Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Manuale Teologico dell’AT

 

Evoluzione

 

 

 

 

Dopo una introduzione alle problematiche della teologia dell’AT, segue il dizionario teologico dell’AT.

   Ecco le parti principali dell’introduzione alla teologia dell’AT:
■ Il compito e l’oggetto della Teologia dell’AT
■ Le posizioni teologiche più ricorrenti
■ I patti e gli altri approcci
■ Contro l’appiattimento storico e teologico dell’AT.

 

Al dizionario teologico dell’AT sono acclusi un registro delle voci e un registro ragionato delle stesse detto «percorsi teologici».

 

► Vedi al riguardo le recensioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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INTELLIGENT DESIGN:

TRA TEORIA RAZIONALE E IDEOLOGIA FONDAMENTALISTA

 

 di Nicola Berretta

 

1. Introduzione

2. Cos’è l’Intelligent Design?

3. Le reazioni della scienza ufficiale all’ID

4. L’ID è in tutto e per tutto definibile una teoria scientifica?

5. Teoria dell’ID e teologia biblica

6. Conclusione

 

Clicca sulle frecce iniziali per andare avanti e indietro.

 

 

1.  INTRODUZIONE: Le scoperte scientifiche non sono sempre delle scoperte. Intendo dire che non sempre sono un qualcosa in cui ci si imbatte sbattendoci il naso, inaspettatamente. Spesso vengono anticipate sulla base di teorie, ed è poi un’indagine mirata che riesce a portarle alla luce. Forse può essere utile l’idea di un fiume e delle sue sorgenti: camminando sopra un monte ci si può imbattere inavvertitamente in una sorgente naturale, questa può essere seguita lungo il pendio del monte e oltre la vallata, finché non ci accorgiamo che lentamente diviene un vero e proprio fiume. D’altro canto è più facile avere la situazione opposta, imbattersi cioè in un grande fiume e teorizzare dunque il luogo da cui potrebbe aver avuto origine. Quindi lo si ripercorre a ritroso finché non si trova la sua sorgente.

     La scoperta dei pianeti del nostro sistema solare segue uno schema simile. I pianeti più vicini alla terra furono scoperti grazie alla semplice osservazione diretta del cielo, a occhio nudo o tramite telescopi. Ma quelli più lontani, come Nettuno e Plutone non vennero scoperti così, la loro esistenza fu anticipata da calcoli teorici, sulla base delle irregolarità rilevate nelle orbite dei pianeti fino ad allora noti, che lasciavano presupporre l’esistenza di un pianeta ignoto, un «pianeta X», che esercitava un’attrazione gravitazionale su di essi. Fu così che due astronomi, John Couch Adams e Urbain Jean Joseph Le Verrier, misurando le irregolarità nell’orbita di Urano, postularono attraverso dei calcoli la posizione esatta dove il «pianeta X» avrebbe dovuto trovarsi per far tornare i loro calcoli, e infatti nel 1846 un altro astronomo, Johann Galle, puntando il telescopio verso quella posizione precisa, individuò il pianeta, denominato poi Nettuno. Ulteriori calcoli sul moto di Urano portarono poi a ritenere che ci dovesse essere ancora un altro «pianeta X» e vennero fatti nuovi calcoli, basandosi a quel punto sul moto sia di Urano che di Nettuno, finché Clyde Tombaugh nel 1930 riuscì ad identificare l’esistenza di Plutone. Il bello in tutto questo racconto è che la storia non è finita lì. I calcoli teorici sulle perturbazioni nell’orbita di Urano in realtà non tornavano perfettamente nemmeno mettendo nell’equazione sia Nettuno che Plutone, per cui per molti anni si è ritenuto che esistesse ancora un altro «pianeta X» che permetteva di far quadrare i conti. È stata solo la recente missione spaziale del Voyager 2 che ha risolto la questione. I calcoli non tornavano non a causa della presenza di un ulteriore pianeta sconosciuto, ma a causa di errori nel valore esatto della massa di Nettuno. Quando i calcoli furono ripetuti sulla base dei dati esatti forniti dalla sonda, tutto tornò perfettamente, per cui ad oggi Plutone sembra essere effettivamente l’ultimo dei pianeti del nostro sistema solare.

