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SUICIDIO DI UN CRISTIANO

 

 a cura di Nicola Martella

 

Il suicidio — ossia «l’auto-uccisione» o la «morte data a se stessi» — è stato da sempre una questione molto dibattuta. Alcuni hanno affermato che il suicida, togliendosi la vita, pratichi un arbitrio verso Colui che gliel’ha data, anzi in tal modo si faccia egli stesso Dio. Qualcuno ha detto che il suicida commetta un peccato di incredulità.

   Per capire come nella cultura religiosa occidentale si è pensato dei suicidi fin dal Medioevo, riportiamo la popolarizzazione, che Dante fece di tale idea. Dante e Virgilio si ritrovano in una foresta dagli alberi contorti e senza frutti, dove abitano le arpie e da dove provengono enigmatici lamenti. Su invito di Virgilio, Dante spezza un ramo, da cui escono sangue e lamenti; si trattava in effetti del suicida Pier delle Vigne, un consigliere di Federico II di Svevia: «Perché mi scerpi? / non hai tu spirto di pietade alcuno? / Uomini fummo, e or siam fatti sterpi: ben dovrebb’esser la tua man più pia, / se state fossimo anime di serpi» (Inferno, canto XIII). L’uomo-albero dell’inferno dantesco racconta che tutti i suicidi diventano alberi e vengono tormentati continuamente dalle arpie. Alla risurrezione, essendo l’anima d’ognuno di loro rinchiusa per l’eternità nell’albero, il loro corpo sarà appeso ad esso, perché non sarebbe giusto che riabbiano il corpo, di cui essi si sono privati da soli. Ciò contrasta chiaramente con la dottrina biblica, che non conosce distinzioni alla risurrezione, se non di quella a salvezza e a giudizio.

   Come si vede, nel passato si è visto nel suicida una specie di «maledetto» e di «senza Dio».  A ciò si aggiunga che, credendolo impuro, non aveva alcun diritto di essere seppellito nel «campo santo», ma solo in terra non consacrata. (Per la Bibbia tutto il cimitero è luogo di contaminazione, senza eccezioni!) In campo cattolico il prete si rifiutava di celebrare il funerale per chi si riteneva meritasse l’inferno. In campo evangelico alcuni potevano almeno sospettare che il suicida avesse perso la salvezza o non l’avesse mai avuta, visto il tal gesto. È probabile che il suicidio sia stato associato nell’antichità al tradimento di Giuda e al suo gesto disperato, dopo aver realizzato di aver tradito il sangue innocente.

   Il suicidio di una persona cara o di un cristiano che è stato un esempio per noi, può sprofondarci, oltre che nel lutto, in una grande confusione e in una crisi di coscienza. Ciò può succedere anche nel caso, in cui veniamo a sapere dell’auto-morte di un parente o di un amico.

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

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I contributi sul tema

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Giovanni Fogato

2. Nicola Martella

3. Giovanni Fogato

4. Nicola Martella

5. Gaetano Nunnari

6. Nicola Martella

7. Argentino Quintavalle

8. Sandro Carini

9. Nicola Martella

10.

11.

12.

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Giovanni Fogato} 

 

Tempo fa, questo lettore mi ha scritto a caldo le seguenti parole: «[…] sono in una situazione difficile e ho bisogno di aiuto. Ti spiego. Un mio carissimo amico cristiano aveva sua suocera cristiana malata di depressione e demenza senile, che si è lanciata giù da una finestra del terzo piano di casa sua. Era in cura da uno psichiatra e prendeva anche delle medicine. Mi dai una mano su questo argomento così difficile!?». {04-2007}

 

 

2. {Nicola Martella} 

 

Caro Giovanni, mi poni una «domanda da un milione di dollari». Dovendo mancare diversi giorni, non posso risponderti così in fretta. Ma tu che ne pensi?

     Ti lascio con questo testo significativo di Romani 8,35-39:

«Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, o la distretta, o la persecuzione, o la fame, o la nudità, o il pericolo, o la spada? 36Come è scritto: “Per amor di te noi siamo tutto il giorno messi a morte; siamo stati considerati come pecore da macello”. 37Anzi, in tutte queste cose, noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati. 38Poiché io son persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future, 39né potestà, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura potranno separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore».

     Tutto chiaro? Confrontati con esso. Verbalizza per iscritto il tuo processo mentale e le tue riflessioni e mandamele.

