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1.
Introduzione
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2.
Cos’è l’Intelligent Design?
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3.
Le reazioni della scienza ufficiale all’ID
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4.
L’ID è in tutto e per tutto definibile una teoria scientifica?
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5.
Teoria dell’ID e teologia biblica
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6.
Conclusione |
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1.
INTRODUZIONE:
Le scoperte scientifiche non sono sempre delle scoperte.
Intendo dire che non sempre sono un qualcosa in cui ci si imbatte sbattendoci il
naso, inaspettatamente. Spesso vengono anticipate sulla base di teorie, ed è poi
un’indagine mirata che riesce a portarle alla luce. Forse può essere utile
l’idea di un fiume e delle sue sorgenti: camminando sopra un monte ci si può
imbattere inavvertitamente in una sorgente naturale, questa può essere seguita
lungo il pendio del monte e oltre la vallata, finché non ci accorgiamo che
lentamente diviene un vero e proprio fiume. D’altro canto è più facile avere la
situazione opposta, imbattersi cioè in un grande fiume e teorizzare dunque il
luogo da cui potrebbe aver avuto origine. Quindi lo si ripercorre a ritroso
finché non si trova la sua sorgente.
La scoperta dei pianeti del
nostro sistema solare segue uno schema simile. I pianeti più vicini alla terra
furono scoperti grazie alla semplice osservazione diretta del cielo, a occhio
nudo o tramite telescopi. Ma quelli più lontani, come Nettuno e Plutone non
vennero scoperti così, la loro esistenza fu anticipata da calcoli teorici, sulla
base delle irregolarità rilevate nelle orbite dei pianeti fino ad allora noti,
che lasciavano presupporre l’esistenza di un pianeta ignoto, un «pianeta X», che
esercitava un’attrazione gravitazionale su di essi. Fu così che due astronomi,
John Couch Adams e Urbain Jean Joseph Le Verrier, misurando le irregolarità
nell’orbita di Urano, postularono attraverso dei calcoli la posizione esatta
dove il «pianeta X» avrebbe dovuto trovarsi per far tornare i loro calcoli, e
infatti nel 1846 un altro astronomo, Johann Galle, puntando il telescopio verso
quella posizione precisa, individuò il pianeta, denominato poi Nettuno.
Ulteriori calcoli sul moto di Urano portarono poi a ritenere che ci dovesse
essere ancora un altro «pianeta X» e vennero fatti nuovi calcoli, basandosi a
quel punto sul moto sia di Urano che di Nettuno, finché Clyde Tombaugh nel 1930
riuscì ad identificare l’esistenza di Plutone. Il bello in tutto questo racconto
è che la storia non è finita lì. I calcoli teorici sulle perturbazioni
nell’orbita di Urano in realtà non tornavano perfettamente nemmeno mettendo
nell’equazione sia Nettuno che Plutone, per cui per molti anni si è ritenuto che
esistesse ancora un altro «pianeta X» che permetteva di far quadrare i conti. È
stata solo la recente missione spaziale del Voyager 2
che ha risolto la questione. I calcoli non tornavano non a causa della presenza
di un ulteriore pianeta sconosciuto, ma a causa di errori nel valore esatto
della massa di Nettuno. Quando i calcoli furono ripetuti sulla base dei dati
esatti forniti dalla sonda, tutto tornò perfettamente, per cui ad oggi Plutone
sembra essere effettivamente l’ultimo dei pianeti del nostro sistema solare.
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2.
