Volevo chiederti
una cosa riguardo a 1 Timoteo 3,16. Gesù ebbe bisogno di essere «giustificato»?
Gli accadde questo in quanto vero uomo? Che significa essere reso giusto «nello
spirito»? {Ivano Acunto; 17-04-2012} |
Facciamo dapprima
una traduzioni il più letterale possibile del testo:
«E notoriamente grande è il mistero della
devozione:
Colui che fu manifestato in carne,
fu giustificato in spirito,
apparve ad angeli,
fu predicato a nazioni,
fu creduto nel mondo,
fu elevato in gloria».
1. Aspetti
testuali
In corrispondenza a vari manoscritti greci alcune traduzioni (p.es. la vecchia
Elberfelder, Lutero) hanno all’inizio Theós «Dio». Questa è la
quintessenza della fede cristiana: tò tōs eusebeias mystōrion «il
mistero della devozione».
Per prima cosa si tratta di un inno, quindi esprime la verità in modo
poetico. Si noti il contrasto fra i termini «carne» e «spirito». Inoltre
si comincia con la «carne» e si termina con la «gloria». Infine, alla dimensione
dello «spirito» e degli «angeli» viene contrapposto quello delle «nazioni» e del
«mondo».
Il participio «giustificato» ha le accezioni di «reso giusto» o di
«dichiarato giusto». Gesù non aveva bisogno di essere «reso giusto», essendo
senza peccato. L’attestazione della sua giustizia era un aspetto sociale e
storico importante, dopo che era stato presentato, accusato e condannato
pubblicamente come un malfattore; si trattava del ripristino pubblico del suo
onore. Il passivo (edikaiōthē) mostra che fu Dio a dichiararlo giusto.
Ciò avvenne mediante la risurrezione dai morti.
Un altro aspetto del problema è la locuzione greca [edikaiōthē] en pneumati
«in spirito». Ci sono almeno due possibilità. ▪ 1. È descritto lo
stato: Gesù fu dichiarato giusto, dopo che era morto, quando si trovava nel
regno dei morti ed era, perciò, nello stato di spirito. ▪ 2. È descritto lo
strumento: Gesù fu dichiarato giusto per mezzo dello Spirito Santo (in gr. «en
strumentale»). Io protendo per la prima possibilità. In ambedue i casi lo
strumento usato per la dichiarazione di giustizia di Gesù quale Messia fu la
risurrezione.
2. Il ripristino
dell’onore nell’antichità
Il ripristino pubblico dell’onore di chi era stato accusato ingiustamente, era
importante nell’antichità; tale atto era chiamato appunto «giustificazione».
L’obbligo dei
giudici era appunto quello di ripristinare l’onore di chi era accusato
ingiustamente e sanzionare i loro accusatori o
diffamatori, giudicando con giusti giudizi (Dt
1,16s; 16,18; 2 Cr 19,8ss; cfr. Es 23,7s; Mi 3,11). L’attività dei calunniatori
era avversata dalla legge (Es 23,1; Lv 19,16; cfr. Sal 15,3; Pr 10,18; 30,10).
Un esempio era dato dal fatto che Abimelek, credendo che Sara fosse sorella di
Abramo, mentre ne era la moglie, la fece venire da lui e ne aveva così
infangato l’onore, sebbene non si fosse accostata sessualmente a lei (Gn
20,2ss). Sotto la minaccia del giudizio di Dio, che gli apparve in sogno
(vv. 3ss), egli non solo rimproverò Abramo, ma disse a Sara: ««Ecco,
io ho dato a tuo fratello mille pezzi d’argento; questo ti sarà un velo sugli
occhi di fronte a tutti quelli che sono teco, e sarai giustificata
dinanzi a tutti» (v. 16). In tal modo,
mediante il risarcimento pubblico, egli la dichiarava giusta e la
riabilitava agli occhi degli altri.
Un altro esempio era dato dal caso, in cui un marito accusa pubblicamente la
moglie di non essere stata vergine al momento del matrimonio (Dt 22,14ss).
Per contrastare tale «accusa di cose infami»,
i genitori producevano «i segni della verginità della giovane» dinanzi
agli anziani della città (erano i giudici popolari), ossia il lenzuolo della
prima notte, macchiato di sangue; ciò era importante, poiché ne andava della
vita della donna (vv. 20s). In tal caso, gli anziani castigavano tale uomo, lo
condannavano a una pesante ammenda (era destinata al padre della donna) e
proibivano all’uomo di mandare via la moglie durante tutta la sua vita (vv.
18s).
3. La
giustificazione del Messia
Anche in
Isaia 53 c’è prima l’ingiusta condanna del Messia e poi la sua
giustificazione da parte dell’Eterno, che riportò in vita il «servo dell’Eterno»
(vv. 10ss). La reazione della gente a tale giustificazione pubblica del Messia
da parte di Dio si può leggere anche in Isaia 52,13ss.
Anche
Pietro parlò a Pentecoste di tale contrasto fra la condanna da parte dei
Giudei e la «giustificazione» pubblica di Gesù quale Messia: «Quest’uomo,
allorché vi fu dato nelle mani per il determinato consiglio e per la prescienza
di Dio, voi, per mano
d’iniqui, inchiodandolo sulla croce, lo uccideste;
ma Dio lo risuscitò, avendo
sciolto gli angosciosi legami della morte, perché non era possibile che egli
fosse da essa ritenuto. [...] Sappia, dunque, sicuramente tutta la casa
d’Israele che Dio ha fatto e
Signore e Cristo quel Gesù che voi
avete crocifisso» (At 2,23s.36).
Ad
Antiochia di Pisidia, nella sinagoga, Paolo
portò avanti un discorso simile a quello di Pietro a Pentecoste, sebbene più
ampio. Egli evidenziò che gli abitanti di Gerusalemme
e i loro capi non avevano riconosciuto Gesù (ossia come Messia) e lo
condannarono (At 13,27); e «benché non trovassero in lui nulla, che fosse
degno di morte, chiesero a Pilato che fosse ucciso… Ma Dio lo
risuscitò dai morti» (vv. 28.30). Tale risurrezione, su cui Paolo
insistette, fu la giustificazione pubblica e storica di Gesù quale Messia (vv.
32-37), essendo che ciò lo stabiliva come Re, secondo il patto di Dio con
Davide (v. 33; cfr. Sal 2).
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_Dot/A1-Giustific_in_spirito_OiG.htm
18-04-2012;
Aggiornamento: 19-04-2012 |