 

 

3. {Giovanni Fogato} 

 

[…] grazie per avermi risposto subito! Quando ti ho scritto, ero in stato mentale ed emotivo molto particolare per la notizia della morte di uno altro mio amico e fratello in fede! Sono sicuro che siamo salvati e conservati dalla potenza di Dio in Gesù e che quindi nessuna cosa ci può separare dal suo amore eterno (Rm 8,39). La notizia della morte tragica di questa sorella, madre e suocera di cari amici e fratelli, mi ha sconvolto non poco proprio per la dinamica, con cui è avvenuta la morte, come ti dicevo nel mio scritto precedente: si è buttata giù da una finestra di casa! La notizia l’ho avuta in chat su skype. La situazione è abbastanza difficile per loro; sono sottosopra anche per le varie «sparate» di alcuni fratelli della loro chiesa (A.D.I.) sulla perdita della salvezza della sorella e comunicate direttamente alla famiglia; puoi immaginare come si sentono: sono sconvolti. Soprattutto se ne fanno una colpa, in modo particolare la figlia, e non capiscono perché Dio l’abbia permesso! Hanno chiesto aiuto anche a me! La prima persona che mi è venuta in mente, a cui rivolgermi, sei stato tu. Non voglio caricarti di responsabilità, ma sono sicuro che tu puoi darmi dei sani consigli su come poter aiutare questi fratelli, oltre che con la preghiera. Ho fatto le mie ricerche nella Bibbia. Ma non c’è nessuna circostanza analoga nella Bibbia, non si parla di nessun «credente», malato mentale morto suicida. Fatta questa premessa, sono convinto, ma non so loro, che un vero credente non può «perdere» la salvezza, non per le sue capacità di conservarla, ma per le promesse di Dio nella sua parola (Gv 3,16; 1 Gv 5,13). Vorrei tanto poterli aiutare a trovare le giuste risposte! Questo mio caro amico sta cercando delle risposte nella Parola, e sono convinto che «possiamo» aiutarlo in questa sua «ricerca». Lui è convinto che la suocera sia salva, ma vorrebbe del materiale da consultare sull’argomento. Per questo ho pensato a te che hai un ministero della Parola, ti stimo pur non conoscendoti ancora di persona […]. {04-2007}

 

 

4. {Nicola Martella} 

 

1. CASI DI SUICIDIO NELLA BIBBIA: Nella Bibbia non ci sono molti esempi di suicidio. Ecco qui di seguito quelli più rilevanti.

     Timori di disumana tortura: Saul si gettò sopra la propria spada per non cadere nelle mani dei nemici, che lo avevano circondato, temendo di essere da loro trafitto e di ricevere da loro oltraggio (1 Sm 31,4). Oltre all’onta di essere in balia di crudeli aguzzini, Saul temeva qui di essere lungamente torturato da loro fino alla morte, dopo una lunga agonia. Similmente fece lo scudiero di Saul (v. 5) per disperazione e per timori simili.

     Oltraggio del prestigio: L’orgoglio può essere causa di un gesto estremo. Achitofel era un saggio e prestigioso consigliere, che le azzeccava proprio tutte. Quando egli ritenne che il suo prestigio e il suo amor proprio fossero stati profondamente offesi, avendo Absalom preferito il consiglio strategico di un altro (Hušai), se ne tornò a casa e, dopo aver messo a posto le faccende domestiche, s’impiccò (2 Sm 17,23).

     Disperazione: Dopo un gesto folle, la coscienza può mordere e ci si può sentire sporchi e disgraziati al punto che non si vede altra via d’uscita che uccidersi con le proprie mani. Questo fu il caso di Giuda, che dopo aver realizzato di aver tradito del sangue innocente, cercò di impiccarsi (Mt 27,4s) e, durante questo intento, probabilmente il suo corpo precipitò giù per la scarpata e il ventre si squarciò (At 1,18).

 

2. PUNTI DA PONDERARE: Quanto segue è scritto nella speranza che possa essere considerato e dibattuto, per arrivare a una propria convinzione. Personalmente non incoraggerò mai nessuno a nutrire in sé l'idea di suicidarsi, poiché la vita è un dono di Dio. Nella Scrittura la questione del suicidio non viene mai affrontata direttamente e in senso dottrinale. Anche nei brani sopra citati, in cui alcune persone lo praticarono, gli scrittori non ne diedero una interpretazione morale o spirituale, né lo fece Dio, ma narrarono semplicemente ciò, che era successo. Per questo motivo, facciamo bene a non creare nessuna facile dottrina di qualche tipo riguardo a ciò che possa accadere a un rigenerato fedele, che in un momento di profonda disperazione abbia fatto un gesto inconsulto.

