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L’uomo e la donna nella Bibbia— Generi e ruoli 1:

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COSTUMI DEI CRISTIANI GIUDAICI

E QUESTIONI CONNESSE

 

 a cura di Nicola Martella

 

L'articolo «Falsi maestri fra i giudeo-messianici odierni» ha indotto un lettore a visitare il sito di Edipi (Evangelici d’Italia per Israele) e a chiedere intorno ai costumi dei Giudei cristiani; si veda in merito il primo contributo. Di per sé il tema connesso a tale articolo è il seguente: «Falsi maestri fra i giudeo-messianici odierni? Parliamone». Poiché però le sue richieste di chiarimento vanno di là dalla questione specifica, mettiamo qui questa discussione parallela.

 

     Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre esperienze, idee e opinioni?

Partecipate alla discussione inviando i vostri contributi al Webmaster (E-mail)

Attenzione! Non si accettano contributi anonimi o con nickname, ma solo quelli firmati con nome e cognome! In casi particolari e delicati il gestore del sito può dare uno pseudonimo, se richiesto.

I contributi sul tema

(I contributi rispecchiano le opinioni personali degli autori.

I contributi attivi hanno uno sfondo bianco)

 

1. Antonio Capasso

2. Nicola Martella

3. Rinaldo Diprose

4. Giampaolo Natale

5. Nicola Martella

6. Antonio Capasso

7. Rinaldo Diprose

8. Gianni Siena

9.

10.

11.

12.

 

Clicca sul lemma desiderato per raggiungere la rubrica sottostante

 

 

1. {Antonio Capasso}

 

Caro fratello in Cristo, vorrei parteciparti le mie perplessità intorno al movimento dei Giudei messianici. Perplessità che mi trovo a vivere da solo, visto che molti dei miei fratelli in Cristo non le hanno. Te li comunico anche in virtù dell’articolo letto sul tuo sito dal titolo «Falsi maestri fra i giudeo messianici odierni».

     Tu definisci l’EDIPI un’associazione più sobria. Sono andato sul sito di questa associazione e sono rimasto molto perplesso delle cose che ho visto nelle foto e nel linguaggio. Per esempio, come mai i fratelli ebrei cristiani pregano con quel cappellino (non ricordo come si chiama) in testa? Non dice la Bibbia che l’uomo che prega con il capo coperto, disonora Cristo? Perché durante la preghiera si suona lo shofar? Viene definito parte integrante della preghiera? Perché le danze? Perché celebrare la festa delle capanne? Perché questo appoggio politico incondizionato a Israele? Perché pregare per la pace di Gerusalemme? È scritto questa richiesta di preghiera nel Nuovo Testamento? Non bisogna pregare per la pace di tutto il mondo? Tutto questo fatto poi da credenti Italiani e Ebrei. Scusami di tante domande, ma è solo desiderio di capire. Un saluto nel Signore. {15 dicembre 2008}

 

 

2. {Nicola Martella}

 

Ritengo comunque l’Edipi una delle associazioni più sobrie fra «gli amici d’Israele», di là se io condivida o meno tutto ciò che essa promuove. Chiederò a loro di rispondere, intanto ecco alcune mie precisazioni su quanto da te chiesto.

     Il copricapo, che gli Ebrei osservanti mettono durante preghiere e riti, si chiama «kippà». Nel nuovo patto Paolo ordinò ai credenti maschi, che pregano e profetizzano (parlano pubblicamente, partendo da un brano della sacra Scrittura, per edificare, esortare e consolare; 1 Cor 14,3.29-32), che devono farlo a capo scoperto per onorare il loro capo, cioè Cristo (1 Cor 11,4). Di ciò ho parlato nell’articolo «La donna in 1 Corinzi 11», Generi e ruoli 2 (Punto°A°Croce, Roma 1996), pp. 9-27.

     Sulle danze nelle chiese ho preso posizione in diversi articoli su questo sito, ad esempio: «La danza è l’obiettivo santo di Dio?»; sugli aspetti giudaici, vedi il confronto con Argentino Quintavalle in «Danze giudaiche, ecclesiali e carismatiche».

