I contributi sul tema
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Nell’articolo «Piano
personale e istituzionale dei conduttori: Disciplina e abuso
di potere nella chiesa», abbiamo visto che riguardo ai conduttori
bisogna distinguere due piani differenti: il «piano personale» e
il «piano istituzionale».
Essi, come tutti i credenti, sono fallaci nei rapporti interpersonali. Tuttavia,
non si può usare ciò come alibi per il loro arbitrio sul piano
istituzionale, ossia in questioni di dottrina e nell’abuso
di potere nella chiesa locale. Nella sacra Scrittura i due diversi piani sono
affrontati e regolamentati in modo differente.
Questioni
interpersonali sono gestite a livello privato e, in caso di rifiuto di uno
dei due, si segue una certa gradualità di
interventi (Mt 18). Gravi
questioni legati all’ufficio, che un conduttore riveste, e al ministero, che
esercita, non possono essere affrontati privatamente, poiché coinvolgono
l’intera chiesa, la sua sopravvivenza e la sua testimonianza.
Ecco un
consiglio su come procedere
in caso di questioni morali e dottrinali e d’abuso di potere. Tali problematiche
sono da discutere prima nel «consiglio di chiesa» (esso è formato da tutti i
conduttori, diaconi e collaboratori maturi), senza tentativi di colpevole
insabbiamento. Appurate le cose, in seguito, è necessario affrontarle
nell’Assemblea di chiesa, formata da tutti i credenti battezzati e in comunione.
In tale occasione, si consiglia di far parlare prima tale conduttore, per dargli
modo di spiegare il suo punto di vista e di difendersi; è altresì consigliabile
che un coordinatore gestisca le domande e le risposte, garantendo un clima
sereno e razionale. Dopo ciò, l’Assemblea di chiesa deve proseguire i lavori
senza di lui, per decidere al suo riguardo. In seguito, bisognerà comunicare
dapprima a tale conduttore e poi alla chiesa tutta le decisioni prese. La
massima istanza in una chiesa locale è appunto l’Assemblea di chiesa.
Per sgombrare nuovamente il campo da possibili
fraintendimenti, sebbene l'abbiamo chiaramente indicato nell'articolo di
riferimento, ribadiamo ancora una volta che nessuno, che operi
attivamente nell'opera del Signore, è messo al riparo da critiche e da giudizi;
i principi evinti si applicano a chiunque abbia una funzione ministeriale
nelle chiese o nell'opera del Signore. Ribadiamo, perciò, ancora una volta,
quanto segue. Nell'articolo abbiamo trattato il particolare caso dei
conduttori di chiesa (episcopi o sorveglianti, presbiteri o anziani). I
principi biblici risultanti e il procedimento biblico da usare in tali questioni
si applicano chiaramente a chiunque detiene un ufficio pubblico
nell'opera di Dio, secondo le funzioni ministeriali indicate dall'apostolo
Paolo: «E lui ha dato gli uni come missionari [fondatori = apostoli]; e
altri, come proclamatori [= profeti]; e altri, come araldi [= evangelisti]; e
altri, come curatori d’anime [= pastori] e insegnanti [= dottori]» (Ef
4,11). A loro si aggiungono chiaramente anche i «servitori» (= diaconi),
ossia i collaboratore o responsabili settoriale,
menzionati nello stesso contesto dei conduttori (1 Tim 3). Ciò che varia è
l'ambito d'azione dei provvedimenti disciplinari: chiesa locale per i
ministeri ecclesiali; chiesa mandante e/o missione per missionari e «servitori
del Signore».
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e
opinioni?
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1. {Antoine
Fracchiolla}
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Caro Nicola, sono
Antoine Fracchiolla. Anni fa, il Signore mi ha chiamato all’opera missionaria,
mentre vivevo ancora in Francia.
Condivido
appieno la tua comprensione biblica del tema. Sono io stesso confrontato a
queste problematiche. I problemi menzionati sono reali.
La cosa fondamentale, secondo la mia comprensione dottrinale e sul campo, è dare
a tempo alla nuova chiesa partita da zero la capacità di resistere
a coloro, che vorranno dominarla. C’è da pregare. Con affetto. {05-10-2010}
2. {Giovanni
Greco}
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Carissimo Nicola,
volevo ringraziarti per il pensiero che hai avuto di farmi partecipe di questo
argomento così importante per la salute delle nostre chiese. Devo dire che hai
fatto una analisi accurata del problema, avendo come base esempi biblici
comprendenti sia l’A.T. che il N.T. Ovviamente non posso che non essere
d’accordo con tutto quello che scrivi, proprio perché la base è biblica.
Io ringrazio il Signore che mi ha dato la gioia di avere due chiese, prima a
Bari e ora qui a Vasto, che nella loro sovranità hanno desiderato usufruire del
mio ministero in armonia con la Parola di Dio. Il problema in senso generale è
che serpeggia nelle chiese lo «spirito di Diotrefe», che si prefigge di
eliminare
i servitori a pieno tempo.