     Alcuni vorrebbero applicare il «non uccidere» (Es 20,13) anche al suicidio (nel senso di «non [ti] uccidere»), ma è illogico poiché poi bisognerebbe riferire anche tutti gli altri comandamenti a se stessi: «Non [ti] rubare» (v. 15), «non concupire la moglie del tuo prossimo [che è in te]» (v. 17), ossia «non desiderare tua moglie»; tutto finirebbe nell’assurdo!

     Sull’auto-uccisione è bene non affrettare le conclusioni. Come per altre cose, quando si è diventati una «nuova creazione» (2 Cor 5,17; Gal 6,15), ossia si è stati rigenerati da seme celeste (1 Gv 3,9), si può perdere il premio, non la salvezza: «Se l’opera sua sarà arsa, egli ne avrà il danno; ma egli stesso sarà salvo, però come attraverso il fuoco» (1 Cor 3,12-15). In ogni modo, ciò rientra nei misteri riservati a Dio (Dt 29,29), che ha su tutto l’ultima parola.

     Bisogna considerare che il cervello è una macchina e come tale può ammalarsi. Come succede per le droghe, le medicine (o una combinazione di esse) posso creare stati alterati della mente e produrre allucinazioni; la stessa cosa possono produrre un profondo travaglio mentale e spirituale. Ci sono momenti della vita, in cui si può cadere in un profondo buco nero, si si può essere cadere catturati dal mostro della depressione e la situazione si può cadere apparire senza via d’uscita (cfr. molti salmi). Può succedere che in certe circostanze, travolti dal vortice della disperazione, non si sia più «in grado di intendere e di volere». Purtroppo, sebbene la comunione è la migliore medicina, può succedere che la persona «malata» si isoli (ritenendo di non essere accettata, amata, ecc.) e venga isolata (ritenendo che non voglia avere contatti, che sia riservata, ecc.). A volte, si trascurano i segnali che il candidato al suicidio manda ripetutamente. In un ambiente, dove la cura reciproca e costante è normale e in cui tutti vengono coinvolti in progetti positivi, l’indice di tendenza al suicidio cala senz’altro. L’isolamento, l’alienazione, il senso d’inutilità, la percezione di dare fastidio e di essere un peso, la mancanza di prospettive, la delusione, la depressione progressiva, i timori alimentati per una possibile malattia grave e dolorosa e quant’altro nutriscono il mostro sempre più famelico, per sfuggire al quale l’auto-uccisione sembra il «male minore». La risposta migliore verso chi ha tendenze suicide è la cura pastorale!

 

3. DOMANDE PER LA DISCUSSIONE: Può la tortura subita o temuta (magari sentendo o vedendo altri casi) essere un motivo per suicidarsi? Si vedano al riguardo i lager, i gulag e i campi di sterminio. ● 1. Può il suicidio essere, in casi estremi, un atto eroico, quando si preferisce l’auto-uccisione all’evenienza di abiurare la fede o di tradire altri credenti, facendo nomi e svelando fatti segreti? ● 2. Come valutare ad esempio Dietrich Bonhoeffer (1906-1945), che ci ha lasciato pagine bellissime di fede e di etica, ma che nella prigionia nazista in un campo di sterminio preferì infine l’auto-uccisione? ● 3. Qual è il compito e la responsabilità dei cristiani verso altri cristiani a rischio di suicidio? Quali sono gli antidoti, che la Parola di Dio prevede all’alienazione e a tutte le cause che sono alla base del suicidio?

 

Per l’approfondimento cfr. Nicola Martella, «L’oppressione spirituale», Entrare nella breccia (Punto°A°Croce, Roma 1996), pp. 122-140. Cfr. qui anche «I disturbi psichici e le loro cause», pp. 141-160

 

 

5. {Gaetano Nunnari} 

 

Il suicidio è un argomento molto delicato, e personalmente non me la sento di esprimere giudizi su chi ha compiuto tali atti. Mi sento però in dovere di mettere in guardia a non relativizzare troppo questo gesto così estremo. Certo che questa sorella ha comunque per così dire delle attenuanti. Soffriva di demenza senile, da quanto ho capito, e quindi non poteva avere le piene facoltà mentali. Nessuno di noi può sentenziare; Dio è il giusto giudice.