COS’È L’INTELLIGENT DESIGN?:
Ho fatto questo excursus storico sui percorsi razionali
seguiti da chi fa un’indagine scientifica per introdurre un tema che non è molto
dibattuto in Italia, ma che negli Stati Uniti, così come in tutta la comunità
scientifica internazionale, sta suscitando notevoli controversie. Mi riferisco
all’Intelligent Design. Questo movimento, sorto negli Stati Uniti
d’America a partire dagli anni ’90, si pone in aperta critica verso la teoria
darwinista sull’origine delle specie per selezione naturale, tuttavia, al
contrario del classico movimento creazionista, si propone (o intende proporsi)
come una critica scientifica
dei presupposti teorici che stanno alla base delle moderne teorie
dell’evoluzione, in maniera dunque volutamente scevra da espliciti riferimenti a
presupposti biblici o religiosi. Intelligent Design
viene spesso tradotto dai mass media italiani come «Disegno Intelligente», ma
questa traduzione letterale non rende bene l’idea della natura e delle
caratteristiche di questo movimento. La traduzione più opportuna dovrebbe
essere, a mio giudizio, «Progettualità Razionale». Malgrado questa diversa
traduzione, continuerò a riferirmi a questo movimento, o a questa teoria, usando
l’acronimo ID, preso dall’originale inglese.
I paladini dell’ID
affermano che il mondo naturale, così come ci appare dalle analisi sempre più
sofisticate che la moderna tecnologia scientifica consente, presenta un grado di
complessità intrinseca tale per cui, il volerlo ritenere il solo risultato di
variazioni casuali passate al vaglio della selezione naturale (come sostiene la
teoria di Darwin), risulta essere un’eccessiva semplificazione. Al contrario,
secondo i fautori dell’ID, il mondo si presenta davanti ai nostri occhi
come se fosse il risultato di una progettualità razionale. Per certi versi i
fautori dell’ID ripropongono temi cari ai sostenitori del Principio
Antropico, secondo cui l’universo possederebbe al suo interno, in qualche
stadio della sua storia, quelle proprietà che hanno permesso alla vita di
svilupparsi, in quanto esso si presenta ai nostri occhi come perfettamente
bilanciato nei suoi parametri fondamentali, in modo tale da permettere a noi di
poterlo guardare e di poter riflettere su di esso. L’universo non sarebbe dunque
il risultato di variazioni casuali, ma di un progetto precostituito, che
anticipatamente vedeva noi mentre oggi ci ponevamo delle domande su di esso.
Michael Behe, biochimico di fama mondiale, e anche uno dei maggiori esponenti
del movimento ID, per spiegare l’inadeguatezza della teoria
dell’evoluzione per selezione naturale, parla di «complessità irriducibile»,
riferendosi a quel tipo di complessità che non può essere ridotta alla somma di
tante complessità separate. Usa l’esempio efficace della trappola per topi,
costituita da vari componenti: la tavoletta di legno, la molla, il ferro
ripiegato, e un gancetto collegato opportunamente a una base d’appoggio per
l’esca. Questa trappola è uno strumento complesso, ma la sua complessità non è
data dalla semplice somma dei singoli componenti, essa infatti funziona solo
se tutti i componenti sono contemporaneamente connessi tra loro in modo
opportuno. È sufficiente che uno di essi non sia al posto giusto, che l’intera
trappola divenga assolutamente inutile. Proprio per questo motivo, Behe ritiene
che una struttura irriducibilmente complessa, come una trappola per topi, non
possa nascere da una serie di piccole variazioni successive, ma è necessario
postulare l’esistenza di un ideatore, che abbia razionalmente progettato il
prodotto finale e abbia dunque fatto sì che le singole parti venissero
assemblate opportunamente. Behe prosegue affermando che la biologia molecolare,
sviluppatasi enormemente negli ultimi due decenni, ha messo sempre di più in
evidenza come le nostre cellule siano piene di elementi «irriducibilmente
complessi», il cui funzionamento richiede una precisa interconnessione
funzionale tra proteine specifiche, proprio come la trappola per topi sopra
descritta. L’osservazione di questi fenomeni suggerirebbe dunque l’esistenza di
un «progetto razionale» sottostante la complessità degli organismi viventi.