     Riguardo all’appoggio politico incondizionato a Israele, rimando nel libro Escatologia fra legittimità e abuso. Escatologia 2 (Punto°A°Croce, Roma 2007), ai seguenti articoli: «Cieco sostegno politico a Israele», pp. 252-257; «Israele automaticamente vicino a Dio?», pp. 258-262.

     Devo ammettere che nel NT non vengono mai comandate le seguenti cose ai credenti del nuovo patto: suonare lo shofar in concomitanza con la preghiera o un atto cultuale, celebrare la festa delle capanne o pregare per la pace di Gerusalemme; inoltre al Concilio di Gerusalemme non vennero imposte ai cristiani gentili (At 15). Tuttavia se si suonano altri strumenti, si può suonare anche lo shofar senza che gli si dia un carattere «sacramentale». È comandato di pregare per tutti gli uomini (1 Tm 2,1ss), quindi anche per i Giudei, per i quali Paolo era in apprensione (Rm 9,1ss). Pregare per la pace di Gerusalemme era certamente legittimo all’interno della teocrazia d’Israele, essendo la capitale di un regno e il luogo del santuario (Sal 122). La patria però della gente del nuovo patto, Giudei e Gentili, è un’altra Gerusalemme, quella celeste (Eb 12,22s). Si fa meglio a pregare per la salvezza dei Giudei. {Nicola Martella}

 

 

3. {Rinaldo Diprose}

 

Un sito web ha grandi limiti come mezzo di comunicazione e non solo quello dell’EDIPI. Per esempio un sito web non mi permette di conoscere il fratello Antonio, se non come uno che scrive in ciò che mi sembra una vena polemica. Ma forse no, può darsi che sia stato a contatto con forme d’insegnamento (sia giudaico che non-giudaico) che lo hanno lasciato insoddisfatto. Ecco perché tenterò di rispondergli, sperando di dargli qualche spunto di riflessione che avrà modo d’approfondire.

     Innanzitutto faccio osservare che di «falsi maestri» se ne trovano a migliaia anche fra i «cristiani non-giudaici», quindi l’esistenza di qualche «falso maestro» fra i «Giudei messianici» non dovrebbe sorprenderci. Intanto è bene ricordare che i Giudei messianici, a partire dagli apostoli, ci hanno arricchito in modo insostituibile.

     Nelle domande: «Come mai i fratelli ebrei cristiani pregano con quel cappellino (non ricordo come si chiama) in testa? Non dice la Bibbia che l’uomo che prega con il capo coperto, disonora Cristo?». Scorgo un elemento, forse inconsapevole di «teologia della sostituzione» al contrario. Mi riferisco all’uso che fa del termine «ebrei cristiani». Ovviamente dovrebbero essere loro a rispondere alla prima di queste domande. Intanto la seconda domanda mi ha fatto venire in mente subito un’altra: «Come mai in molte chiese evangeliche le sorelle pregano senza velarsi?». Così facendo ignorano, anche loro, l’insegnamento di Paolo in 1 Corinzi 11. Evidentemente non è un peccato capitale: per gli uomini mettere il kippà e per la donne non velarsi affatto (anche se sono personalmente d’accordo che gli uomini, che sono entrati a far parte del nuovo patto, dovrebbero manifestare la libertà acquisita con Dio pregando a capo scoperto, e sono contento che mia moglie trova normale velarsi quando prega pubblicamente).

     Personalmente ho portato il kippà soltanto in occasione di visitare qualche sinagoga o ambiente ebraico in un tempo di festa; anche Antonio dovrebbe farlo se gli capitasse d’entrare in una sinagoga, cosa che l’apostolo Paolo e altri come lui facevano regolarmente, rispettando tutte le usanze.