     Credo comunque che sia doveroso far notare che nessun profeta, o apostolo ha tentato di porre fine prematuramente alla sua vita, per evitare pene peggiori. Gesù stesso rifiuto il vino mescolato con la mirra, che avrebbe potuto narcotizzarlo e, quindi, sentire meno sofferenza. Non conosco Dietrich Bonhoeffer, ma credo che se si è tolto la vita, in fondo non ha dimostrato una piena maturità, ed è quindi un modello da non seguire. Credo che bisogna fare attenzione a proporre certi esempi, perché qualche persona particolarmente labile potrebbe vedere ciò come una scusante, che infine possa giustificare tale gesto, e compierlo. Credo che sia meglio avere la convinzione di andare all’inferno, che in un momento di sconforto commettere tale atto insano. {04-2007}

 

 

6. {Nicola Martella} 

 

Nessuno vuol scusare il suicidio, giustificarlo o istigare a compierlo. Chi lo ha fatto, si è trovato in una situazione particolare, spesso estrema e non razionalizzabile («Chi sta sazio, non giudichi chi sta digiuno»!). Nella maggior parte dei casi essa non era stata neppure preventivata dal soggetto cristiano. Non mancano neppure le responsabilità ambientali. In certi casi si tratta di una lunga lotta all’interno di una grave depressione psichica; nel proprio ambiente sociale e religioso si lanciano «segnali» e si cerca un «salvagente», ma nessuno «entra nella breccia» (cfr. Ez 22,30). In altri casi è un gesto improvviso e disperato, che a «mente fredda» non si sarebbe compiuto. In altri casi ancora si tratta di un tragico incidente, poiché il soggetto si trova in una tale fase alterata della mente che non distingue la realtà dall’irrealtà, tra realtà concreta e realtà virtuale (sogno, allucinazione; cfr. Pr 23,33ss; Is 29,8); a ciò possono contribuire aspetti psichici (depressione, malattia mentale, sonnambulismo) e sostanze alteranti la coscienza (alcool, droghe, farmaci).

   Lo spauracchio dell’inferno contro il suicidio di un cristiano è un pessimo deterrente (chi si suicida è normalmente in uno stato alterato della coscienza) ed una tara ingiusta addossata al malcapitato (si giudica ingiustamente di cose, che non si può verificare). Questa è altresì una dottrina, che ritengo sbagliata (si «è salvati per grazia mediante la fede» o no? Ef 2,8), visto che la Bibbia non afferma mai espressamente che chi si suicida in uno stato di alterazione mentale e disperazione, vada all'inferno. Lasciamo a Dio l'ultima parola su qualcosa, che non ha espressamente rivelato. Le soprastanti domande vogliono aiutare alla riflessione e all’approfondimento.

   Perciò riflettiamo su di esse e su quanto segue: ● 1. Quali sono le concause che possono portare a tale gesto irrazionale ed estremo? ● 2. Quale responsabilità ha in ciò l’ambiente sociale e religioso in cui tale persona vive? ● 3. Chi o che cosa può impedire il suicidio? ● 4. Il suicidio è certamente un «gesto insano», ma è altresì dichiarato chiaramente dalla Scrittura come un «peccato»? (il peccato è sempre la trasgressione di una legge chiaramente definita!). Come poterlo definire sul piano biblico? ● 5. Un cristiano suicida perde il suo premio (o parte d’esso, come per ogni altro inganno; Col 2,18) o la sua salvezza? (cfr. 1 Cor 3,12-15).

 

 

7. {Argentino Quintavalle} 

 

1. Se un cristiano si suicida, viene perdonato?

      Questa potrebbe sembrare una domanda imbarazzante, ma ha una risposta. Nonostante che il cristiano, che si suicida commette un grave peccato, egli è perdonato. Ma, per capire perché è perdonato, prima abbiamo bisogno di capire che cos’è la salvezza e su cosa si basa.