In fondo questo movimento
ripropone in chiave moderna l’esempio di William Paley, teologo inglese vissuto
nella seconda metà del ’700, relativo a una persona che, cammin facendo, si
imbattesse in un orologio buttato per terra. È ovvio che, anche se quella
persona non avesse mai visto prima un marchingegno del genere, la semplice
osservazione della sua complessità intrinseca lo porterebbe a dedurre
l’esistenza di un orologiaio, pur non avendo mai in precedenza conosciuto
nessuno che esercitasse quella professione. Analogamente, secondo Paley, la
complessità dell’universo sarebbe di per sé indicativa dell’esistenza di un
creatore.
È importante però sottolineare
che i paladini dell’ID
non affermano esplicitamente che questo fattore in grado di conferire una
progettualità razionale sia Dio. Molti di loro confessano apertamente una
fede personale nel Dio biblico e affermano che quell’idea di progettualità
razionale è del tutto compatibile con la rivelazione biblica, ma si guardano
bene dall’affermare che l’ID implichi necessariamente, o dimostri
scientificamente, l’esistenza del Dio biblico.
Quello dunque che l’ID
afferma è semplicemente che, usando i soli i termini previsti da una ipotetica
equazione darwiniana, non riusciamo ad ottenere un risultato compatibile
con la complessità che vediamo nella natura. Tuttavia, se aggiungiamo a questa
equazione un «fattore X», che denominiamo «progettualità razionale», i conti
allora tornano. Un po’ come nell’esempio fatto in precedenza sulla scoperta di
Nettuno e Plutone: cercando di prevedere il moto di Urano sulla base di
un’equazione composta dai dati fino ad allora noti (prima della scoperta di
questi due pianeti), il moto calcolato non corrispondeva a quello effettivamente
rilevato. Se però si postulava l’esistenza di un «fattore X», costituito da un
pianeta ancora sconosciuto, i conti sarebbero tornati. E così avvenne. Il
discorso fatto dall’ID è in larga misura analogo. Questo «fattore X»
potrebbe anche non essere Dio, potrebbe infatti anche trattarsi di una
«costante K» ancora sconosciuta o una «forza F» dalle proprietà ancora
inesplorate. Il punto è che l’equazione, così com’è oggi, risulta incompleta.
Occorre notare, tornando all’esempio portato sulla scoperta dei pianeti, che
l’ipotesi di un pianeta ignoto, proposta per l’incongruenza nell’equazione, non
comporta necessariamente che il «pianeta X» esista davvero. Come abbiamo
visto infatti, dopo la scoperta di Plutone si continuava ancora a non trovare
corrispondenze tra l’equazione e la realtà misurata. Tutto si risolse quando gli
astronomi scoprirono che le differenze si colmavano, modificando opportunamente
la massa stimata di Nettuno, così come rilevata con maggiore precisione dalla
sonda Voyager 2, senza l’aggiunta di un nuovo pianeta. Dire dunque che
l’ipotetica equazione darwiniana non è compatibile con la complessità del
risultato finale non significa dire che la
«progettualità razionale» (concepita come elemento mancante all’interno
dell’equazione) debba necessariamente esistere. In teoria infatti si
potrebbe un domani rivedere quantitativamente il peso
della selezione naturale in questa equazione, col risultato di ottenere questa
volta un risultato finale compatibile.
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3.