 

 

2.  COS’È L’INTELLIGENT DESIGN?: Ho fatto questo excursus storico sui percorsi razionali seguiti da chi fa un’indagine scientifica per introdurre un tema che non è molto dibattuto in Italia, ma che negli Stati Uniti, così come in tutta la comunità scientifica internazionale, sta suscitando notevoli controversie. Mi riferisco all’Intelligent Design. Questo movimento, sorto negli Stati Uniti d’America a partire dagli anni ’90, si pone in aperta critica verso la teoria darwinista sull’origine delle specie per selezione naturale, tuttavia, al contrario del classico movimento creazionista, si propone (o intende proporsi) come una critica scientifica dei presupposti teorici che stanno alla base delle moderne teorie dell’evoluzione, in maniera dunque volutamente scevra da espliciti riferimenti a presupposti biblici o religiosi. Intelligent Design viene spesso tradotto dai mass media italiani come «Disegno Intelligente», ma questa traduzione letterale non rende bene l’idea della natura e delle caratteristiche di questo movimento. La traduzione più opportuna dovrebbe essere, a mio giudizio, «Progettualità Razionale». Malgrado questa diversa traduzione, continuerò a riferirmi a questo movimento, o a questa teoria, usando l’acronimo ID, preso dall’originale inglese.

     I paladini dell’ID affermano che il mondo naturale, così come ci appare dalle analisi sempre più sofisticate che la moderna tecnologia scientifica consente, presenta un grado di complessità intrinseca tale per cui, il volerlo ritenere il solo risultato di variazioni casuali passate al vaglio della selezione naturale (come sostiene la teoria di Darwin), risulta essere un’eccessiva semplificazione. Al contrario, secondo i fautori dell’ID, il mondo si presenta davanti ai nostri occhi come se fosse il risultato di una progettualità razionale. Per certi versi i fautori dell’ID ripropongono temi cari ai sostenitori del Principio Antropico, secondo cui l’universo possederebbe al suo interno, in qualche stadio della sua storia, quelle proprietà che hanno permesso alla vita di svilupparsi, in quanto esso si presenta ai nostri occhi come perfettamente bilanciato nei suoi parametri fondamentali, in modo tale da permettere a noi di poterlo guardare e di poter riflettere su di esso. L’universo non sarebbe dunque il risultato di variazioni casuali, ma di un progetto precostituito, che anticipatamente vedeva noi mentre oggi ci ponevamo delle domande su di esso.

     Michael Behe[1], biochimico di fama mondiale, e anche uno dei maggiori esponenti del movimento ID, per spiegare l’inadeguatezza della teoria dell’evoluzione per selezione naturale, parla di «complessità irriducibile», riferendosi a quel tipo di complessità che non può essere ridotta alla somma di tante complessità separate. Usa l’esempio efficace della trappola per topi, costituita da vari componenti: la tavoletta di legno, la molla, il ferro ripiegato, e un gancetto collegato opportunamente a una base d’appoggio per l’esca. Questa trappola è uno strumento complesso, ma la sua complessità non è data dalla semplice somma dei singoli componenti, essa infatti funziona solo se tutti i componenti sono contemporaneamente connessi tra loro in modo opportuno. È sufficiente che uno di essi non sia al posto giusto, che l’intera trappola divenga assolutamente inutile. Proprio per questo motivo, Behe ritiene che una struttura irriducibilmente complessa, come una trappola per topi, non possa nascere da una serie di piccole variazioni successive, ma è necessario postulare l’esistenza di un ideatore, che abbia razionalmente progettato il prodotto finale e abbia dunque fatto sì che le singole parti venissero assemblate opportunamente. Behe prosegue affermando che la biologia molecolare, sviluppatasi enormemente negli ultimi due decenni, ha messo sempre di più in evidenza come le nostre cellule siano piene di elementi «irriducibilmente complessi», il cui funzionamento richiede una precisa interconnessione funzionale tra proteine specifiche, proprio come la trappola per topi sopra descritta. L’osservazione di questi fenomeni suggerirebbe dunque l’esistenza di un «progetto razionale» sottostante la complessità degli organismi viventi.