     La salvezza è la condizione dell’essere salvati dal giudizio di Dio, che incombe sul peccatore. L’unico modo per essere salvati è di confidare in Gesù per il perdono dei propri peccati (Gv 14,6; At 4,12). Tutti quelli, che non credono in Gesù, per mezzo della fede (Rm 5,1; 6,23; Ef 2,8s) non vengono perdonati e sono condannati (Gv 3,18). Quando Gesù perdona qualcuno, gli rimette tutti i suoi peccati e gli dona la vita eterna, ed egli non perirà mai (Gv 10,28). Egli non dà una vita eterna provvisoria… altrimenti non sarebbe eterna.

     La salvezza non si basa su quello, che una persona fa. In altre parole, non è l’ubbidienza alla legge di Dio che può condurre alla salvezza. Infatti nessuno è salvato per mezzo della legge (Gal 2,21; Rm 3,24-28). Ma questo non significa che si è liberi di peccare ogni volta che si vuole. Rm 6,1-3 condanna espressamente una simile idea. Al contrario, siamo salvati per la santificazione (1 Ts 4,7). La nostra salvezza è tutta di Dio: «Siete stati salvati per grazia, mediante la fede» (Ef 2,8). Tutti quelli, che credono e accettano il fatto che Gesù è morto sulla croce per la loro salvezza, sono in effetti salvati (Gv 1,12,13). Poiché la salvezza non viene ottenuta per opere, non può essere persa per opere.

     Che dire del peccato imperdonabile? È forse il suicidio? No. Il suicidio non è il peccato imperdonabile. Gesù ha parlato del peccato imperdonabile in Mt 12,22-32. Il contesto si riferisce al fatto che i farisei hanno accusato Gesù di scacciare i demoni con il potere del principe dei demoni. Quindi il suicidio non è il peccato imperdonabile.

 

2. Il pentimento è necessario per la salvezza?

      Questa è una domanda importante e la risposta è sì… e no. Ora, prima che qualcuno inizi a scagliare le pietre, chiedo di essere ascoltato fino alla fine. Il pentimento è un risultato necessario dell’opera di salvezza di Dio, non la causa della salvezza. Se il pentimento portasse la salvezza, allora la salvezza dipenderebbe dalle opere; o meglio, dalla cessazione delle opere cattive. Ma non funziona così, perché anche Giuda si è pentito dalla sua malvagia azione, eppure invece di cercare il Salvatore si è suicidato. Dio concede pentimento ai credenti (2 Tm 2,25). Il cristiano quindi si ravvede dai suoi peccati; ed è in grado di pentirsi perché si è ravveduto, non per essere salvato.

     In 1 Gv 1,9 leggiamo, «Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità». La confessione del peccato e la sua conseguenza naturale, che è il pentimento, sono elementi necessari della vita cristiana. Ma che dire di quei peccati, che commettiamo senza rendercene conto? Se noi non li confessiamo e non ci pentiamo di essi, siamo ancora salvati? Naturalmente lo siamo! Altrimenti, saremmo sotto la Legge, vivendo ancora sotto schiavitù e condannati per ogni minima trasgressione. Questa è schiavitù, non libertà. Gesù ha detto che il suo giogo è leggero, non pesante (Mt 11,28-30).

     Da questo punto di vista, il pentimento non è la causa della salvezza, ma il risultato della salvezza. Il credente si pente dei suoi peccati perché ha fede in Cristo e in seguito, continua a pentirsi di ulteriori peccati, che il Signore gli rivela.

 

3. Torniamo all’argomento del suicidio

      Il suicida è uno che si uccide. La cosa sfortunata per lui è che non può pentirsi della sua azione. Il danno fatto è permanente. Possiamo vedere nella Bibbia come degli assassini sono stati redenti (Mosè, Davide, ecc. ), ma essi hanno avuto l’opportunità di confessare i loro peccati e di pentirsi. Il suicida non può farlo. Ma ciò non significa che la persona sia perduta. Gesù ha portato su di sé tutti i peccati della persona, tra cui anche il suicidio. Se Gesù ha portato i peccati di quella persona sulla croce 2.000 anni fa, e se il suicidio non era compreso, allora quel cristiano non è stato salvato sin dall’inizio e il peccato di suicidio è in grado di disfare l’intera opera della croce di Cristo. Questo non può essere. Gesù o salva completamente o non salva per niente; ma «tutto quello che Dio fa è per sempre; niente v’è da aggiungervi, niente da togliervi» (Ec 3,14).