LE REAZIONI DELLA SCIENZA UFFICIALE ALL’ID:
Inizialmente la comunità scientifica ufficiale non ha dato troppo
peso alla teoria dell’ID, ma essendo sostenuta concettualmente e
(soprattutto) finanziariamente dalle forti lobby evangeliche americane, si è
esposta in questi anni alle luci della ribalta mediatica, allorquando è stato
proposto che le posizioni da essa espresse divenissero parte del curriculum
scolastico in alcuni Stati americani, affianco al normale insegnamento
dell’evoluzione. Lo scontro ideologico che ha sollevato questo dibattito ha
completamente distolto la comunità scientifica dalla necessità di affrontare
l’argomento su basi razionali e obiettive. Sono stati di recente scritti
articoli sull’argomento in importanti riviste internazionali, come sulla
prestigiosa rivista scientifica «Nature», ciò che però salta agli occhi è il fatto che queste recensioni
non affrontano direttamente la problematica scientifica sollevata dall’ID,
ma la criticano per il semplice fatto che essa nasconda il tentativo di
reintrodurre, con metodi più sottili e subdoli, il creazionismo biblico. I
fautori di questa teoria vengono di fatto ridicolizzati perché, anche se non lo
dicono apertamente, sarebbero gli stessi creduloni che prima raccontano quelle
favole per bambini sui sei giorni della creazione e la mela (che mela non era)
di Adamo ed Eva. Oppure, quand’anche si ammette che queste persone non sono gli
stessi creazionisti
di un tempo (come in un recente articolo uscito sul periodico «Le Scienze»), la cosa viene detta per mettere ancora di più in allarme sulla
loro pericolosità. La loro minaccia è ancora più temibile, perché questi fautori
dell’ID si travestirebbero da scienziati razionali, per nascondere in
realtà gli stessi propositi retrogradi dei loro ridicoli predecessori. Questa
situazione è, a dir poco, indisponente perché non si trova nessuno che si prenda
la briga di rispondere punto per punto, con argomentazioni scientificamente
circostanziate, alle critiche mosse da questi esponenti dell’ID.
Non nego l’importanza di
conoscere i presupposti ideologici di una persona che esprima teorie nuove,
soprattutto se controverse, perché la consapevolezza di queste basi filosofiche
può aiutare l’interlocutore a capire meglio l’argomentazione e, soprattutto, a
prevedere dove questa persona vuole andare a parare. Mettiamo che io
ascolti qualcuno che propone nuove teorie scientifiche legate all’ingegneria
genetica. Se so che questa persona è un nostalgico nazista, che appoggia
l’ideologia razzista sulla creazione di una razza ariana, faccio bene a drizzare
bene le orecchie, per ascoltare le sue argomentazioni sull’utilizzo
dell’ingegneria genetica. Allo stesso tempo, commetterei un madornale errore se
rifiutassi le sue teorie solo sulla base del timore che lui le voglia utilizzare
come un «cavallo di Troia» per favorire l’utilizzo di tecniche di eugenetica. Io
sono chiamato a rispondere a quelle precise argomentazioni scientifiche, per
confutarle per quelle che sono. Oppure anche per accettarle, mettendo però dei
chiari paletti, onde evitare quelle che potrebbero essere le eventuali
estrapolazioni eticamente inaccettabili.
Insomma, le reazioni della
comunità scientifica ufficiale sembrano suggerire che non sia l’ID a
essere un’ideologia fondamentalista, ma al contrario sia essa stessa oggetto di
critiche ideologiche fondamentaliste.
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4.
L’ID È IN TUTTO E PER TUTTO DEFINIBILE UNA TEORIA SCIENTIFICA?:
Al di là dunque delle critiche di carattere ideologico, occorre a
mio avviso riconoscere la piena legittimità scientifica della critica portata
dall’ID all’evoluzionismo darwinista. L’ID
è infatti una voce discordante che si oppone al coro auto-referenziale di coloro
i quali ritengono che la complessità della natura sia completamente spiegabile
da un gioco di variazioni casuali vagliate dalla selezione naturale. L’ID
è dunque, prima di ogni altra cosa, un’obiezione razionale a questa
semplificazione meccanicistica, una denuncia del fatto che l’equazione
darwinista non può di per sé spiegare il prodotto finale che osserviamo nel
mondo naturale.
Detto questo, occorre però anche
chiedersi se l’ID, oltre a essere una lecita «denuncia», possieda anche
le caratteristiche che le consentono di porsi come
teoria alternativa all’evoluzionismo.