     In fondo questo movimento ripropone in chiave moderna l’esempio di William Paley, teologo inglese vissuto nella seconda metà del ’700, relativo a una persona che, cammin facendo, si imbattesse in un orologio buttato per terra. È ovvio che, anche se quella persona non avesse mai visto prima un marchingegno del genere, la semplice osservazione della sua complessità intrinseca lo porterebbe a dedurre l’esistenza di un orologiaio, pur non avendo mai in precedenza conosciuto nessuno che esercitasse quella professione. Analogamente, secondo Paley, la complessità dell’universo sarebbe di per sé indicativa dell’esistenza di un creatore.

     È importante però sottolineare che i paladini dell’ID non affermano esplicitamente che questo fattore in grado di conferire una progettualità razionale sia Dio. Molti di loro confessano apertamente una fede personale nel Dio biblico e affermano che quell’idea di progettualità razionale è del tutto compatibile con la rivelazione biblica, ma si guardano bene dall’affermare che l’ID implichi necessariamente, o dimostri scientificamente, l’esistenza del Dio biblico.

     Quello dunque che l’ID afferma è semplicemente che, usando i soli i termini previsti da una ipotetica equazione darwiniana, non riusciamo ad ottenere un risultato compatibile con la complessità che vediamo nella natura. Tuttavia, se aggiungiamo a questa equazione un «fattore X», che denominiamo «progettualità razionale», i conti allora tornano. Un po’ come nell’esempio fatto in precedenza sulla scoperta di Nettuno e Plutone: cercando di prevedere il moto di Urano sulla base di un’equazione composta dai dati fino ad allora noti (prima della scoperta di questi due pianeti), il moto calcolato non corrispondeva a quello effettivamente rilevato. Se però si postulava l’esistenza di un «fattore X», costituito da un pianeta ancora sconosciuto, i conti sarebbero tornati. E così avvenne. Il discorso fatto dall’ID è in larga misura analogo. Questo «fattore X» potrebbe anche non essere Dio, potrebbe infatti anche trattarsi di una «costante K» ancora sconosciuta o una «forza F» dalle proprietà ancora inesplorate. Il punto è che l’equazione, così com’è oggi, risulta incompleta. Occorre notare, tornando all’esempio portato sulla scoperta dei pianeti, che l’ipotesi di un pianeta ignoto, proposta per l’incongruenza nell’equazione, non comporta necessariamente che il «pianeta X» esista davvero. Come abbiamo visto infatti, dopo la scoperta di Plutone si continuava ancora a non trovare corrispondenze tra l’equazione e la realtà misurata. Tutto si risolse quando gli astronomi scoprirono che le differenze si colmavano, modificando opportunamente la massa stimata di Nettuno, così come rilevata con maggiore precisione dalla sonda Voyager 2, senza l’aggiunta di un nuovo pianeta. Dire dunque che l’ipotetica equazione darwiniana non è compatibile con la complessità del risultato finale non significa dire che la «progettualità razionale» (concepita come elemento mancante all’interno dell’equazione) debba necessariamente esistere. In teoria infatti si potrebbe un domani rivedere quantitativamente il peso della selezione naturale in questa equazione, col risultato di ottenere questa volta un risultato finale compatibile.

