gesù è
morto sulla croce per la loro salvezza, sono in effetti salvati (Gv 1,12,13).
Poiché la salvezza non viene ottenuta per opere, non può essere persa per
opere.
Che dire del peccato
imperdonabile? È forse il suicidio? No. Il suicidio non è il peccato
imperdonabile. Gesù ha parlato del peccato imperdonabile in Mt 12,22-32. Il
contesto si riferisce al fatto che i farisei hanno accusato Gesù di scacciare i
demoni con il potere del principe dei demoni. Quindi il suicidio non è il
peccato imperdonabile.
2. Il pentimento è necessario per la
salvezza?
Questa è una
domanda importante e la risposta è sì… e no. Ora, prima che qualcuno inizi a
scagliare le pietre, chiedo di essere ascoltato fino alla fine. Il pentimento è
un risultato necessario dell’opera di salvezza di Dio, non la causa della
salvezza. Se il pentimento portasse la salvezza, allora la salvezza dipenderebbe
dalle opere; o meglio, dalla cessazione delle opere cattive. Ma non funziona
così, perché anche Giuda si è pentito dalla sua malvagia azione, eppure
invece di cercare il Salvatore si è suicidato. Dio concede pentimento ai
credenti (2 Tm 2,25). Il cristiano quindi si ravvede dai suoi peccati; ed è in
grado di pentirsi perché si è ravveduto, non per essere salvato.
In 1 Gv 1,9 leggiamo, «Se
confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e
purificarci da ogni iniquità». La confessione del peccato e la sua
conseguenza naturale, che è il pentimento, sono elementi necessari della vita
cristiana. Ma che dire di quei peccati, che commettiamo senza rendercene
conto? Se noi non li confessiamo e non ci pentiamo di essi, siamo ancora
salvati? Naturalmente lo siamo! Altrimenti, saremmo sotto la Legge, vivendo
ancora sotto schiavitù e condannati per ogni minima trasgressione. Questa è
schiavitù, non libertà. Gesù ha detto che il suo giogo è leggero, non pesante
(Mt 11,28-30).
Da questo punto di
vista, il pentimento non è la causa della salvezza, ma il risultato della
salvezza. Il credente si pente dei suoi peccati perché ha fede in Cristo e in
seguito, continua a pentirsi di ulteriori peccati, che il Signore gli rivela.
3. Torniamo all’argomento del suicidio
Il suicida è uno
che si uccide. La cosa sfortunata per lui è che non può pentirsi della sua
azione. Il danno fatto è permanente. Possiamo vedere nella Bibbia come degli
assassini sono stati redenti (Mosè, Davide, ecc. ), ma essi hanno avuto
l’opportunità di confessare i loro peccati e di pentirsi. Il suicida non può
farlo. Ma ciò non significa che la persona sia perduta. Gesù ha portato su di sé
tutti i peccati della persona, tra cui anche il suicidio. Se Gesù ha
portato i peccati di quella persona sulla croce 2.000 anni fa, e se il suicidio
non era compreso, allora quel cristiano non è stato salvato sin dall’inizio e il
peccato di suicidio è in grado di disfare l’intera opera della croce di
Cristo. Questo non può essere. Gesù o salva completamente o non salva per
niente; ma «tutto quello che Dio fa è per sempre; niente v’è da aggiungervi,
niente da togliervi» (Ec 3,14).
4. Il suicidio è sempre sbagliato?
A questo non
posso rispondere categoricamente, perché non posso elencare ogni possibile
situazione. Ma sembra evidente che il suicidio è chiaramente sbagliato, però
perdonabile. Tuttavia, ci sono alcune categorie generali di suicidio, su cui
è bene soffermarsi a riflettere.
■
Suicidio medico assistito:
Non ho mai considerato questo come accettabile. Si presume che il medico
preservi la vita, non che la distrugga. Ma, negli ultimi anni, la distruzione di
vite non ancora nate è diventata cosa molto comune, la distruzione della vita
dei malati è stato il logico passo successivo.
