1. LE QUESTIONI: Di storie
come quella, che narro qui di seguito, me ne giungono diverse per iscritto, a
voce e per telefono. Esse, pur essendo differenti l’una dall’altra, mostrano una
tipologia ricorrente, dettata dalla problematica, che le accomuna. Qui di
seguito riporto una situazione stereotipata, una delle tante, che potrebbe
essere successa ovunque. Sintetizzo qui le questioni, che come sempre mi vengono
descritte con molti particolari. A noi qui interessa il fenomeno, spesso
ricorrente nelle chiese, e non tanto le persone particolari e la situazione
specifica.
Immaginiamoci un credete, che chiamiamo qui Carlo Sabatino; egli potrebbe
abitare ovunque e la sua chiesa attuale potrebbe essere una delle tante. Chi si
trova in tale particolare contingenza, mi presenta spesso la sua situazione
ecclesiale, ministeriale, esistenziale e familiare, e specialmente la difficile
relazione con i conduttori della sua chiesa.
Immaginiamoci una chiesa locale sorta, decenni or sono, per scissione da
un’altra, e immaginiamoci tutte le conseguenze del caso: sofferenze, lotte,
ostracismo reciproco, fuori comunione, e così via. In casi del genere, un
gruppo, per così dire, «rivoluzionario», dopo molti contrasti con la
conduzione in carica — generalmente ritenuta, secondo i casi, massimalista,
legalista, incapace, autoritaria, eccetera — decide di uscire da tale
«dittatura», per gettare nuove basi all’essere chiesa, ossia secondo il loro
intendimento. In casi del genere, c’è un grande fermento nella nuova formazione,
e ciò le permette di espandersi e di perseguire importanti obiettivi.
Immaginiamoci che, decenni dopo tale scissione, le vicende personali di Carlo lo
avessero portato in un’altra zona d’Italia. Qui entrò a far parte di una
comunità, dove poté sviluppare un suo ministero polivalente (musica,
predicazione, guida del gruppo giovani, attività pratiche, ecc.), che era ben
visto e apprezzato. Ciò continuò ancor più, dopo essersi sposato. Nelle ferie
tornavano al loro paese d’origine e frequentavano la loro attuale chiesa.
Immaginiamoci pure che Carlo e la sua famiglia, dopo svariati anni, decisero di
trasferirsi nel paese d’origine e di frequentare la loro attuale chiesa.
Carlo pensava di poter svolgere lì le stesse o simili attività dell’altra
chiesa, da cui proveniva. Si presentò ai conduttori della comunità e portò con
sé una lettera di presentazione della chiesa, da cui proveniva al momento; in
tale scritto i conduttori confermavano i compiti e i servizi svolti fin lì da
lui. I conduttori della nuova chiesa gli fecero capire che per lui praticamente
non c’era spazio per tali mansioni, essendo esse già occupate da altri. Ebbe
altresì l’impressione soggettiva di non essere poi molto gradito.
Col tempo gli furono affidati solo alcuni compiti marginali. Con il
consenso dei conduttori, Carlo si dedicò al ministero di predicazione in
altre chiese, che avevano bisogno. Tuttavia, sebbene egli riuscisse bene,
anche in ciò i conduttori mostrarono un continuo mutamento di umori e di
atteggiamenti, ora condiscendenti, ora restrittivi. Anche in loco si alternavano
periodi di completa marginalità a tempi con piccoli spazi, in cui gli si
concedeva qualche meditazione infrasettimanale o domenicale, più o meno e nulla
di più. A tempi, in cui veniva permesso a Carlo di impegnarsi esternamente in
opere interecclesiali, guidate da stimati credenti, seguivano situazioni, in cui
essi ne inibivano il suo coinvolgimento; così facendo, lo avvertivano che egli
avrebbe commesso un peccato, se non fosse stato sottomesso a loro in tale
questione.
Negli anni, a più riprese, Carlo scrisse lettere ai conduttori, chiedendo
loro di veder riconfermati i suoi doni e di poter esercitare i corrispondenti
ministeri. Ogni volta, le risposte furono lapidarie e negative, e sempre
senza spiegazioni.