 

4. Il suicidio è sempre sbagliato?

      A questo non posso rispondere categoricamente, perché non posso elencare ogni possibile situazione. Ma sembra evidente che il suicidio è chiaramente sbagliato, però perdonabile. Tuttavia, ci sono alcune categorie generali di suicidio, su cui è bene soffermarsi a riflettere.

     Suicidio medico assistito: Non ho mai considerato questo come accettabile. Si presume che il medico preservi la vita, non che la distrugga. Ma, negli ultimi anni, la distruzione di vite non ancora nate è diventata cosa molto comune, la distruzione della vita dei malati è stato il logico passo successivo.

     Suicidio per evitare un lungo tormento: Se qualcuno è costretto a soffrire in modo straziante per un lungo periodo di tempo, il suicidio è un’opzione accettabile? Forse. Ma se ci si trova in questa situazione, perché non avvalersi dell’assistenza medica per alleviare le sofferenze? Saul si è suicidato per evitare delle sofferenze, anche se di genere diverso. Onestamente, non sono sicuro di come rispondere a questa situazione.

     Suicidio a causa di depressione: Naturalmente, questa non è mai una buona ragione per suicidarsi. Le situazioni passano e anche la depressione. Chi è depresso ha bisogno di guardare a Gesù per ottenere aiuto. La depressione è una cosa reale e potente e va combattuta con l’aiuto. La depressione grave, inoltre, priva la mente di lucidità. Coloro che si trovano in tale stato, vivono una condizione mentale alterata, non nel loro normale stato psichico.

     Suicidio dovuto a squilibri cerebrali: Il cervello umano è incredibilmente complesso e la letteratura medica è piena di racconti di persone considerate normali, che hanno commesso un gesto insolito dovuto a un «tilt nel cervello». Naturalmente questa situazione non rende giustificabile il suicidio. Penso semplicemente che lo renda più spiegabile.

     Suicidio accidentale: A volte la gente si uccide casualmente. Per esempio sporgersi troppo da un balcone, può causare la caduta e quindi la morte. Si può morire anche perché si vuole correre dei rischi stupidi come giocare con un’arma da fuoco. Naturalmente non è la stupidità che ci può separare dalla grazia di Dio, e quindi neanche un incidente.

 

5. Conclusione

      Il cristiano che si suicida è perdonato? Sì. Ma il suicidio non è un’opzione. Non abbiamo il diritto di toglierci la nostra vita. Essa appartiene a Dio.

     Giobbe disse «Perché sono nato?» (3,3-19; 10,18s). «Voglio morire» (6,8,9). La moglie gli disse: «Maledici Dio e muori» (2,9). Sebbene ha dei momenti in cui vacilla, tutto fa tranne che perdere la sua fede in Dio. Così Giobbe diventa per noi un esempio di fede: avere speranza nella sofferenza. Spetta a Dio determinare la nostra vita, il quale la controlla secondo la sua volontà, ed è nostro dovere sottometterci a Lui con ogni umiltà e ubbidienza, sia nella vita che nella morte. {04-2007}

 

 

8. {Sandro Carini}

 

Un «tema» che sto studiando tra le varie materie dei nuovi esami, è il suicidio [corso universitario infermieristico, N.d.R.]. «Un milione di suicidi ogni anno nel mondo. Ogni 40 secondi nel mondo si verifica un suicidio, ogni 3 secondi si registra un tentativo di suicidio». Di questo tema, fin dall’antichità, nessuno si vuole prendere la responsabilità d’affrontarlo. Mette paura, vergogna, ansia, rabbia ecc.; insomma è da evitare. Ogni paese aveva le sue «assurde» tradizioni per seppellire un suicida.

     In ogni modo, la cosa che mi ha colpito — ed è per questo che mi sto rivolgendo a te, caro fratello Nicola — è quest’affermazione: «Nel corso della storia, la religione ha svolto un ruolo importante nell’influenzare lo stigma nei confronti del suicidio. La chiesa sia nel Nuovo che nel Vecchio Testamento non proibisce direttamente il suicidio. Nel Vecchio Testamento ci sono vari suicidi e per nessuno d’essi si hanno commenti negativi». [N.d.R.: qual è la fonte?]