Un altro vero problema è il pressapochismo dei conduttori di chiesa.
Alcuni si ritrovano a essere «anziani» solo perché sono «uomini», o perché sono
tra i primi convertiti. Per esempio, ci sono quelli, che sono costretti a
farlo per necessità e Dio li benedice, ma ci sono anche quelli, che lo
fanno per il proprio prestigio personale, e ciò reca seri danni alla
testimonianza. Di solito, quando ci sono «fratelli» che non hanno la chiamata,
ma che pretendono di essere anziani a tutti i costi, ci riescono sì, non perché
hanno le qualifiche richieste, ma perché sono fiancheggiati dai numerosi
familiari.
Infatti, ai nostri tempi, in molte chiese, si adotta il «voto» con i
«bigliettini» e, quando non si arriva a una chiara elezione, addirittura si va
al «ballottaggio». Una leadership che viene fuori da una «prassi
antibiblica», non può che portare «problemi» e impoverimento spirituale, con il
rischio che chi arriva a «guidare la chiesa», facilmente possa diventare un «despota»
e non un servitore.
La causa principale di questo problema è da imputare proprio alla mancanza di
preparazione biblica della maggior parte dei leader delle chiese. Purtroppo
«tanti» non si preoccupano di fare studi, né di partecipare a convegni o a
conferenze, né tantomeno leggono libri cristiani. In alcuni casi, ci sono quelli
che non hanno nemmeno una visione globale del messaggio della Bibbia, perché
non l’hanno mai letta tutta. Questo è il motivo principale delle divisioni e
delle diverse lotte fra fratelli. Questi ultimi, pur di «creare il proprio
regno», sono disposti a fare di tutto e, quando arrivano a essere «anziani»,
difficilmente lasceranno il loro «trono». Infatti, gli anziani, in
molte Assemblee, sono «anziani a vita» con le tragiche conseguenze di una
brutta testimonianza. Se poi «qualcuno» vuole riportare l’ordine biblico,
questo «qualcuno» diventa un «nemico da eliminare» con qualsiasi mezzo.
Comunque, prego che nelle chiese ci sia l’apertura biblica per fare
secondo le indicazioni stabilite da Dio stesso riguardo alla conduzione nella
chiesa; e prego che il tuo articolo possa contribuire a ridonare chiarezza e a
prendere una posizione biblica, scevra da ogni tipo di compromesso.
Fraterni saluti! In Colui che tutto può! {05-10-2010}
3. {Nicola
Martella}
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Apprezzo il
contributo di Giovanni Greco. Non intervengo nel merito dei singoli punti, ma
faccio qualche osservazione su una questione specifica. Ho parlato e scritto da
tempo sui «conduttori di paglia», ossia quelli che vengono riconosciuto
non perché hanno le qualità descritte (1 Tm 3; Tt1), ma per avere un’artificiosa
«pluralità». Essi non solo non sono salutari per la comunità, ma sono nocivi,
poiché credono di essere ciò, che non sono, e perché ostacoleranno l’opera di
Dio con la loro carnalità rivestita di devozionalismo.
Detto questo, mi meraviglia che si debba addivenire a un «ballottaggio»
fra diversi candidati, visto che la chiesa dovrebbe pronunciarsi — qualunque sia
il metodo adottato — solo su una questione: i candidati hanno i prerequisiti
biblicamente richiesti (o almeno un’altissima percentuale d’essi) oppure no. Il
NT ci parla essenzialmente delle qualità da avere per accedere a un ufficio, non
del metodo usato. In ciò c’è una perizia, visto che i metodi dipendono
dalla cultura, in cui si è inseriti. Non esiste nel metodo una «prassi
(anti)biblica»; esso dev’essere concordato dall’Assemblea di chiesa secondo
i bisogni e la situazione. Che poi ogni metodo possa essere abusato, questo è un
altro paio di maniche; ciò non dipende dal metodo, ma dalla carnalità degli
uomini.
Nella prima chiesa che abbiamo fondato, l’altro missionario e io abbiamo
concordato la verifica dei candidati (conduttori, diaconi) proprio mediante i «bigliettini»:
bisognava spuntare «sì» o «no» accanto al nome di ogni candidato e in caso di un
«no» bisognava spiegare dietro i motivi. I bigliettini validi dovevano portare
nome e cognome della persona che dava la sua valutazione; i candidati non
avrebbero mai visto tali bigliettini, ma soltanto un ristretto comitato di
persone degne. Proprio per evitare i «papi a vita» senza qualità, ogni
conduttore o diacono doveva assoggettarsi a una verifica periodica (ogni 4-5
anni). Tale metodo viene usato fino ad oggi. Io personalmente condivido
questo metodo, se accompagnato da un’istruzione biblica preliminare e dalla
preghiera. Nella nuova opera ecclesiale, appena ce ne sarà il bisogno, noi
missionari lo introdurremo anche lì.