Credenti come Carlo, dopo molti anni, in cui si sono sentiti in balia degli
umori e dell’arbitrio dei conduttori della loro comunità, credono di essere
arrivati a un momento di svolta. Essi sono consci di aver ricevuto dei
doni dal Signore, che li hanno portati a esercitare un ministero, sia dentro
che fuori delle chiese, in cui sono stati membri. Essi si rendono conto che Dio
non abbia ritirato loro tali doni. Sebbene le ristrettezze nelle loro attuali
comunità, tali credenti si vedono confermati anche dal fatto che, quando
portano la Parola in altre comunità, i credenti d’esse danno loro atto di essere
stati edificati e li incoraggiano a tornare e a proseguire. In genere, credenti
come Carlo sono consapevoli che, non potendo esercitare liberamente i loro doni
nelle loro chiese locali, non si sentono in pace con se stessi e con Dio, verso
cui hanno la consapevolezza di disubbidire.
Arrivato a tale bivio, credenti come Carlo si chiedono concretamente che cosa
debbano fare. Essi si pongono la questione della sottomissione ai
conduttori e dei limiti d’essa, specialmente quando tali guide mostrano gravi
lacune
di conduzione e di parzialità come nel loro caso. In genere, essi arrivano a un
punto, in cui si chiedono se la soluzione non potrebbe essere quella di
cambiare chiesa. Certo, però, sono anche consapevoli che ciò porterebbe
disagi di vario genere a loro e alle loro famiglie; perciò, si trovano in un
continuo e snervante altalenare fra i pro e i contro, fra andarsene e restare.
Vista l’impossibilità di poter esercitare dei ministeri conformi ai loro doni,
tali credenti si chiedono pure quanto segue: Dio chi riterrà responsabile,
ossia i credenti stessi o i loro conduttori, che impediscono tale esercizio. In
genere, credenti come Carlo desiderano fare la volontà di Dio, anche se
ciò significasse di non esercitare più i loro doni; tuttavia, non vogliono
neppure rendersi colpevoli verso Dio. Per questo, quando mi scrivono, chiedono
un consiglio chiaro, sincero e soprattutto scritturale, che porti chiarezza
nella loro vita.
2. ALCUNE RISPOSTE
2.1. ASPETTI
GENERALI SULLA CONDUZIONE: Questa riflessione è di carattere generale e
non ha direttamente a che fare con la situazione sopra descritta. Perciò, qui di
seguito mi limiterò a parlare del fenomeno generale, tipizzandolo quale
categoria ricorrente, e non della situazione concreta.
■ In situazioni del genere bisogna sempre ascoltare
ambedue le campane, ma ciò non è possibile in casi del genere. E se ciò
fosse possibile, getterebbe solo benzina sul fuoco, alimentando probabilmente
specialmente i sentimenti della carne. Quando, nel tempo, arrivano richieste di
consigli con problematiche simili inerenti alla stessa comunità e alla sua
conduzione, posso immaginarmi che la stragrande maggioranza delle cose affermate
abbia un nocciolo obiettivo di verità.
■ Esercitare la funzione ministeriale di conduttori non è cosa facile.
Espone a tanti pericoli, a critiche, a tentazioni e anche a errori. Le
raccomandazioni di Paolo ai conduttori (cfr. At 20,28ss) e ai suoi collaboratori
(1-2 Tm; Tt) e quelle di Pietro (1 Pt 5,1ss) mostrano la
complessità di tale ministero e i pericoli, a cui essi sono
esposti, qualora manchino di integrità, irreprensibilità, discernimento,
saggezza e umiltà. Le lettere del Signore Gesù a sette conduttori (Ap 2s)
mostrano come i conduttori possono essere, per motivi diversi, la deleteria
causa perché le chiese, a cui essi sovrintendono, si estinguano (il
candelabro viene tolto). Purtroppo non tutti coloro, che oggigiorno rivestono la
funzione di conduttore, corrispondono ai chiari prerequisiti richiesti
dalla Scrittura (1 Tm 3; Tt 1). Altri, semmai hanno posseduto tali qualità in
passato, le hanno perse nel tempo, trasformandosi in «conduttori di paglia»
(cfr. Ap 2s «se non ti ravvedi»). Allora, non avendo l’autorità
spirituale, che proviene dalla Parola tagliata rettamente e da una
irreprensibilità spirituale e morale, diventano un calamità per la loro
comunità, ad esempio così facendo: assurgono la loro soggettività (spesso
carnale) a principio oggettivo, le loro opinioni vengono spacciate per precetti
scritturali, la loro pretesa autorità è solo autoritarismo, la richiesta di
sottomissione diventa asservimento al loro arbitrio, e così via.