     «Perché durante la preghiera si suona lo shofar? Viene definito parte integrante della preghiera?». Che io sappia (e includo qui tutti i Raduni dell’EDIPI) non si suona lo shofar mentre si prega. Ma francamente non vedo niente di male nel suonare un organo, una chitarra, una cetra, o uno shofar o altro tipo di tromba durante un culto. È vero che lo stile «quacchero» ha influito sulle forme del culto d’adorazione in certi ambienti evangelici legati in qualche modo con l’ambiente inglese, ma ciò non è un pregio; è semplicemente un incidente storico di tipo culturale.

     «Perché le danze? Perché celebrare la festa delle capanne? Perché questo appoggio politico incondizionato a Israele? Perché pregare per la pace di Gerusalemme? È scritto questa richiesta di preghiera nel Nuovo Testamento?». Parto dall’ultima di queste domande: Forse è sfuggito al fratello Antonio che nel periodo descritto in Atti la Bibbia, che veniva letta e studiata negli incontri di chiesa, era quello che i discepoli di Gesù provenienti dal paganesimo chiamano Antico Testamento. Il danzare, celebrare la festa delle capanne e la preghiera per la pace di Gerusalemme sono tutte previste in queste Scritture. Nell’importante incontro avvenuto a Gerusalemme, descritto in Atti 15,5-35, lo Spirito Santo guidò i Dodici, gli anziani della chiesa di Gerusalemme, Barnaba, Paolo e altri rappresentanti della chiesa d’Antiochia, a comprendere che l’ubbidienza alla legge non contribuisce nulla alla salvezza e che, anche dopo aver creduto, i pagani che ubbidiscono a Dio non devono mettersi sotto legge. Ne consegue che non sono obbligati a celebrare la festa delle capanne come richiesto in Deuteronomio 16,16 (cosa che, invece, diventerà obbligatorio per le nazioni durante il regno messianico, Zac 14,16-17). In Romani 14,1-12 l’apostolo Paolo mette la celebrazione degli appuntamenti di Dio fissati nella legge mosaico in termini di «non-obbligatorietà», facendo comprendere che era cosa normale per i Giudei messianici esprimere il loro amore per Dio ricordando i suoi prodigi nei modi indicati dalla legge (Salmo 111,4; cfr. il comportamento di Paolo: At 20,16; 21,20-26; 1 Cor 9,19-23).

     Quanto alla politica, nei raduni dell’EDIPI non ho sentito un appoggio politico incondizionato a Israele; si sa che il parlamento israeliano è l’una sede nella regione medio-orientale in cui un governo fa auto-critica. Così anche noi, come i profeti d’Israele, siamo liberi di mettere in discussione le sue decisioni. D’altra parte il tentativo di molti sedicenti evangelici di scindere fra Israele, nazione eletta, e lo stato d’Israele, ignora il fatto che le radici del sionismo si trovano nelle profezie dell’Antico Testamento. Dio continua a servirsi dei processi storici per compiere i suoi piani. A questo proposito suggerisco che Antonio chieda all’EDIPI che gli venga inviato una copia del mio libretto intitolato «Gli effetti della teologia della sostituzione». Chi mette in dubbio che la chiesa dei gentili non dovrebbe in qualche modo sostenere Israele, popolo e stato, farebbe bene a meditare Romani 15,25-27. {17-12-2008; Rinaldo Diprose è membro del consiglio dell'Edipi}  

 

 

4. {Giampaolo Natale}

 

Ho potuto leggere l’intervento del fratello Rinaldo Diprose, che stimo non solo come fratello ma anche come studioso. Vorrei tuttavia far notare alcune osservazioni che vengono fuori dal suo testo e che mi sembrano un po’ azzardate… o forse sono solo da precisare.

 

     1. S’afferma che «era cosa normale per i Giudei messianici esprimere il loro amore per Dio ricordando i suoi prodigi nei modi indicati dalla legge» e si vorrebbe (se non ho capito male) in tal modo giustificare i giudei-messianici che ancora oggi osservano tali solennità in quanto sarebbero liberi di farlo.