 

 

3.  LE REAZIONI DELLA SCIENZA UFFICIALE ALL’ID: Inizialmente la comunità scientifica ufficiale non ha dato troppo peso alla teoria dell’ID, ma essendo sostenuta concettualmente e (soprattutto) finanziariamente dalle forti lobby evangeliche americane, si è esposta in questi anni alle luci della ribalta mediatica, allorquando è stato proposto che le posizioni da essa espresse divenissero parte del curriculum scolastico in alcuni Stati americani, affianco al normale insegnamento dell’evoluzione. Lo scontro ideologico che ha sollevato questo dibattito ha completamente distolto la comunità scientifica dalla necessità di affrontare l’argomento su basi razionali e obiettive. Sono stati di recente scritti articoli sull’argomento in importanti riviste internazionali, come sulla prestigiosa rivista scientifica «Nature»[2], ciò che però salta agli occhi è il fatto che queste recensioni non affrontano direttamente la problematica scientifica sollevata dall’ID, ma la criticano per il semplice fatto che essa nasconda il tentativo di reintrodurre, con metodi più sottili e subdoli, il creazionismo biblico. I fautori di questa teoria vengono di fatto ridicolizzati perché, anche se non lo dicono apertamente, sarebbero gli stessi creduloni che prima raccontano quelle favole per bambini sui sei giorni della creazione e la mela (che mela non era) di Adamo ed Eva. Oppure, quand’anche si ammette che queste persone non sono gli stessi creazionisti di un tempo (come in un recente articolo uscito sul periodico «Le Scienze»[3]), la cosa viene detta per mettere ancora di più in allarme sulla loro pericolosità. La loro minaccia è ancora più temibile, perché questi fautori dell’ID si travestirebbero da scienziati razionali, per nascondere in realtà gli stessi propositi retrogradi dei loro ridicoli predecessori. Questa situazione è, a dir poco, indisponente perché non si trova nessuno che si prenda la briga di rispondere punto per punto, con argomentazioni scientificamente circostanziate, alle critiche mosse da questi esponenti dell’ID.

     Non nego l’importanza di conoscere i presupposti ideologici di una persona che esprima teorie nuove, soprattutto se controverse, perché la consapevolezza di queste basi filosofiche può aiutare l’interlocutore a capire meglio l’argomentazione e, soprattutto, a prevedere dove questa persona vuole andare a parare. Mettiamo che io ascolti qualcuno che propone nuove teorie scientifiche legate all’ingegneria genetica. Se so che questa persona è un nostalgico nazista, che appoggia l’ideologia razzista sulla creazione di una razza ariana, faccio bene a drizzare bene le orecchie, per ascoltare le sue argomentazioni sull’utilizzo dell’ingegneria genetica. Allo stesso tempo, commetterei un madornale errore se rifiutassi le sue teorie solo sulla base del timore che lui le voglia utilizzare come un «cavallo di Troia» per favorire l’utilizzo di tecniche di eugenetica. Io sono chiamato a rispondere a quelle precise argomentazioni scientifiche, per confutarle per quelle che sono. Oppure anche per accettarle, mettendo però dei chiari paletti, onde evitare quelle che potrebbero essere le eventuali estrapolazioni eticamente inaccettabili.

     Insomma, le reazioni della comunità scientifica ufficiale sembrano suggerire che non sia l’ID a essere un’ideologia fondamentalista, ma al contrario sia essa stessa oggetto di critiche ideologiche fondamentaliste.

 

 

4.  L’ID È IN TUTTO E PER TUTTO DEFINIBILE UNA TEORIA SCIENTIFICA?: Al di là dunque delle critiche di carattere ideologico, occorre a mio avviso riconoscere la piena legittimità scientifica della critica portata dall’ID all’evoluzionismo darwinista. L’ID è infatti una voce discordante che si oppone al coro auto-referenziale di coloro i quali ritengono che la complessità della natura sia completamente spiegabile da un gioco di variazioni casuali vagliate dalla selezione naturale. L’ID è dunque, prima di ogni altra cosa, un’obiezione razionale a questa semplificazione meccanicistica, una denuncia del fatto che l’equazione darwinista non può di per sé spiegare il prodotto finale che osserviamo nel mondo naturale.

     Detto questo, occorre però anche chiedersi se l’ID, oltre a essere una lecita «denuncia», possieda anche le caratteristiche che le consentono di porsi come teoria alternativa all’evoluzionismo.