■ Dopo tale premessa, vedo che in casi del genere il
problema principale non sta spesso in un deficit dei conduttori riguardo
ai loro carismi, al loro zelo, al loro impegno, ai loro sacrifici e quant’altro,
ma già nella concezione della stessa funzione della conduzione. Essi
intendono la loro supervisione (da cui la loro richiesta di sottomissione) come
l’esercizio di un potere sovrano da imporre alle anime e non come una
funzione di servizio. Per cui, tale autorità mal interpretata sfocia spesso
nella pratica nell’autoritarismo, ossia in una guida monarchica (dominio
di uno) o oligarchica (dominio di pochi), assoluta e incontestabile.
■ I conduttori di chiesa dovrebbero essere
allenatori o istruttori, che addestrano ed equipaggiano gli altri credenti,
perché siano efficaci collaboratori; perciò, essi non dovrebbero trasformarsi in
addomesticatori o domatori, che si impongono con frusta e verga e che
tengono tutti sotto il dominio, per assicurarsi il predominio di casta
intoccabile. Essi dovrebbero favorire una crescita spirituale, morale e
ministeriale, non impedirla.
■ Ci sono certe chiese locali, che hanno un «collegio di conduttori», che
da alcuni decenni rimane sempre uguale nel numero e nelle persone e che è
impenetrabile da parte di altri aspiranti alla conduzione. Tale situazione
palesa un vero problema di gestione da parte di tale piccola
«nomenclatura» diventata oligarchia, che nutre un falso concetto di autorità.
Quando un giorno essi non saranno più capaci di condurre la chiesa, per vari
motivi (salute, problemi familiari, morte di qualche conduttore, ecc.), altri
non saranno capaci di prendere tale ruolo da un giorno all’altro; allora ci
saranno lotte di carne e potere fra fazioni contrapposte, e probabili
divisioni ecclesiali multiple, cosa che avvelenerà la fratellanza e
rovinerà la testimonianza.
■ La sottomissione ai conduttori non è asservimento all’arbitrio altrui,
ma rispettoso riconoscimento da parte del credente di un ruolo pastorale di
coloro, che si curano della sua anima per il suo bene e lo equipaggiano del
necessario, per servire meglio il Signore con i carismi, che egli possiede.
Conduttori, che impediscono la chiamata a un servizio, se essa è evidente
ed è confermata da altri, si rendono colpevoli; se non sono in grado di fornire
motivazioni probanti, mostrano pure delle lacune ministeriali e palesano
gravi pregiudizi, che non sono consoni per coloro, che dovrebbe essere
irreprensibili (1 Tm 3,2; Tt 1,6s) e imparziali (1 Tm 5,21; cfr. Gcm 3,17).
2.2. IL CASO
SPECIFICO E LA CONDUZIONE
■ Quella, descritta dal lettore, è la tipica situazione di un gruppo dirigente
affiatato, reduce da una «rivoluzione» del passato e che, in genere,
resta in carica fino alla fine dei giorni dei componenti, senza pensare a un
ricambio o a un’integrazione. I «rivoluzionari» possono essere i fondatori di
una chiesa locale ex novo, oppure coloro che si sono distaccati da una
realtà precedentemente esistente, per iniziare una nuova esperienza differente.
In genere, essi rimangono nel tempo un gruppo affiatato e con una grande
coesione. Anche dopo decenni, agiscono in base agli «atti gloriosi» del
passato e ai meriti guadagnati sul campo in tempi difficili, in cui si sono
distinti per coraggio e intraprendenza. Tale «passato glorioso» diventa così
importante (e ingombrante) nel tempo, da far ritenere tali «eroi della prima
ora» (ed essere ritenuti) degli «intoccabili» (cfr. Che Guevara, Fidel
Castro, Mao Tse-tung e altri). Si crea un «clima mitico», che fa sì che chi
tocca o contraddice tali «rivoluzionari» della fede, assurti oramai a una specie
di «unti del Signore», peccherebbe direttamente contro Dio stesso. Tutto
ciò, inoltre, diventa spesso un filtro importante (se non l’unico) per
giudicare le persone o i fatti presenti, annebbiando spesso il senso realistico
ed oggettivo nell’analisi dell’attualità.