     Questo però non tiene in considerazione che all’epoca delle lettere paoline il tempio non era ancora stato distrutto e questa era una condizione essenziale per l’osservanza delle suddette solennità. Ogni festa prescriveva delle offerte e necessiterebbe della ricostituzione di tutto l’apparato sacerdotale levita. Sappiamo infatti che si andava dal semplice covone d’orzo della festa delle primizie a quello dei sacrifici d’animali (ad es. per la ricorrenza delle espiazioni). Ma noi sappiamo che «dicendo “un nuovo patto”, egli ha reso antico il primo, or quello che diventa antico e invecchia, è vicino a essere annullato» (Ebrei 8,13). L’autore della lettera agli Ebrei (67-69 d.C. la redazione) comprese quindi, qualche anno prima della distruzione del tempio, che il sacerdozio levitico era prossimo a scomparire, perché Gesù aveva introdotto il nuovo patto nel suo sangue. Vero è che Paolo non vietò ai Giudei d’osservare la Legge, ma è altrettanto vero che disse ai Galati: «Voi osservate giorni e mesi e stagioni e anni Io temo, d’essermi affaticato invano per voi» (Galati 4,10) e giudicava tutto il suo passato nella tradizione ebraica come tanta spazzatura di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo (Fil 3,8). A questo aggiungiamo che se gli Ebrei messianici volessero osservare queste solennità come un semplice modo per «esprimere il loro amore per Dio» (cito testualmente), dovrebbero tener presente che queste presentavano Cristo e vanno interpretate in senso cristologico così come tutta legge, i profeti e i salmi. (Luca 24,44). Cristo è il mistero dell’antico patto che è stato rivelato nel nuovo. Si può dunque «osservare tali solennità solo tenendo presenti questi importanti accorgimenti.

 

     2. S’afferma: «Chi mette in dubbio che la chiesa dei gentili non dovrebbe in qualche modo sostenere Israele, popolo e stato, farebbe bene a meditare Romani 15,25-27».

     Questa frase mi ha sorpreso. Se non ho capito male, la colletta annunciata da Paolo in Rom 15,25-27 sarebbe un modo per giustificare il sostegno economico d’Israele, ma questo mi sembra abbastanza fuori contesto. Paolo aveva raccolto una colletta straordinaria a causa della carestia che s’era verificata. È lo stesso storico Giuseppe Flavio che ci conferma le pesanti congiunture economiche che la crisi riversò in Israele durante il biennio 45-46 d.C. E il fatto che i discepoli avessero messo i beni in comune, è sintomo della radicale povertà nella quale vivevano alcune persone. Come non notare poi che tale colletta era rivolta «ai poveri che sono tra i santi di Gerusalemme» (v. 26) e non a tutta la nazione d’Israele? Certamente siamo in debito nei confronti dei dottori, degli evangelisti, degli apostoli, che uscirono da Gerusalemme e annunciarono il Vangelo di Cristo agli stranieri, ma questo non vuol dire un sostegno economico alla nazione d’Israele. Questo sarebbe confermato dal fatto che Giacomo, Cefa e Giovanni diedero la mano a Paolo e Barnaba perché andassero tra gli stranieri e, come ricordò Paolo, «soltanto ci raccomandarono di ricordarci dei poveri come ho sempre cercato di fare» (Gal 2,10). Ricordarsi dei poveri di Gerusalemme (tra i santi) non equivale a un sostegno economico allo stato o al popolo che dir si voglia.

     Concludo dicendo che il mio pensiero è d’amore verso Israele perché «ho una grande tristezza e una sofferenza continua nel mio cuore» (anche se non come Paolo), perché il popolo che più di tutti si trovava vicino a Dio, è ora immerso nella cecità e nella ostinatezza delle proprie tradizioni che continuano, direttamente o indirettamente, ad annullare la Parola di Dio.

     Naturalmente non è questo un giudizio né un avversione verso il fratello Rinaldo. Sono pronto al dialogo e al confronto fraterno quale mezzo di crescita davanti alle Scritture.