A questo riguardo, cito per
esteso un brano tratto dell’articolo di Allen Orr, apparso sulla rivista «Le
Scienze»: «…Sebbene spesso si immagini la scienza come un insieme di brillanti
teorie, gli scienziati in genere sono solidi pragmatisti: per loro, una buona
teoria è quella che ispira nuovi esperimenti e fornisce intuizioni inattese su
fenomeni noti. In base a questo standard, il darwinismo è una delle migliori
teorie nella storia della scienza: ha prodotto innumerevoli esperimenti e
fornito intuizioni inaspettate su questioni enigmatiche. In quasi dieci anni
dalla pubblicazione del libro di Behe, invece, l’ID non ha ispirato
nessun esperimento interessante, o fornito spunti sorprendenti per la biologia.
Con il passare degli anni, l’ID sembra sempre meno la scienza che
aspirava a diventare e sempre più un prolungato esercizio di polemica».
Personalmente mi
sento in larga misura di condividere questa affermazione. Come ho già scritto
più approfonditamente in precedenza, l’idea che le persone comunemente hanno delle teorie
scientifiche è molto più vaga e sospesa per aria rispetto a quella che hanno gli
scienziati (per «scienziati» intendo quelli che stanno in laboratorio, non
quelli che chiacchierano in televisione). Le teorie scientifiche non sono un
valore in sé, ma sono tali quando costituiscono una piattaforma razionale su
cui poter fare previsioni, verificabili tramite appropriati esperimenti.
L’approccio dello scienziato nei confronti di una teoria scientifica è dunque
molto più «laico» di come lo si ritiene. Allo scienziato la teoria non gli serve
a navigare sopra ai massimi sistemi, ma per pianificare degli esperimenti
verificabili oggettivamente.
Da questo punto di vista, Allen Orr ha ragione a evidenziare l’indubbio
contributo che le teorie di Darwin hanno fornito per le ricerche in campo
biologico. Purtroppo però, al pari di tanti altri biologi evoluzionisti,
l’autore dimentica di dire che quegli esperimenti, ispirati dalle teorie di
Darwin e verificati col metodo scientifico, riguardano solo aspetti micro-evolutivi,
e il ritenerli una conferma delle modificazioni macro-evolutive è solo
frutto di estrapolazioni ideologiche, non avendo alcun fondamento scientifico.
Pur riconoscendo i
limiti reali entro cui hanno operato, occorre però riconoscere che le teorie
di Darwin sono state una fonte d’ispirazione di esperimenti scientifici
verificati sperimentalmente, che hanno portato a notevoli progressi nelle nostre
conoscenze in campo biologico. Al contrario invece l’ID non offre alcun
«punto d’appoggio» per ricerche sperimentabili e, soprattutto, non si espone a
nessuna possibilità di verifica.
Se torniamo infatti all’esempio
del «pianeta X», fatto nell’introduzione, si può osservare come, in quel caso,
le incongruenze nelle misurazioni teoriche portarono a prevedere la posizione
esatta, dove l’ipotetico pianeta sconosciuto avrebbe dovuto trovarsi. Questo
permise a un altro astronomo di verificare la teoria, puntando il telescopio
verso quella direzione. In quel caso dunque la «denuncia» di incongruenza
nell’equazione ha effettivamente costituito la base per una teoria scientifica
verificabile sperimentalmente. Al contrario, dire che l’equazione darwinista
è insufficiente e richiede un fattore di «progettualità razionale», per quanto
costituisca una legittima denuncia d’incongruenza, non fornisce alcuna base per
la verifica sperimentale di questa affermazione.
Il maggiore filosofo della
scienza del 20° secolo, Karl Popper, ha affermato: «Può essere oggetto di
indagine scientifica solo un’ipotesi di cui è possibile dimostrare il contrario».