4. {Silvano
Creaco}
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■ Contributo: Ho
letto e riletto la tua nota, dove tocchi diversi aspetti riguardanti la
conduzione di una chiesa o meglio ancora le figure del conduttore nella sotto
specie di anziano, pastore, missionario, ecc. Rispondo a questa nota che, oltre
a toccarmi in maniera personale, credo che sia di
estrema attualità.
■ 1.
In quanto sono convinto che oggi lo stato
spirituale carente di molte chiese è dovuto, a volte, a una conduzione debole;
altre volte essa è di natura autoritaria, spesso legata all’incoerenza
fra il dire e il fare. Con questo non voglio assolutamente dire che la mancanza
di vera consacrazione e uno stato spirituale carente di ogni singolo membro di
chiesa sia solo ed esclusivamente colpa dell’anziano o del pastore; sarebbe
troppo comodo!
Premesso questo, sui
diversi aspetti ed errori nella conduzione hai toccato tu, in maniera
esauriente, ogni singolo aspetto, rimarcando le responsabilità. Da un
lato, ci sono membri
ribelli, mancanza di sottomissione, individualismo, ecc. Dall’altro ci sono
conduttori all’acqua di rose o puri dittatori; essi sono comunque
responsabili davanti a Dio di come hanno «governato il gregge».
■ 2.
Un unico punto forse ti è sfuggito, almeno io non
lo trovo, e cioè i rapporti fra i conduttori di differenti chiese. Mi
spiego meglio: mi riferisco al rispetto per il lavoro degli altri; intendo il
capire il dolore, che può creare il conduttore di un’altra comunità a
colui che veglia, prega, pasce il gregge con amore e zelo, per poi vedere alcuni
membri della propria chiesa fuoriuscire dall’ovile, per andare in un altro, in
nome della «sana dottrina». Peggio ancora è se tali «pecore» del proprio ovile
sono sollecitate da qualche anziano di un’altra comunità, che si presenta
come illuminato, sebbene predichi spesso solo se stesso. Queste anime deboli,
così adescate, asseriscono di spostarsi in un’altra comunità per
«discordanze dottrinali», in effetti però sono animati da un forte spirito
d’individualismo e di autoaffermazione, per il quale nella «vecchia assemblea»
non hanno trovato terreno fertile. Tale spirito d’individualismo
caratterizza, fra l’altro, quegli stessi conduttori, che incoraggiano le
pecorelle «contaminate» a fuoriuscire dalla loro chiesa di origine. Di questo
sicuramente un giorno, oltre alle cose importantissime che tu hai citato,
bisognerà renderne conto davanti al tribunale di Cristo. Chiaramente ciò
vale anche per altre cose, e qui parlo a me stesso e poi agli altri: che tipo di
marito, padre, lavoratore dipendente e quindi conduttore sono stato. Nel caso di
quest’ultimo, visto che è di questo ruolo che si parla, penso alla grande
responsabilità di pascere pecore, che fanno parte del gregge di Cristo, dove
Lui e il Supremo Pastore.
Nel concludere, mi piace
molto sottolineare che nello straconosciuto passo di 1 Pietro 5,1 si parla anche
di sorveglianza. Allora che il Signore ci dia saggezza come sorveglianti,
per capire chi sono i
lupi rapaci e per proteggere le pecore da loro. Per il momento mi fermo
qui. Aspetto altri commenti, magari la prossima volta cercherò di scrivere
qualcosa di più specifico sul tema che proponi. Saluti fraterni.
{05-10-2010}
▬ Risposta
(Nicola Martella): Apprezzo il contributo di Silvano Creaco. Ho numerato le due
distinte parti. La prima è in tema. La seconda è un argomento certo importante,
tuttavia differente; esso, sebbene arricchisca il quadro, porta ad altre
questioni: il rapporto fra chiese locali e fra i loro conduttori.
Nel tema attuale
affrontiamo soltanto i rapporti all’interno della stessa comunità fra i
seguenti protagonisti: missionari fondatori, conduttori, assemblea nel suo
complesso e i singoli membri. Tutti questi «interpreti» sono implicati verso gli
altri con una serie di rapporti, a seconda dei casi, salutari o nocivi,
di compartecipazione nel rispetto dei ruoli o di concorrenza, di legalità o di
abuso, di giustizia o di empietà, di spirito o di carne, e così via. Qui è di
questo che vogliamo parlare e di ciò che bisogna fare in caso di
disordine dei membri e di abuso di potere dei conduttori verso la comunità,
singoli membri e verso i missionari fondatori.