     A questo riguardo, cito per esteso un brano tratto dell’articolo di Allen Orr, apparso sulla rivista «Le Scienze»: «…Sebbene spesso si immagini la scienza come un insieme di brillanti teorie, gli scienziati in genere sono solidi pragmatisti: per loro, una buona teoria è quella che ispira nuovi esperimenti e fornisce intuizioni inattese su fenomeni noti. In base a questo standard, il darwinismo è una delle migliori teorie nella storia della scienza: ha prodotto innumerevoli esperimenti e fornito intuizioni inaspettate su questioni enigmatiche. In quasi dieci anni dalla pubblicazione del libro di Behe, invece, l’ID non ha ispirato nessun esperimento interessante, o fornito spunti sorprendenti per la biologia. Con il passare degli anni, l’ID sembra sempre meno la scienza che aspirava a diventare e sempre più un prolungato esercizio di polemica».[4]

     Personalmente mi sento in larga misura di condividere questa affermazione. Come ho già scritto più approfonditamente in precedenza[5], l’idea che le persone comunemente hanno delle teorie scientifiche è molto più vaga e sospesa per aria rispetto a quella che hanno gli scienziati (per «scienziati» intendo quelli che stanno in laboratorio, non quelli che chiacchierano in televisione). Le teorie scientifiche non sono un valore in sé, ma sono tali quando costituiscono una piattaforma razionale su cui poter fare previsioni, verificabili tramite appropriati esperimenti. L’approccio dello scienziato nei confronti di una teoria scientifica è dunque molto più «laico» di come lo si ritiene. Allo scienziato la teoria non gli serve a navigare sopra ai massimi sistemi, ma per pianificare degli esperimenti verificabili oggettivamente. Da questo punto di vista, Allen Orr ha ragione a evidenziare l’indubbio contributo che le teorie di Darwin hanno fornito per le ricerche in campo biologico. Purtroppo però, al pari di tanti altri biologi evoluzionisti, l’autore dimentica di dire che quegli esperimenti, ispirati dalle teorie di Darwin e verificati col metodo scientifico, riguardano solo aspetti micro-evolutivi, e il ritenerli una conferma delle modificazioni macro-evolutive è solo frutto di estrapolazioni ideologiche, non avendo alcun fondamento scientifico. Pur riconoscendo i limiti reali entro cui hanno operato, occorre però riconoscere che le teorie di Darwin sono state una fonte d’ispirazione di esperimenti scientifici verificati sperimentalmente, che hanno portato a notevoli progressi nelle nostre conoscenze in campo biologico. Al contrario invece l’ID non offre alcun «punto d’appoggio» per ricerche sperimentabili e, soprattutto, non si espone a nessuna possibilità di verifica.

     Se torniamo infatti all’esempio del «pianeta X», fatto nell’introduzione, si può osservare come, in quel caso, le incongruenze nelle misurazioni teoriche portarono a prevedere la posizione esatta, dove l’ipotetico pianeta sconosciuto avrebbe dovuto trovarsi. Questo permise a un altro astronomo di verificare la teoria, puntando il telescopio verso quella direzione. In quel caso dunque la «denuncia» di incongruenza nell’equazione ha effettivamente costituito la base per una teoria scientifica verificabile sperimentalmente. Al contrario, dire che l’equazione darwinista è insufficiente e richiede un fattore di «progettualità razionale», per quanto costituisca una legittima denuncia d’incongruenza, non fornisce alcuna base per la verifica sperimentale di questa affermazione.

     Il maggiore filosofo della scienza del 20° secolo, Karl Popper, ha affermato: «Può essere oggetto di indagine scientifica solo un’ipotesi di cui è possibile dimostrare il contrario». La confutabilità, la possibilità cioè di falsificarla, costituisce dunque un criterio indispensabile per poter considerare scientifica una teoria. Essere in grado di dimostrare sperimentalmente l’esistenza di un «progettatore razionale» sarebbe equivalente alla possibilità di dimostrare l’esistenza di Dio, Dio però non rientra nell’ambito delle ipotesi dimostrabili scientificamente, in quanto non è confutabile sperimentalmente.