     Visto che è un tema che tutti vogliono schivare per varie ragioni, forse è il caso che lo affrontiamo noi credenti, se non altro per divulgare cosa dice «veramente» a questo riguardo la Parola di Dio (Vecchio e Nuovo Testamento). {04-2007}

 

 

9. {Nicola Martella}

 

Non penso che ci sia molto da aggiungere a quanto già dibattuto sopra. Presumo che le parole tra virgolette derivino dal libro o dalla dispensa dell’insegnante. Mi viene nuovo che esista una «chiesa… nel Vecchio Testamento» nell’attuale accezione del termine. L’assenza di commenti negativi sui fatti di suicidio nell’AT (non sono tanti) dipendono dal velo pietoso steso sui defunti a causa della loro tragica morte e dal fatto che l’autore intendeva parlare d’altro. Nel NT si parla solo del suicidio di Giuda. In ogni modo, le storie dei suicidi menzionati nella sacra Scrittura sono viste come l’apice di una sconfitta personale. D’altra parte, però, i cadaveri delle persone suicidate non venivano trattati diversamente dagli altri morti né seppelliti in zone particolari (sconsacrate, contaminanti, ecc.). La morte era considerata una sconfitta, comunque avvenisse. Nel regno dei morti non era prevista una zona per i suicidi. Altra cosa sono le dottrine e i costumi, che nacquero nel tempo nel cattolicesimo; ma di questo è inutile parlare qui.

     Deve far pensare al fatto che l’uomo di guerra, arrivato all’estremo, non preferisse cadere nelle mani dei suoi avversari (da cui veniva torturato, disonorato e messi alla berlina; il vilipendio continuava anche sul morto, cfr. 1 Sm 31,8ss) né voleva mettere direttamente fine alla sua vita (era pur sempre una sconfitta per un prode), ma il padrone chiedeva o ordinava al loro scudiero che mettesse fine alla sua vita come atto di pietà (v. 4a). Queste erano comunque situazioni estreme da non strapazzare ideologicamente, ma rientravano nel codice d’onore dei combattenti. Laddove lo scudiero, preso dal terrore, non riusciva a compiere un atto del genere, il prode si gettava sulla propria spada (1 Sm 31,4b), cosa spesso imitata dallo scudiero (v. 5). Il lutto per Saul fu come gli altri lutti e, anzi, fu un atto di pietà (vv. 11ss). L’elegia di Davide sopra Saul e Gionathan non distinse fra i due prodi (1 Sm 1,18-27). Egli ricordò lo scudo di Saul (v. 21), la spada di Saul (v. 22). Ambedue furono accomunati e paragonati nella vita e nella morte (sebbene Saul fosse stato un acerrimo nemico di Davide!): «Saul e Gionathan, tanto amati e cari, mentre erano in vita, non sono stati divisi nella loro morte. Erano più veloci delle aquile, più forti dei leoni!» (v. 23). Ossia, per Davide, Saul e Gionathan non ebbero due destini diversi dopo la morte.

     Tutto ciò non è una licenza al suicidio, ma solo pietà per chi è morto, comunque ciò sia avvenuto.

     Chi è stato rigenerato da Dio, non sarà separato dal Signore neppure dalla morte, comunque essa avvenga (Rm 8,35.38). Oggigiorno bisogna distinguere le situazioni premeditate a mente lucida (p.es. eutanasia) da quelle a corto circuito. Poi, ognuno renderà conto a Dio dei suoi atti, qualunque essi siano. La salvezza, se la si ha, non si perde (è Cristo a garantirla!), ma il premio sì (Col 2,18). Si fa comunque bene non ricamare troppo su situazioni estreme e disperate. Non bisogna trarre da tutto ciò una licenza stoica al suicidio.

     Ho dovuto pensare ai seguenti brani, per concludere: «Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, affinché Egli v’innalzi a suo tempo, gettando su lui ogni vostra sollecitudine, perché Egli ha cura di voi. Siate sobri, vegliate; il vostro avversario, il diavolo, va attorno come un leone ruggente cercando chi possa divorare. Resistetegli stando fermi nella fede, sapendo che le medesime sofferenze si compiono nella vostra fratellanza sparsa per il mondo» (1 Pt 5,6-9). ● «Chi si pensa di stare dritto, guardi di non cadere» (1 Cor 10,12). ● «Sottomettetevi dunque a Dio; ma resistete al diavolo, ed egli fuggirà da voi. Appressatevi a Dio, ed Egli si appresserà a voi» (Gcm 4,7s).

 

 

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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Suicidio_cristiano_EnB.htm

07-04-2007; Aggiornamento: 20-08-2013

 

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