5. {Pietro
Calenzo}
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Senza dubbio
l’argomento posto dal carissimo Nicola ha una sua valenza preminente per una
scritturale e sana conduzione dell’assemblea. In primo luogo sento di dover
sottolineare che le assemblee che vengono pasturate dagli anziani, non sono
una loro proprietà. Ben lo spiega
l’apostolo Pietro, anziano fra gli anziani: «Pascete il gregge di Dio, che vi
è toccato in sorte»; e tale assunto pienamente biblico è, a mio parere, ben
rappresentato, dalle assemblee dei Fratelli, che forse più di altre
denominazioni consorelle, ben hanno focalizzato la centralità scritturale del
sacerdozio universale di tutti i credenti. Ciò al di là di delegittimare gli
anziani, i dottori delle varie assemblee di Gesù, ne accentua, viceversa, l’alto
onere (e onore) che lo Spirito Santo ha loro attribuito per mezzo del
dono dei vari carismi. D’altro canto, è peculiare comprendere che la chiesa
cristiana, vista globalmente, non è una democrazia ma un regno, dove
regna e deve regnare un Sovrano assoluto, Gesù, il Signore, Unto-Re.
In riferimento, ai
quesiti posti dal fratello Martella, in effetti è da differenziare la
pacificazione tra un credente e un altro soggetto, e la pubblica ammenda
della quale si debba fare carico un anziano di assemblea, o un ministro che
insegni, in assemblea o sui vari canali dei media, verità non scritturali, o
addirittura fomenti divisioni, emarginazioni, false dottrine. Non dimentichiamo
che l’apostolo Paolo riprese pubblicamente Pietro. Similmente Giovanni,
che pur è ricordato come l’apostolo dell’amore, assicurò riguardo a Diotrefe,
che stava sobillando un’assemblea molto probabilmente fondata dallo stesso
apostolo, una
riprensione pubblica esemplare.
Altra problematica, che
spesso emerge nella vita spirituale dei cristiani, è quale debba essere il
rapporto tra un numero cospicuo di assemblee, per esempio fondate da un unico
missionario, e le adunanze medesime. Generalmente si tende a privilegiare il
consiglio del fondatore, ma in questo modo non si delimita in qualche modo
l’autonomia della chiesa locale?
Ultimo interessante
argomento è se i missionari fondatori possano essere denominati apostoli
al di là della ristretta cerchia dei dodici, che furono con il Signore Gesù sin
dal principio del suo ministero. Senza dubbio nella scrittura sono denominati
come apostoli anche Giunia, Andronico, Barnaba e altri servitori del
Signore, ma non nell’accezione degli unici e irripetibili dodici (più Paolo), a
cui, soli, spetteranno i dodici troni accanto al Re dei re. E se «apostolo»,
nell’accezione scritturale e contemporanea, indica un «missionario», uno mandato
dal Signore Gesù per fondare nuove testimonianze cristiane in nuove località, è
loro competenza dirimere questioni riguardanti, per esempio, diatribe tra
due assemblee da loro fondate? Benedizioni nel Signore Gesù. {05-10-2010}
6. {Nicola
Martella}
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Ringrazio Pietro
Calenzo per il suo contributo, che contiene vari spunti di riflessione. Faccio
soltanto qualche appunto. I primi due punti sono una digressione dal tema
principale, sebbene aiutano al chiarimento globale.
■ La chiesa un regno?: La chiesa è nel
vero significato del termine greco ekklesia una «assemblea»,
quindi non è una democrazia, poiché non si sceglie a maggioranza, ma
secondo verità. La chiesa non è neppure una monarchia (o teocrazia),
poiché i cristiani non stanno tutti in una nazione e non sono soggetti a un
unico governo visibile; il regno messianico deve ancora venire. La chiesa è
paragonata nel NT a una casa
(o tempio) o a un corpo (o corporazione), ma mai a un regno (i due
termini non compaiono mai insieme!).
■ Paolo uno dei Dodici?: Oltre ai dodici
apostoli (= inviati, rappresentanti) del Messia, nel esistevano gli
«apostoli delle chiese» (così in 2 Cor 8,23; cfr. 2 Pt 3,2 vostri), ossia
coloro che erano inviati con un mandato per rappresentare le chiese di
provenienza sia in questioni interecclesiali, sia nella missione. Paolo,
a mio parere, non era uno dei «dodici apostoli», poiché il loro numero fu
legittimamente chiuso già in At 1. C’erano bisogno di due premesse per essere in
tale gruppo speciale e irripetibile: 1. Essere stato presente dall’inizio del
ministero di Gesù fino alla fine; 2. Essere stato testimone della risurrezione.
Infatti la scelta doveva essere fatta «fra gli uomini che sono stati in
nostra compagnia tutto il tempo che il Signor Gesù è andato e venuto fra noi, a
cominciare dal battesimo di Giovanni fino al giorno ch’egli, tolto da noi, è
stato assunto in cielo, uno sia fatto testimone con noi della risurrezione di
lui» (At 1,21s). Soltanto due avevano tali caratteristiche, e «Mattia… fu
associato agli undici apostoli» (vv. 23-26). Paolo non rispecchiava tali
caratteristiche. Egli era un apostolo delle chiese, essendo stato mandato dalla
chiesa di Antiochia (At 13,1ss).