 

 

5. {Nicola Martella}

 

Oltre a quanto ha detto il lettore precedente, faccio solo qualche ulteriore appunto a quanto ha detto Rinaldo Diprose, che ringrazio per il contributo. Ammetto che non tutte le questioni introdotte da lui siano del tutto chiare. Ad esempio, egli afferma: «Scorgo un elemento, forse inconsapevole di “teologia della sostituzione” al contrario»; egli premette che tale lettore lo capisca, e così facciano anche gli altri. Se la cosiddetta «teologia della sostituzione» insegna che la chiesa abbia sostituito Israele (cosa che il gestore di questo sito non condivide), una tale dottrina «al contrario» indicherebbe di logica che Israele ha sostituito la chiesa (!?). Anche la precisazione, che segue, non chiarisce tale arcano: «Mi riferisco all’uso che fa del termine “ebrei cristiani”». Il lettore intendeva qui Giudei / Ebrei divenuti cristiani.

     Ammetto di essere rimasto di stucco riguardo all’espressione «molti sedicenti evangelici», visto che Rinaldo la usa per indicare coloro che non condividono l’equiparazione fra il popolo storico e l’attuale Stato d’Israele. Egli dà a intendere quanto segue: 1. Esistono «sedicenti evangelici»; 2. Tali falsi evangelici sono molti; 3. Sono tali tutti coloro che distinguono fra popolo storico e attuale Stato d’Israele. Mi sembrerebbe abbastanza grave, se pensasse veramente così.

     Condivido quanto detto da Giampaolo sull’ultima frase del contributo di Rinaldo. In Romani 15,25-27 non si parla di un obbligo verso la nazione d’Israele, ma verso i santi, ossia i credenti giudei. Tant’è vero che i discepoli fra i Gentili non mandarono tale sovvenzione una tantum ai sacerdoti del tempio, ai notabili del Sinedrio o delle sinagoghe, ma agli anziani (At 11,30) — essendo una «sovvenzione per i fratelli che abitavano in Giudea» (At 11,29), ossia «per i santi» (Rm 15,25.31; 2 Cor 8,4; 9,1). [ L’obbligo gentile verso i cristiani giudaici; Hanno i cristiani un ministero per la nazione d’Israele?]

 

 

6. {Antonio Capasso}

 

Confermo al fratello Diprose (che stimo molto come studioso), che il mio intervento non era di natura polemica. È vero che ho letto intorno ai giudei messianici cose negative, addirittura d’alcuni che non credono alla divinità di Gesù. Sono certo che non è il caso dell’EDIPI. Anch’io non condivido la teologia della sostituzione, neanche in senso contrario. Credo che riguardo all’espressione «ebrei cristiani», anche se imprecisa, si capisca cosa intendevo dire. Sono pienamente d’accordo con quello che ha scritto il fratello Natale. Spero che il fratello Diprose spieghi meglio il suo pensiero. {18 dicembre 2008}

 

 

7. {Rinaldo Diprose}

 

Chiarisco il mio pensiero riguardo al sostegno d’Israele con due esempi.

     ■ 1. Io e Eunice (mia moglie) siamo stati i tramite (da parte d’un gruppo che prega per Israele) d’un sostegno economico notevole di un’opera evangelistica portata avanti da un ebreo-messianico di Gerusalemme che serve il Signore in questo modo da 50 anni (provvedendo personalmente per il proprio sostegno), pubblicando e regalando una media di 150.000 Bibbie e libri in varie lingue (ma principalmente ebraico) ogni anno;

     ■ 2. Quando siamo stati in Israele l’anno scorso, dietro invito, abbiamo consegnato un aiuto economico a due fratelli responsabili. Tale sostegno era destinato, in egual misura, ad arabo-cristiani poveri e ebrei-messianici poveri.

 

Confermo la mia convinzione che Dio lavora con i processi storici e che, quindi, parlare di Israele significa, oggi, parlare sia del popolo eletto (che Dio si è creato) sia d’uno stato sovrano (non è ancora il regno messianico, beninteso).