     Ritengo dunque importante affermare con estrema chiarezza che l’ID costituisce una critica scientificamente legittima all’efficacia delle teorie di Darwin nello spiegare tutta la complessità del mondo naturale, ma allo stesso tempo l’ID non può proporsi come una teoria scientifica alternativa all’evoluzionismo.

 

 

5.  TEORIA DELL’ID E TEOLOGIA BIBLICA: Dopo aver evidenziato i suoi pregi e i difetti sul piano prettamente scientifico, che dire degli aspetti teologici della teoria dell’ID?

     Non vi sono dubbi sul fatto che l’idea secondo cui il creato non sia frutto del caso cieco, ma il risultato di una progettualità razionale, sia del tutto in armonia con l’idea biblica di quel Dio unico che ha creato il cielo e la terra seguendo una precisa sequenza, indicativa di un disegno precostituito (Gn 1,1-31). Anche lo scrittore della lettera agli Ebrei (11,3) afferma: «Per fede comprendiamo che i mondi sono stati formati dalla parola di Dio; così le cose che si vedono non sono state tratte da cose apparenti». Pensare dunque che la natura, che ci circonda, non sia il risultato di un accidente fortuito del caso, ma sia il prodotto di un progetto divino, è perfettamente compatibile con l’insegnamento biblico secondo cui questo progetto non si ferma solo all’atto creativo iniziale (Gv 1,3), ma continua tramite l’intervento salvifico del creatore stesso, il quale entra dentro la sua creazione, divenendone parte (Gv 1,14).

     Sarebbe però, a mio avviso, un errore teologico proporre l’ID come una dimostrazione della veridicità di ciò che la Bibbia afferma a riguardo della creazione. Affermare che «le sue qualità invisibili, la sua eterna potenza e divinità, si vedono chiaramente fin dalla creazione del mondo essendo percepite per mezzo delle opere sue» (Rm 1,20), non deve portarci a dimenticare che il credere nell’opera creatrice di Dio rimane sempre e comunque un prodotto della fede e non della razionalità (Eb 11,3). Esclamare dunque che «i cieli raccontano la gloria di Dio e il firmamento annunzia l'opera delle sue mani » (Sal 19,1), significa affermare che il creato riflette le qualità perfette di quel creatore, in cui noi riponiamo la nostra fede, non che il creato ne dimostri razionalmente l’esistenza.

     Un altro possibile aspetto teologico che io reputo equivoco è legato all’idea proposta dall’ID secondo cui la «progettualità razionale» sia un qualcosa di altro, di diverso o di esterno, rispetto a quei termini che potrebbero permetterci di spiegare un meccanismo biologico. Poniamo infatti che, proprio sotto la spinta della «denuncia» dei paladini dell’ID sull’insufficienza dei postulati darwinisti, venisse identificata una «forza F» o un «fattore K», misurabile matematicamente, capace di rendere quell’equazione coerente, vorrebbe forse dire che la «progettualità razionale» non esiste? Assolutamente no. La progettualità del Dio della Bibbia non è qualcosa di esterno alle leggi descrivibili razionalmente, ma ne è parte integrante. È proprio quella progettualità razionale a conferire una logica all’equazione stessa. Il dubbio infatti è che l’ID nasconda lo stesso errore teologico insito nella concezione del «Dio tappabuchi» (inglese: «God-of-the-gaps») comune in molti ambienti evangelici, o cristiani in generale. Mi riferisco a quella concezione secondo cui Dio troverebbe una sua ragion d’essere in quanto la nostra razionalità non è in grado di spiegare tutto, per cui Dio servirebbe a coprire quei buchi che la nostra ragione non è in grado di comprendere.[6]

     La realtà di Dio non è una conseguenza del fatto che noi non siamo in grado di dare risposte razionali, ma è l’origine stessa di quelle leggi che riusciamo a descrivere razionalmente, oltre che di quella intelligenza razionale che ci rende in grado di descriverle in formule matematiche. L’ID, a mio giudizio, soffre proprio di questa concezione di fondo teologicamente errata, secondo cui la progettualità razionale sia una sorta di elemento magico, un’azione divina non prevedibile, e quindi non misurabile. Al contrario, sono proprio quelle leggi della natura (che comprendono anche la selezione naturale), esprimibili attraverso semplici formule razionali, e prevedibili nel loro prodotto finale, che sono l’essenza stessa della progettualità razionale di Dio.