La confutabilità, la possibilità cioè di falsificarla, costituisce dunque un
criterio indispensabile per poter considerare
scientifica una teoria. Essere in grado di dimostrare sperimentalmente
l’esistenza di un «progettatore razionale» sarebbe equivalente alla possibilità
di dimostrare l’esistenza di Dio, Dio però non rientra nell’ambito delle
ipotesi dimostrabili scientificamente, in quanto non è confutabile
sperimentalmente.
Ritengo dunque importante affermare con estrema
chiarezza che l’ID costituisce una critica scientificamente legittima
all’efficacia delle teorie di Darwin nello spiegare tutta la complessità del
mondo naturale, ma allo stesso tempo l’ID non può proporsi come una
teoria scientifica alternativa all’evoluzionismo.
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5.
TEORIA DELL’ID E TEOLOGIA BIBLICA:
Dopo aver evidenziato i suoi pregi e i difetti sul piano
prettamente scientifico, che dire degli aspetti teologici della teoria dell’ID?
Non vi sono dubbi sul fatto che
l’idea secondo cui il creato non sia frutto del caso cieco, ma il risultato di
una progettualità razionale, sia del tutto in armonia con l’idea biblica di quel
Dio unico che ha creato il cielo e la terra seguendo una precisa sequenza,
indicativa di un disegno precostituito (Gn 1,1-31). Anche lo scrittore della
lettera agli Ebrei (11,3) afferma: «Per
fede comprendiamo che i mondi sono stati formati dalla parola di Dio; così le
cose che si vedono non sono state tratte da cose apparenti». Pensare
dunque che la natura, che ci circonda, non sia il risultato di un accidente
fortuito del caso, ma sia il prodotto di un progetto divino, è perfettamente
compatibile con l’insegnamento biblico secondo cui questo progetto non si ferma
solo all’atto creativo iniziale (Gv 1,3), ma continua tramite l’intervento
salvifico del creatore stesso, il quale entra dentro la sua creazione,
divenendone parte (Gv 1,14).
Sarebbe però, a mio avviso, un
errore teologico proporre l’ID come una dimostrazione della
veridicità di ciò che la Bibbia afferma a riguardo della creazione. Affermare
che «le sue qualità invisibili, la sua
eterna potenza e divinità, si vedono chiaramente fin dalla creazione del mondo
essendo percepite per mezzo delle opere sue» (Rm 1,20), non deve
portarci a dimenticare che il credere nell’opera creatrice di Dio rimane sempre
e comunque un prodotto della fede e non della razionalità (Eb 11,3).
Esclamare dunque che «i cieli raccontano la gloria di Dio e il firmamento annunzia l'opera delle sue
mani
» (Sal 19,1), significa affermare che il creato riflette le qualità
perfette di quel creatore, in cui noi riponiamo la nostra fede, non che il
creato ne dimostri razionalmente l’esistenza.
Un altro possibile aspetto
teologico che io reputo equivoco è legato all’idea proposta dall’ID
secondo cui la «progettualità razionale» sia un qualcosa di altro, di
diverso o di esterno, rispetto a quei termini che potrebbero permetterci di
spiegare un meccanismo biologico. Poniamo infatti che, proprio sotto la spinta
della «denuncia» dei paladini dell’ID
sull’insufficienza dei postulati darwinisti, venisse identificata una «forza F»
o un «fattore K», misurabile matematicamente, capace di rendere quell’equazione
coerente, vorrebbe forse dire che la «progettualità razionale» non esiste?
Assolutamente no. La progettualità del Dio della Bibbia non è qualcosa di
esterno alle leggi descrivibili razionalmente, ma ne è parte integrante. È
proprio quella progettualità razionale a conferire una logica all’equazione
stessa. Il dubbio infatti è che l’ID nasconda lo stesso errore teologico
insito nella concezione del «Dio tappabuchi» (inglese: «God-of-the-gaps»)
comune in molti ambienti evangelici, o cristiani in generale. Mi riferisco a
quella concezione secondo cui Dio troverebbe una sua ragion d’essere in quanto
la nostra razionalità non è in grado di spiegare tutto, per cui Dio
servirebbe a coprire quei buchi che la nostra ragione non è in grado di
comprendere.