     L’espressione «teologia della sostituzione al contrario» era infelice e imprecisa. Mi riferivo alla convinzione che un ebreo che si converte al Messia debba annullare la propria ebraicità (convinzione che, nella storia, ha prodotto l’obbligo, per decreto, di sconfessare formalmente ogni sembianza di cultura ebraica per poter essere considerato «cristiani», si veda, ad esempio, le decisioni del VII Concilio di Nicea, 787). {19 dicembre 2008}

 

 

8. {Gianni Siena}

 

Contributo: Chi crede in Cristo non è soggetto ai costumi giudaici. Già l’apostolo Paolo aveva predicato questo e noi «gojim» siamo entrati a pieno titolo nel popolo di Dio per la fede nel Messia Gesù; come illustrano gli episodi di Samaria e in casa di Cornelio: chiunque crede, è rigenerato dallo Spirito di Cristo ed è chiamato a far parte del suo Corpo, senza nessun’altra condizione che restare in comunione con Lui.

     Che i Giudei convertiti avvertano il bisogno di «ricuperare» le proprie radici e «ricucire» lo strappo spirituale tra giudaismo e chiesa... «ben venga»! Nessuno, però, costringa i non ebrei a «giudaizzare», anche questo è chiaramente scritto nel Nuovo Testamento. Dunque? Niente «feste», usi e costumi giudaici «obbligatori» nella chiesa: circoncisione o mangiare kasher. Ma un senso di vera fratellanza che abbracci tutti i credenti e senza risuscitare fantasmi di duemila anni fa, quando i farisei volevano obbligare i nuovi convertiti all’osservanza di leggi che nemmeno loro erano stati capaci di praticare.

     Ricordiamoci che l’attuale giudaismo non porterà nulla di buono a coloro che s’ostinano a farlo rivivere senza lo Spirito Santo: ossa che si ricoprono di carne, pelle ma senza la vita di Cristo. Detto questo, ho il più grande rispetto per chi pratica la religione ebrea e non m’è estranea, ma il Figlio di Dio è più grande di Mosè: questa è la peculiarità che rende vivo e immortale il cristianesimo. {19 dicembre 2008}

 

Risposta: Faccio un appunto a ciò che sta sopra, ma solo per completezza. Ricordo che i Gentili cristiani, esercitando la fede in Messia Gesù, sono diventati «in Cristo» progenie d’Abramo (quindi eredi delle promesse; Gal 3,29) e sono entrati a pieno titolo nel popolo di Dio del nuovo patto, senza diventare Israeliti o Giudei mediante la circoncisione, avendo essi sperimentato quella più profonda, del cuore. Ciò vale anche per i Giudei stessi: «Giudeo non è colui che è tale all’esterno; né è circoncisione quella che è esterna, nella carne; ma Giudeo è colui che lo è interiormente; e la circoncisione è quella del cuore, in spirito, non in lettera; d’un tale Giudeo la lode procede non dagli uomini, ma da Dio» (Rm 2,28s). I cristiani gentili sono diventati «concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio» (Ef 2,19); questi ultimi non sono tutti gli Israeliti, ma solo i Giudei che credono che Gesù sia il Messia (Rm 9,6s). Fra i seguaci di Gesù Messia, Giudei e Gentili hanno «accesso al Padre in un medesimo Spirito» (Ef 2,18). Ed è questo che fa la differenza fra il popolo di Dio del nuovo patto e il popolo storico d’Israele. Sebbene Dio abbia in serbo ancora un piano per quest’ultimo alla fine dei tempi, non bisogna confonderlo col popolo di Dio del nuovo patto, per il quale non c’è attualmente un passaporto unico sulla terra né una capitale unica all'interno di uno Stato teocratico, ma la cui patria è la «Gerusalemme di sopra» (Gal 4,26). {Nicola Martella}

 

 

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Giudaico-messianici ed etero-cristiani {Giampaolo Natale - Nicola Martella} (A)

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/T1-Costumi_cristiani-giudaici_GeR.htm

17-12-2008; Aggiornamento: 23-01-2009

 

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