■ Rapporto anomali fra missionari e conduttori:
La questione che riguarda i «missionari fondatori», è la triste
esperienza fatta da più di uno di loro in Italia, dopo aver tirato su una nuova
testimonianza con tanti sacrifici e dopo aver fatto riconoscere i conduttori
locali in armonia con la prassi apostolica del NT (At 14,23). Tali missionari
sono stati sistematicamente emarginati ed esautorati proprio da tali
conduttori, impedendo loro alcun tipo di ministero e di partecipazione alla vita
della comunità. Alcuni missionari fondatori sono stati minacciati di essere
messi addirittura fuori comunione, se avessero fatto qualcosa senza il
consenso dei conduttori. Alcuni di loro sono caduti in una profonda
costernazione e addirittura depressione. Conosco personalmente alcuni di questi
casi e le loro dolorose testimonianze. Conosco altri missionari fondatori, i
quali, per paura che ciò potesse succedere anche a loro, in pratica sono rimasti
i leader della chiesa fondata fino alla fine, cedendo la conduzione soltanto in
prossimità del loro ritorno nel Paese di provenienza. Non posso biasimarli, ma
neppure imitarli.
7. {Daniele
Guadagnino}
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■ Contributo:
Sono d’accordo con quanto esposto da Nicola Martella. La chiesa di Dio dovrebbe
essere la prima vera democrazia, e non le monarchie, a cui siamo
abituati oggi. In effetti l’apostolo Paolo, istruendo la chiesa «primitiva», ha
sempre parlato di anziani (ovvero responsabili) per la gestione delle adunanze e
non del fatto che queste devono essere governate da un solo pastore.
Le chiese locali non sono il popolo d’Israele (in senso intrinseco) e, quindi,
non hanno bisogno di un re, ma hanno bisogno di
uomini onesti e timorati di Dio, che sappiano consigliare, condurre e fare
prosperare, nella maniera più democratica possibile, la chiesa (nella
moltitudine del consiglio c’è saggezza).
Perciò posso
affermare, senza ombra di dubbio e senza timore, e soprattutto alla luce della
Parola di Dio, che le assemblee governate da un solo esponente sono
anti-bibliche e fuori dottrina. Pace del Signore a tutti. {08-10-2010}
▬ Risposta
(Nicola Martella): Questa è una questione, diciamo, parallela rispetto al tema
principale. Vero è che la ekklesia (assemblea) non è una dittatura.
D’altra parte non è paragonabile neppure a una vera democrazia moderna,
in cui si vota a maggioranza (50% + 1). La chiesa è un «corpo» o
«corporazione» e in essa si deve mirare alla «com-unione», al «pari
consentimento» e alla dinamica espressa da «l’un l’altro». È così che funziona
al meglio un corpo! (1 Cor 12,12-27). I ministeri nella chiesa non
servono per profilare se stessi, ma per l’edificazione del corpo (Ef 4,11-15).
Essendo Cristo il capo, partendo «da lui tutto il corpo, ben collegato e ben
connesso mediante l’aiuto fornito da
tutte le giunture, trae il proprio
sviluppo nella misura del vigore d’ogni
singola parte, per edificare se stesso nell’amore» (v. 16).
È vero, le assemblee governate in senso monocratico
non rispecchiano le evidenze del NT. D’altra parte, non corrispondono alle
direttive del NT (1 Tm 3; Tt 1) neppure i «conduttori di paglia», che
sono privi delle qualità essenziali previste dagli apostoli e stanno in un
collegio di conduttori soltanto per fare numero. Il NT non mette tanto l’enfasi
sul numero, quanto sulla qualità spirituale, morale e umana dei
conduttori, e ciò sebbene un collegio di conduttori sia preferibile a un
conduttore monocratico.
8.
{Salvatore Paone}
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■ Contributo:
Noto che questo punto biblico, menzionato da Daniele Guadagnino, è molto
sottovalutato dalla maggior parte delle chiese evangeliche, tranne qualcuna.
Credo inoltre che nella Bibbia, in special modo nel NT e sopratutto nelle
lettere troviamo spesso parlare riguardo al governo di una chiesa locale del
«collegio degli anziani» (presbitero). Essi sono uomini che «servono» la
chiesa, affiancati dai «diaconi» e da uomini maturi. Decisioni dottrinali e
morali non possono ricadere su un uomo solo, per quanto la sua saggezza può
essere grande.
Apro una piccola parentesi: Credo che Dio abbia donato alla chiesa i svariati
doni, oltre che per l’edificazione dei santi, anche per un complemento
istituzionale democratico, affinché ci sia unanimità.
Senza trascurare ciò che dice Paolo in Corinzi 4,6 [«praticare il “non oltre
quel che è scritto”»].
E vorrei aggiungere un particolare importante con questo commento. Dio mi guardi
dallo sminuire qualsiasi «pastore» che «governi» una chiesa locale con
umiltà. Ho commentato per spiegare biblicamente come stanno le cose.