■ Dove in una comunità ci sono già troppi galli, che cantano, è difficile
trovare spazio da parte di altri. I ruoli acquisiti
vengono allora spesso difesi di là, se si è ancora efficaci o meno, o se altri
possono svolgere meglio tale ministero. Spesso tali meccanismi non sono neppure
coscienti, ma si prosegue semplicemente su un binario, che si è accreditato nel
tempo e che si perpetua con la convenzione e la consuetudine. Oltre a ciò,
succede spesso che i figli e i parenti prossimi dei conduttori
siano titolari di ministeri chiave nella comunità. I conduttori, conoscendoli al
meglio, credono di trovare in loro importanti alleati nel ministero e meno
problemi di gestione. Anche loro non sempre si rendono conto di tali meccanismi
e del loro pericolo.
■ Dove una chiesa trova l’obiettivo in se stessa
e non nella moltiplicazione delle testimonianze e della missione, ognuno
difenderà la posizione acquisita. Una comunità attiva nella moltiplicazione e
nella missione trova spazio per tutti. È singolare che una comunità, nata da
un’altra chiesa per gemmazione o per rottura (a causa di mancanza di
spazio per altri), trova spesso nell’espansione di se stessa l’obiettivo
primario, senza una «fase due» di moltiplicazione. Quindi, una comunità nata per
contrasti e divisione, perpetua spesso lo stesso errore della comunità, da cui è
nata; infatti, prima o poi, si arriva alla prossima saturazione con eventuale
spaccatura o «rivoluzione».
■ I conduttori dovrebbero favorire i membri
della loro chiesa, qualora vogliono essere attivi col ministero in chiese
circonvicine, che hanno bisogni e carenze, e in opere interecclesiali o
paraecclesiali sane. E questo tanto più se localmente c’è un’abbondanza di
credenti, che può svolgere gli stessi ministeri, e non c’è posto per tutti. Se i
conduttori impediscono, senza giusta causa, l’impegno dei credenti, che hanno
una chiamata e dei carismi corrispondenti a un certo servizio, essi
impediscono l’opera di Dio e, perciò, si rendono colpevoli.
■ È insensato, a dir poco, creare dighe in un luogo, per impedire
all’acqua di scorrere, quando altrove ci sono deserti, che languono. Perché
macerarsi in un luogo ostile o limitante, quando altrove c’è da fare una grande
opera? Certe chiese, come già accennato, invece di essere delle
palestre di allenamento spirituale e morale, si trasformano in gabbie
anguste, in cui i conduttori, quasi fossero addomesticatori, mostrano il loro
opprimente potere con frusta e bastone. Dei domatori si ha timore, ma nessun
vero rispetto. Conviene seguire il consiglio di Dio, che recita: «Dissodatevi
un campo nuovo, e non seminate fra le spine!» (Gr 4,3). Tuttavia, è
meglio farsi i conti prima (cfr. Lc 14,28-32), ponderando se la nuova situazione
sarà migliore della prima, e scegliendo con discernimento e saggezza.
■ Quando c’è uno «scollamento» cronico fra un gruppo dirigente e un
credente, e quest’ultimo è la vittima dell’arbitrio altrui e della mancanza di
realismo e lungimiranza, allora se il credente, che si crede trattato
ingiustamente decide di andare altrove, è importante che scelga il
momento migliore per farlo, che se ne vada in pace (lasciando un buon profumo di
sé alla gloria di Cristo) e che non si accolli colpe dinanzi a Dio, che
impedirebbero al Signore di benedirlo nel luogo dove andrà (e ciò darebbe
ragione ai suoi detrattori!).
2.3. ASPETTI
CONCLUSIVI: Certo, bisognerebbe parlare del tema che cosa sia la
sottomissione ai conduttori, ma ciò andrebbe molto di là dallo spazio
adeguato di questo scritto. Bisognerebbe parlare pure dell’atteggiamento dei
conduttori verso doni dei membri; ma poiché anche questo tema ci porterebbe
troppo lontano, suggerisco di studiare ciò Paolo disse riguardo al suo
collaboratore Timoteo. Mi riservo di scrivere e pubblicare su tali temi a parte.
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_TP/A1-Conduttori_imped_UnV.htm
11-11-2013; Aggiornamento: 13-11-2013 |