La realtà di Dio non è una
conseguenza del fatto che noi non siamo in grado di dare risposte
razionali, ma è l’origine stessa di quelle leggi che riusciamo a descrivere
razionalmente, oltre che di quella intelligenza razionale che ci rende in grado
di descriverle in formule matematiche. L’ID, a mio giudizio, soffre
proprio di questa concezione di fondo teologicamente errata, secondo cui la
progettualità razionale sia una sorta di elemento magico, un’azione
divina non prevedibile, e quindi non misurabile. Al contrario, sono proprio
quelle leggi della natura (che comprendono anche la selezione
naturale), esprimibili attraverso semplici formule razionali, e prevedibili nel
loro prodotto finale, che sono l’essenza stessa della progettualità razionale di
Dio.
Tutto questo ovviamente non
esclude il fatto che, al di là di tutto ciò che è quantificabile e prevedibile
nella progettualità razionale di Dio, ci sia sempre nel credente la
consapevolezza della distanza della nostra mente da quella del creatore, per cui
rimane sempre un monito alla nostra arroganza razionalista quella domanda che
Dio rivolse a Giobbe: «Dov’eri tu
quando io fondavo la terra? Dillo, se hai tanta intelligenza» (Gb
38,4).
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6.
CONCLUSIONE:
Riassumendo, l’ID possiede in sé tutti gli elementi che la
rendono una legittima critica
scientifica
all’idea secondo cui la complessità di ciò che ci circonda
sia spiegabile nei termini semplici di una variabilità casuale passata al vaglio
della selezione naturale, prevista dalla teoria darwinista dell’evoluzione, per
cui le critiche che le vengono mosse in ambito scientifico soffrono spesso di un
pregiudizio ideologico.
Detto questo, l’ID non sembra però possedere quei
requisiti di falsificabilità che le permettono di proporsi come effettiva teoria
alternativa all’evoluzionismo. Sarebbe dunque pretestuoso, a mio giudizio,
mettere le due teorie sullo stesso piano nell’ambito di un curriculum
scolastico.
Allo stesso tempo sarebbe auspicabile che, nell’ambito dell’insegnamento delle
teorie di Darwin nella scuola, venissero messi in evidenza i punti deboli di
questa teoria, così come vengono evidenziati dai sostenitori dell’ID,
evidenziando dunque i limiti
entro cui le teorie di Darwin hanno trovato un effettivo riscontro sulla base di
ricerche vagliate dal metodo scientifico. Questo permetterebbe agli studenti di
non appiattirsi a quelle semplificazioni, che poco o nulla hanno a che spartire
con la scienza, riguardo all’origine della vita e delle specie viventi, così
superficialmente diffuse negli attuali testi scolastici. D’altra parte, l’humus
indispensabile per lo sviluppo di qualsiasi teoria scientifica è proprio in
dubbio metodologico, e sarebbe controproducente per gli evoluzionisti stessi che
le teorie di Darwin venissero accettate in modo dogmatico, senza passare
attraverso un doveroso e approfondito vaglio della critica, a partire proprio
dalla scuola.
Anche sotto l’aspetto teologico,
l’ID, per quanto compatibile con l’idea biblica secondo cui Dio ha creato
ogni cosa sulla base di un progetto precostituito, offre il fianco alla
concezione errata di un «Dio tappabuchi», la cui opera «progettuale» si
realizzerebbe secondo modalità non descrivibili e quantificabili dalla
razionalità scientifica.
► URL di origine:
http://puntoacroce.altervista.org/_Sci/A2-Intelligent_Design-MT_AT.htm
Aggiornamento: 26-04-2007
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