{08-10-2010}
▬
Osservazioni
(Daniele Guadagnino): Confermo, Salvatore, non sminuiamo i pastori, ma solo i
«palloni gonfiati». {08-10-2010}
▬ Risposta
(Nicola Martella): Sebbene un «collegio degli anziani» possa essere
importante e sebbene si parli occasionalmente di «anziani» al plurale, per
onestà bisogna annettere che nel testo greco tale espressione non si trova mai
(neppure in 1 Tm 4,14 «imposizione delle mani dell’anzianità», ossia da
parte di Paolo, come in 2 Tm 1,6). Poiché i raduni avvenivano nelle case (chiese
in casa; cfr. Rm 16), non è chiaro se ogni anziano guidasse una tale
mini-comunità e se tali anziani di un certo luogo formassero insieme una specie
di consiglio.
Chiaramente espressioni come «complemento istituzionale democratico» non
si trovano nel NT, ma più nei manuali di politica. Nella chiesa la democrazia
basata su maggioranze alimenta soltanto l’individualismo e le «correnti»,
inducendo alla convinzione che le decisioni prese a maggioranza siano nella
volontà di Dio; no, esse devono essere prese in conformità con la sacra
Scrittura. Si veda al riguardo il consenso stabilito in alcune chiese su temi
morali, sebbene tali decisioni siano in netto contrasto con la Parola di Dio.
Perciò nella chiesa la democrazia basata su decisioni prese a maggioranza può
essere nociva quanto la conduzione monarchica, dove uno solo fa il bello e il
cattivo tempo.
L’alternativa biblica è la seguente. Le chiese locali devono riconoscere
i propri conduttori, in conformità con le qualità richieste dalla sacra
Scrittura (1 Tm 3; Tt 1), ed essi devono poi guidare le comunità, come
richiesto loro (1 Pt 5,1ss). Essi sono degni di tale onere e onore fintantoché
si attengono scrupolosamente alle prerogative legate a tale ufficio.
Un meccanismo di
verifica periodica (p.es. ogni 5 anni), impedisce che uomini, che hanno
perso le qualità richieste o che hanno sviluppato anomalie morali o dottrinali,
continuino a guidare le chiese. In tal modo, si ostacolano anche gli «anziani di
paglia» e si impedisce che si formino «papi a vita».
9. {Eliseo
Paterniti}
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Carissimo Nicola,
tu ben sai che in questo argomento mi trovi d’accordo. Sono stato sempre fermo
in questa battaglia fin da ragazzo. Non so se a motivo che sono cresciuto in un
chiesa collegiale oppure perché ho approfondito le mie ricerche nella
Scrittura. Credo che siano le due ipotesi messi assieme.
Ci sono «pastori», che affermano la linea del governo pastorale o
addirittura, secondo il «nuovo linguaggio», loro non accettano il governo
democratico ma teocratico. Ho chiesto loro quanto segue: ▪ 1. Con quale
scritture mi dimostrate la vostra linea? ▪ 2. Cosa significa per voi governo
«teocratico».
Fino ad ora non ho ricevuto nessuna risposta alle mie domande. Addirittura un
pastore su Facebook ha risposto evasivo alla mia domanda, postagli due volte.
Molti di questi pastori, non so se per ignoranza o per interessi personali,
affermano che
la teocrazia è sul pastore, perché lui dipende da Dio; e i comandi che
Dio dà alla chiesa, li dà solo tramite il pastore come autorità costituita da
Dio. Immagina che un giorno, in una discussione personale, un pastore mi disse
che Dio ha costituito il pastore nella chiesa e quest’ultimo ha la facoltà e
l’autorità di scegliesi il resto dei ministri, che gli devono stare pure
loro sottomessi. Per semplificare il discorso, spiego meglio tale logica: Dio
sceglie me come pastore e massima autorità della chiesa; e poi sarò io a
scegliere chi deve essere un apostolo, un profeta, un evangelista e un dottore.
Questi ministri devono stare tutti sottomessi al mio ministero.
Certamente chiunque ha le idee chiare nelle Scritture, dirà che
quest’affermazione è del tutto priva di senso e di fondamento. Vi
assicuro che trovate pure me d’accordo con voi. Non a caso sono nella bocca di
diversi pastori e sono guardato come un sovversivo, perché tramite internet ho
contrastato queste teorie.
Voglio riportare un’espressione usata da un pastore e credo indirizzata al
sottoscritto: «Da tempo noto (in alcuni
disassociati, non appartenenti a nessuna chiesa o corpo di Cristo) un
grande interesse a destabilizzare la sottomissione verso il pastore o i
conduttori, perché? Visto che nessuno chiede di farlo a voi? Cosa ci si
guadagna?? Forse ci sono interessi personali?
Dio ci illumini e protegga la sua chiesa da questi personaggi, in
cerca di autore...».
In conclusione, desidero chiarire una espressione di Daniele Guadagnino, quando
dice: «La chiesa di Dio dovrebbe essere la prima vera democrazia, e non
le monarchie a cui siamo abituati oggi». Neanche la democrazia è menzionata
nella prima chiesa, anzi gli apostoli nelle loro decisioni erano di pari
sentimento a chiedere direzioni allo Spirito Santo. Quando esprimevano una
decisione non dissero mai: «Abbiamo deciso
per maggioranza...»; al contrario, dicevano così: «È parso bene a noi,
riuniti di comune accordo...