     Tutto questo ovviamente non esclude il fatto che, al di là di tutto ciò che è quantificabile e prevedibile nella progettualità razionale di Dio, ci sia sempre nel credente la consapevolezza della distanza della nostra mente da quella del creatore, per cui rimane sempre un monito alla nostra arroganza razionalista quella domanda che Dio rivolse a Giobbe: «Dov’eri tu quando io fondavo la terra? Dillo, se hai tanta intelligenza» (Gb 38,4).

 

 

6.  CONCLUSIONE: Riassumendo, l’ID possiede in sé tutti gli elementi che la rendono una legittima critica scientifica all’idea secondo cui la complessità di ciò che ci circonda sia spiegabile nei termini semplici di una variabilità casuale passata al vaglio della selezione naturale, prevista dalla teoria darwinista dell’evoluzione, per cui le critiche che le vengono mosse in ambito scientifico soffrono spesso di un pregiudizio ideologico.

      Detto questo, l’ID non sembra però possedere quei requisiti di falsificabilità che le permettono di proporsi come effettiva teoria alternativa all’evoluzionismo. Sarebbe dunque pretestuoso, a mio giudizio, mettere le due teorie sullo stesso piano nell’ambito di un curriculum scolastico. Allo stesso tempo sarebbe auspicabile che, nell’ambito dell’insegnamento delle teorie di Darwin nella scuola, venissero messi in evidenza i punti deboli di questa teoria, così come vengono evidenziati dai sostenitori dell’ID, evidenziando dunque i limiti entro cui le teorie di Darwin hanno trovato un effettivo riscontro sulla base di ricerche vagliate dal metodo scientifico. Questo permetterebbe agli studenti di non appiattirsi a quelle semplificazioni, che poco o nulla hanno a che spartire con la scienza, riguardo all’origine della vita e delle specie viventi, così superficialmente diffuse negli attuali testi scolastici. D’altra parte, l’humus indispensabile per lo sviluppo di qualsiasi teoria scientifica è proprio in dubbio metodologico, e sarebbe controproducente per gli evoluzionisti stessi che le teorie di Darwin venissero accettate in modo dogmatico, senza passare attraverso un doveroso e approfondito vaglio della critica, a partire proprio dalla scuola.

     Anche sotto l’aspetto teologico, l’ID, per quanto compatibile con l’idea biblica secondo cui Dio ha creato ogni cosa sulla base di un progetto precostituito, offre il fianco alla concezione errata di un «Dio tappabuchi», la cui opera «progettuale» si realizzerebbe secondo modalità non descrivibili e quantificabili dalla razionalità scientifica.

 

 



      [1].       Michael J. Behe, Darwin’s Black Box. The biochemical challenge to Evolution (The Free Press, New York 1996).

      [2].       Geoff Brumfiel, «Who has designs on your students’ minds?», Nature 434 (2005), pp. 1062-1065.

      [3].       Allen H. Orr, «Intelligent Design. Il creazionismo evoluto», Le Scienze 446 (2005), pp. 36-43.

      [4].       Allen H. Orr, op. cit., p. 43.

      [5].       Nicola Berretta, «Cristiani nella scienza: missione impossibile?», Lux Biblica 30 (IBEI, Roma 2004).

      [6].       Per gli approfondimenti cfr. N. Berretta, op. cit.

► URL di origine: http://puntoacroce.altervista.org/_Sci/A2-Intelligent_Design-MT_AT.htm

Aggiornamento: 26-04-2007

 

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