1. LE QUESTIONI (Nunzio Nicastro):
In un mio gruppo in Internet un credente aveva proposto come tema la questione
della preghiera della donna e del velo, e ad esso mi aveva coinvolto. Nunzio
Nicastro gli ha scritto quanto segue: Secondo 1 Corinzi 14,34-37 la donna deve
tacere e non parlare in assemblea. Ti lancio una sfida: trovami scritto
nella Bibbia, dove la donna prega o profetizza in assemblea. Non
prendermi versi, dove non si parla di assemblea. Solo una donna ha parlato in
assemblea, ed ella è falsa: «Ma ho questo contro di te: che tu tolleri
Iezabel, quella donna che si dice profetessa e insegna e
induce i miei servi a commettere fornicazione, e a mangiare carni sacrificate
agli idoli» (Ap 2,20). {Nunzio Nicastro; 21-09-2015}
2. LE RISPOSTE (Nicola Martella):
Tale presa di posizione di Nunzio Nicastro è diventata per me l’occasione per
rispondergli in dettaglio come segue.
2.1. COERENZA CERCASI: Faccio notare che neppure in Apocalisse 2,20
ricorre il termine «assemblea». Iezabel si accreditava come «proclamatrice» e,
oltre ciò «insegnava», e cioè dottrine spiritualmente (idolatria) e moralmente
(fornicazione) riprovevoli per la Scrittura. Fare un parallelo fra le donne
cristiane, che pregano in assemblea, e Iezebel mi pare abbastanza singolare e
azzardato. E questo tanto più che Apocalisse 2,20-23 suggerisce che tale falsa
proclamatrice e i suoi figli agivano fuori delle chiese; infatti, i «suoi figli»
(= seguaci) e le «tutte le assemblee» sono due
entità differenti e contrapposte (v. 23). Tale contrapposizione esiste anche fra
gli «altri di voi in Tiatiri» e «loro», a cui erano
associate le «profondità di Satana» (v. 24). Chi era quindi
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Iezabel? Era lo spiritualismo esoterico rivestito di un linguaggio
cristianizzato; esso era lo stadio preliminare dello gnosticismo. E ciò si
accorda con la Izebel storica, moglie di Achab, che era sacerdotessa di Baal e
che introdusse in Israele tale religione (1 Re 16,31ss), rivestendola con un
linguaggio tratto dalla religione dell’Eterno.
2.2. 1
CORINZI 14: Si noti che anche degli
uomini è detto, nello stesso capitolo, che devono tacersi in
assemblea! Riguardo alla glossolalia Paolo diede la seguente disposizione: «E
se non v’è chi interpreti [le lingue], si tacciano nell’assemblea» (1
Cor 14,28). Riguardo alla «proclamazione» Paolo diede la seguente direttiva: «E
se una rivelazione è data a uno di quelli, che stanno seduti, il precedente
si taccia» (v. 30). Come si vede, non era un comando a tacersi in
assoluto, ma solo relativo a una certa cosa. Chiaramente ambedue queste
categorie potevano, ad esempio, pregare in modo normale e intellegibile
nell’assemblea.
I versi precedenti al «si tacciano le donne» (1 Cor 14,34) parlano
del «proclamare» in assemblea e del «giudicare» le proclamazioni
da parte degli altri (vv. 29-33), trattandosi di una chiesa partecipata. E
proprio al riguardo, ossia sul giudicare le «proclamazioni», che Paolo
diede il divieto alle donne di parlare (v. 34). Perché lo fece? Perché
ciò avrebbe corrisposto a «insegnare» e, quindi,
a «usare autorità sull’uomo» (anḗr
«uomo»; 1 Tm 2,12). Riguardo alle cose «proclamate» in assemblea dai
«proclamatori» le donne avevano una sola possibilità per esprimersi:
parlare con i loro mariti a casa propria e non in assemblea (1 Cor 14,35). I due
temi connessi in questo capitolo erano «proclamare» e «parlare in lingue» (v.
39) — non la questione femminile, che è solo un dettaglio — e come praticare ciò
con «decoro e ordine»
(v. 40). In tale «decoro e ordine» rientrava
la norma, secondo cui le donne non potevano commentare pubblicamente le
«proclamazioni» altrui.
2.3. ASPETTI CONCLUSIVI: Quando non si fa corretta esegesi, si
stravolgono solo i brani, rendendo ciò che relativo assoluto, e viceversa; così
si mettono catene ideologiche
addosso alle persone, specialmente se donne; e le convenzioni create in merito
rendono impossibile togliere tali ceppi dottrinali e analizzare i brani biblici
senza paraocchi dottrinali. Così si creano anche contraddizioni
nella Scrittura stessa, che altrove afferma che la donna può pregare e
«proclamare» (1 Cor 11,4); si proclama solo pubblicamente, come il
termine greco profēteúō
intende: «parlare davanti [agli altri]».
Faccio notare, ancora una volta, che «proclamare» intende parlare in modo
estemporaneo e spontaneo, perché si è toccato dallo Spirito di Dio, a mo’ di
testimonianza personale, ai fini di «edificazione, esortazione e
consolazione» (1 Cor 14,3); non è un parlare assoluto, visto che può essere giudicato dagli altri membri
dell’assemblea (vv. 29.32). «Insegnare» (gr. didáskō anche «spiegare, esporre, istruire»), invece, è un parlare
autorevole (Tt 2,15; cfr. Mt 7,28; At 2,42), basato sull’esegesi biblica (2 Tm
2,15) e conforme all’insegnamento apostolico ricevuto (2 Tm 2,2). Paolo affermò
al riguardo che chi non insegna in modo conforme all’insegnamento scritturale, è
mosso da un altro spirito e predica un altro cristo e un altro evangelo, ed è
perciò un seduttore (cfr. Gal 1,6-9; 2 Cor 11,3ss.13ss). Questa differenza
fra «proclamare» e «insegnare» è essenziale, sia in merito al «si tacciano le
donne» (1 Cor 14,34) riferita al giudizio delle altrui «proclamazioni», sia
riguardo alla libertà che le donne possano pregare e «proclamare» in assemblea
(1 Cor 11,4), il tutto fatto con decoro e ordine (1 Cor 14,40). [►
Profetare significa insegnare? Il ruolo della donna nel culto]
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Tace_assemb_UnV.htm
22-09-2015; Aggiornamento: |