■
Suicidio per evitare un lungo tormento:
Se qualcuno è costretto a soffrire in modo straziante per un lungo periodo di
tempo, il suicidio è un’opzione accettabile? Forse. Ma se ci si trova in questa
situazione, perché non avvalersi dell’assistenza medica per alleviare le
sofferenze? Saul si è suicidato per evitare delle sofferenze, anche se di genere
diverso. Onestamente, non sono sicuro di come rispondere a questa situazione.
■
Suicidio a causa di depressione:
Naturalmente, questa non è mai una buona ragione per suicidarsi. Le situazioni
passano e anche la depressione. Chi è depresso ha bisogno di guardare a Gesù per
ottenere aiuto. La depressione è una cosa reale e potente e va combattuta con
l’aiuto. La depressione grave, inoltre, priva la mente di lucidità. Coloro che
si trovano in tale stato, vivono una condizione mentale alterata, non nel loro
normale stato psichico.
■
Suicidio dovuto a squilibri cerebrali:
Il cervello umano è incredibilmente complesso e la letteratura medica è piena di
racconti di persone considerate normali, che hanno commesso un gesto insolito
dovuto a un «tilt nel cervello». Naturalmente questa situazione non rende
giustificabile il suicidio. Penso semplicemente che lo renda più spiegabile.
■
Suicidio accidentale:
A volte la gente si uccide casualmente. Per esempio sporgersi troppo da un
balcone, può causare la caduta e quindi la morte. Si può morire anche perché si
vuole correre dei rischi stupidi come giocare con un’arma da fuoco. Naturalmente
non è la stupidità che ci può separare dalla grazia di Dio, e quindi neanche un
incidente.
5. Conclusione
Il cristiano che
si suicida
è perdonato? Sì. Ma il suicidio non è un’opzione. Non abbiamo il diritto
di toglierci la nostra vita. Essa appartiene a Dio.
Giobbe disse «Perché sono nato?» (3,3-19;
10,18s). «Voglio morire» (6,8,9). La moglie gli disse: «Maledici Dio e
muori» (2,9). Sebbene ha dei momenti in cui vacilla, tutto fa tranne che
perdere la sua fede in Dio. Così Giobbe diventa per noi un esempio di fede:
avere speranza nella sofferenza. Spetta a Dio determinare la nostra vita, il
quale la controlla secondo la sua volontà, ed è nostro dovere sottometterci a
Lui con ogni umiltà e ubbidienza, sia nella vita che nella morte.
{04-2007}
8. {Sandro
Carini}
▲
Un «tema» che sto studiando tra le varie materie dei nuovi esami, è il
suicidio [corso universitario infermieristico, N.d.R.]. «Un milione di suicidi
ogni anno nel mondo. Ogni 40 secondi nel mondo si verifica un suicidio, ogni 3
secondi si registra un tentativo di suicidio». Di questo tema, fin
dall’antichità, nessuno si vuole prendere la responsabilità d’affrontarlo. Mette
paura, vergogna, ansia, rabbia ecc.; insomma è da evitare. Ogni paese aveva le
sue «assurde» tradizioni per seppellire un suicida.
In ogni modo, la cosa che mi ha colpito — ed è per
questo che mi sto rivolgendo a te, caro fratello Nicola — è quest’affermazione:
«Nel corso della storia, la religione ha svolto un ruolo importante
nell’influenzare lo stigma nei confronti del suicidio. La chiesa sia nel Nuovo
che nel Vecchio Testamento
non proibisce direttamente il suicidio. Nel Vecchio Testamento ci sono
vari suicidi e per nessuno d’essi si hanno commenti negativi». [N.d.R.:
qual è la fonte?]
Visto che è un tema che tutti vogliono schivare per
varie ragioni, forse è il caso che lo affrontiamo noi credenti, se non altro per
divulgare cosa dice «veramente» a questo riguardo la Parola di Dio (Vecchio e
Nuovo Testamento).