Infatti è parso bene allo Spirito Santo e a noi...» (Atti 15,25.28).
Giustamente Nicola afferma che le decisioni devono essere prese. Riporto
le parole di Nicola: «Ecco un consiglio su come procedere in caso di questioni
morali e dottrinali e d’abuso di potere. Tali problematiche sono da discutere
prima nel “consiglio di chiesa” (esso è formato da tutti i conduttori, diaconi e
collaboratori maturi), senza tentativi di colpevole insabbiamento. Appurate le
cose, in seguito, è necessario affrontarle nell’Assemblea di chiesa, formata da
tutti i credenti battezzati e in comunione». A mio avviso, se vogliamo
promuovere la democrazia nella chiesa, il grande rischio è che tutti
anche i neo convertiti senza alcuna conoscenza e maturità spirituale potrebbero
decidere. Per esperienza personale posso dire che sarebbe una grande
confusione e disorientamento nella chiesa. Daniele, non me ne volere se ho
puntualizzato la tua espressione. Questo ci tenevo a chiarirlo. {08-10-2010}
10. {Sandro
Bertone }
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Caro Nicola, ho
letto tutto ciò, che hai scritto, e sono rimasto colpito dal fatto che ci siano
situazioni come le hai descritte. Grazie a Dio, non ne ho esperienza. La mia
personale scelta è sempre stata quella di «rendere pubblici» tutti i casi, che
potevano configurarsi come «ricatti». Smascherare subito è un’arma
potente; continuare a nascondere è letale. Se si è commesso un errore, tanto
vale ammetterlo; tutti saranno pronti o disposti a perdonare.
Mi spiace e prego per quelle comunità, in cui c’è un clima di così grave
conflitto, ma non ho esperienze da condividere o altri consigli da dare. Mi
verrebbe da dire che «ognuno ha gli Anziani o conduttori che si merita», ma non
sono sicuro che sia sempre così! Forse è una scuola, che Dio ci fa fare…
forse è meglio cambiare scuola… forse è bene cacciare i cattivi maestri. Ogni
caso avrà una sua soluzione. L’importante è cercare la guida del Signore per il
giusto discernimento. Un caro saluto e grazie per ciò che fai. {09-10-2010}
11. {Claudia
Falzone}
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Caro fratello
Nicola, grazie di cuore per questo interessantissimo scritto che hai pubblicato.
Trovo che tutte le tue ricerche sulla gestione ecclesiastica siano sempre
corrette e ineccepibili, conformi in ogni punto alle Scritture e al buon senso.
Credo che tali scritti dovrebbero costituire le linee di guida per ogni
chiesa evangelica di ogni denominazione. Leggendo tali spunti mi rendo conto di
come dovrebbero essere ovvi per ogni conduttore di chiesa, invece non sempre è
così. Non ti scrivo solo per farti i complimenti, ma perché ritengo che queste
cose siano utilissime per le chiese di Cristo, e volevo farti sapere
quanto siano apprezzate le tue ricerche in proposito. Dio ti benedica.
{14-10-2010}
12. {Alessandro
Saraino}
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■ Contributo:
Shalom, fratello Nicola, siccome ho letto un articolo ormai passato, dal titolo
«Piano
personale e istituzionale dei conduttori», se mi è concesso
vorrei esprimere la mia personale testimonianza in merito, sperando di
ricevere almeno un parere da parte tua, se non è possibile pubblicarla.
Grazie di cuore.
Dunque, fino a settembre 2010 ho frequentato una comunità di Milano,
della quale non faccio il nome, per paura di ripercussioni da parte degli
anziani e del pastore. I problemi sono cominciati purtroppo per colpa mia, in
quanto essendo
responsabile del gruppo di lode e di adorazione, mi sono macchiato di un
peccato pesante, e la cosa è arrivata agli orecchi del pastore. Ovviamente
egli ha preso in mano la situazione, ma la sua presa di posizione ha lasciato
alquanto perplessi sia me che mia moglie, e ora ti spiego il perché.
Il pastore ha deciso in cuor suo di lavorare in maniera da nascondere e
occultare sapientemente ogni cosa, lasciandomi al mio posto sul palco. Per
mantenere tale posizione ha anche rimproverato mia moglie (che invece si
aspettava quantomeno un mio rimprovero), dicendole che era una «mina vagante».
Solamente più tardi (un mese dopo), quando gli ho comunicato che avrei lasciato
la chiesa e il ministero musicale, per dedicarmi al ministero di evangelista,
egli ha reagito in malo modo, scrivendomi una lettera di rimprovero e
scomunica, che ha letto davanti a tutta la chiesa (senza che io fossi
presente), durante il culto domenicale. Tutti i fratelli, ai quali volevo bene,
hanno preso le distanze da me, istigati dalla sua presa di posizione. A
mia moglie invece ha avuto la faccia tosta di chiamarla, chiedendole scusa in
privato, mentre davanti a tutti gli anziani l’aveva fatta piangere,
rimproverandola duramente. Le ha inoltre consigliato di tornare in chiesa da
lui, senza di me (che sono una pecora nera).
Ora, è
impossibile difendersi da una tale presa di posizione, in quanto nella sua
chiesa comanda lui, e tutti hanno paura delle sue parole. Questa paura è
fomentata anche da una dottrina che lui ha insegnato, nella quale egli è
l’angelo della chiesa e può chiudere e aprire ciò che gli pare, e
chiunque non obbedisce alla sua autorità, è sotto condanna di Dio. Tu
cosa ne pensi?
Io non sono affatto innocente in questa vicenda, però rimango perplesso e
mi domando: come può un credente (nel caso specifico mia moglie, e tante altre
persone prima di lei) difendersi da una tale coercizione psicologica? Ancora
oggi, mia moglie è ferita e piange amaramente. Dio ti benedica sempre.
{11-01-2011}
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Risposta (Nicola Martella): Non sono
chiaramente in grado di verificare e analizzare tutto il complesso delle
questioni. Non entro in merito agli equilibri di tale comunità, di cui non
conosco tutti gli elementi. Posso solo partire dai
dati espressi dal lettore e focalizzare solo gli aspetti inerenti a questo tema.
Da quanto letto, vedo dapprima l’arbitrio del conduttore di «insabbiare»
la questione; dal NT vedo però che la chiesa locale è sovrana rispetto alle sue
guide. Non so perché lui abbia rimproverato la moglie del reo confesso in
privato e poi alla presenza dei suoi collaboratori e l’abbia chiamata «mina
vagante», visto che il «peccato pesante» lo ha commesso il marito. Da quanto ho
capito, solo dopo la decisione di Alessandro di lasciare il suo ruolo in quella
chiesa, il conduttore è passato a rimprovero e scomunica in pubblica assemblea.
Se le cose stanno veramente così, tutto ciò renderebbe tale conduttore
certamente corresponsabile.
La dottrina del cosiddetto «angelo della chiesa» è un insegnamento
ideologico di comodo in certi ambienti carismaticisti, per sostenere
l’autoritarismo di presunti «unti del Signore», incontestabili e irresistibili.
L’espressione greca ánghelos tēs ekklēsías
significa semplicemente «inviato della chiesa», suo rappresentante. Il termine
greco indicava l’inviato di qualcuno; ad esempio, Giovanni mandò da Gesù «due
dei suoi discepoli» (Lc 7,19), ma poi si parlò del fatto che «i messi
[angheloi] di Giovanni», dopo aver attuato la loro incombenza, se ne erano
andati (v. 24). Quindi è meglio non trarre particolari ideologie dottrinarie da
tale termine.
Se si guarda bene in Apocalisse 2-3, sono tali sette conduttori a essere
oggetto del biasimo di Cristo e della sua richiesta di ravvedimento. Per
fare qualche esempio, uno di loro addirittura riceve questa pesante diagnosi: «Io
conosco le tue opere: tu hai nome di vivere e sei morto» (Ap 3,1). Un altro
dovette leggere su se stesso: «Perché sei tiepido, e non sei né freddo né
fervente, io ti vomiterò dalla mia bocca» (Ap 3,16), ossia ti rimuoverò dal
tuo incarico. Anche a uno dei migliori fra loro fu chiesto di ravvedersi (Ap
2,5).
Tale espressione non designa, quindi, nessuna speciale autorità di uno al
di sopra di altri, né alcuna capacità particolare di chiudere o aprire a suo
arbitrio, né che le sue decisioni sarebbero così vincolanti, che chi non le
segue, è colpito dall’ira divina. L’ultima istanza nella chiesa locale, è
l’assemblea solenne. I conduttori passano, la chiesa resta. L’unico che in
Apocalisse ha le chiavi, è Cristo stesso ; e lui non le presta a nessuno (Ap
1,18).
Certo, si può citare qui Giovanni 16,19 riguardo alle «chiavi del
regno dei cieli», ma ciò non aveva nulla a che fare con l’arbitrio dei
conduttori, ma con l’entrata nel regno, quindi con l’evangelizzazione. Quanto
alla funzione dei conduttori, Pietro stesso parlò un linguaggio molto differente
dall’autoritarismo di certi conduttori: «Pasturate il gregge di Dio, che è
fra voi, non forzatamente, ma volontariamente, secondo Dio; e non avidamente, ma
premurosamente; e non come coloro che signoreggiano sulle parti, ma diventando
gli esempi del gregge» (1 Pt 5,2s).
►
Dinamiche patogene nel rapporto fra missionari e conduttori {Nicola Martella} (A)
►
Dinamiche patogene nel rapporto fra missionari e conduttori? Parliamone {N. Martella} (T)
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_TP/T1-Conduttori_pers_istituz_EnB.htm
06-10-2010; Aggiornamento: 06-02-2011 |