{04-2007}
9. {Nicola
Martella}
▲
Non penso che ci sia molto da aggiungere a quanto già dibattuto sopra. Presumo
che le parole tra virgolette derivino dal libro o dalla dispensa
dell’insegnante. Mi viene nuovo che esista una «chiesa… nel Vecchio Testamento»
nell’attuale accezione del termine. L’assenza di commenti negativi sui fatti di
suicidio
nell’AT (non sono tanti) dipendono dal velo pietoso steso sui defunti a
causa della loro tragica morte e dal fatto che l’autore intendeva parlare
d’altro. Nel NT si parla solo del suicidio di Giuda. In ogni modo, le
storie dei suicidi menzionati nella sacra Scrittura sono viste come l’apice di
una sconfitta personale. D’altra parte, però, i cadaveri delle persone
suicidate non venivano trattati diversamente dagli altri morti né seppelliti
in zone particolari (sconsacrate, contaminanti, ecc.). La morte era considerata
una sconfitta, comunque avvenisse. Nel regno dei morti non era prevista una zona
per i suicidi. Altra cosa sono le dottrine e i costumi, che nacquero nel
tempo nel cattolicesimo; ma di questo è inutile parlare qui.
Deve far pensare al fatto che l’uomo di guerra,
arrivato all’estremo, non preferisse cadere nelle mani dei suoi avversari (da
cui veniva torturato, disonorato e messi alla berlina; il vilipendio continuava
anche sul morto, cfr. 1 Sm 31,8ss) né voleva mettere direttamente fine alla sua
vita (era pur sempre una sconfitta per un prode), ma il padrone chiedeva o
ordinava al loro scudiero che mettesse fine alla sua vita come atto di pietà (v.
4a). Queste erano comunque situazioni estreme da non strapazzare
ideologicamente, ma rientravano nel codice d’onore dei combattenti. Laddove lo
scudiero, preso dal terrore, non riusciva a compiere un atto del genere, il
prode si gettava sulla propria spada (1 Sm 31,4b), cosa spesso imitata
dallo scudiero (v. 5). Il lutto per Saul fu come gli altri lutti e, anzi,
fu un atto di pietà (vv. 11ss). L’elegia di Davide sopra Saul e Gionathan non
distinse fra i due prodi (1 Sm 1,18-27). Egli ricordò lo scudo di Saul (v. 21),
la spada di Saul (v. 22). Ambedue furono accomunati e paragonati nella vita e
nella morte (sebbene Saul fosse stato un acerrimo nemico di Davide!): «Saul e
Gionathan, tanto amati e cari, mentre erano in vita, non sono stati divisi
nella loro morte. Erano più veloci delle aquile, più forti dei leoni!»
(v. 23). Ossia, per Davide, Saul e Gionathan non ebbero due destini diversi dopo
la morte.
Tutto ciò non è una licenza al suicidio, ma solo pietà
per chi è morto, comunque ciò sia avvenuto.
Chi è stato rigenerato da Dio, non sarà separato dal
Signore neppure dalla morte, comunque essa avvenga (Rm 8,35.38). Oggigiorno
bisogna distinguere le situazioni premeditate a mente lucida (p.es.
eutanasia) da quelle a corto circuito. Poi, ognuno renderà conto a Dio
dei suoi atti, qualunque essi siano. La salvezza, se la si ha, non si perde (è
Cristo a garantirla!), ma il premio sì (Col 2,18). Si fa comunque bene non
ricamare troppo su situazioni estreme e disperate. Non bisogna trarre da tutto
ciò una licenza stoica al suicidio.
Ho dovuto pensare ai seguenti brani, per concludere: «Umiliatevi
dunque sotto la potente mano di Dio, affinché Egli v’innalzi a suo tempo,
gettando su lui ogni vostra sollecitudine, perché Egli ha cura di voi. Siate
sobri, vegliate; il vostro avversario, il diavolo, va attorno come un leone
ruggente cercando chi possa divorare. Resistetegli stando fermi nella fede,
sapendo che le medesime sofferenze si compiono nella vostra fratellanza sparsa
per il mondo» (1 Pt 5,6-9). ● «Chi si pensa di stare dritto, guardi di
non cadere» (1 Cor 10,12). ● «Sottomettetevi dunque a Dio; ma resistete
al diavolo, ed egli fuggirà da voi. Appressatevi a Dio, ed Egli si appresserà a
voi» (Gcm 4,7s).
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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Suicidio_cristiano_EnB.htm
07-04-2007; Aggiornamento: 20-08-2013
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