L'articolo «Falsi
maestri fra i giudeo-messianici odierni» ha indotto un lettore
a visitare il sito di
Edipi
(Evangelici d’Italia per Israele) e a chiedere intorno ai costumi dei Giudei
cristiani; si veda in merito il primo contributo. Di per sé il tema connesso a
tale articolo è il seguente: «Falsi
maestri fra i giudeo-messianici odierni? Parliamone».
Poiché però le sue richieste di chiarimento vanno di là dalla questione
specifica, mettiamo qui questa discussione parallela.
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre
esperienze, idee e opinioni?
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I contributi sul
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sottostante
1.
{Antonio Capasso} ▲
Caro fratello in Cristo, vorrei parteciparti le mie perplessità intorno al
movimento dei Giudei messianici. Perplessità che mi trovo a vivere da solo,
visto che molti dei miei fratelli in Cristo non le hanno. Te li comunico anche
in virtù dell’articolo letto sul tuo sito dal titolo «Falsi maestri fra i giudeo
messianici odierni».
Tu definisci l’EDIPI un’associazione più sobria. Sono andato sul sito di questa
associazione e sono rimasto molto perplesso delle cose che ho visto nelle foto e
nel linguaggio. Per esempio, come mai i fratelli ebrei cristiani pregano con
quel cappellino (non ricordo come si chiama) in testa? Non dice la Bibbia che
l’uomo che prega con il capo coperto, disonora Cristo? Perché durante la
preghiera si suona lo shofar? Viene definito parte integrante della preghiera?
Perché le danze? Perché celebrare la festa delle capanne? Perché questo appoggio
politico incondizionato a Israele? Perché pregare per la pace di Gerusalemme? È
scritto questa richiesta di preghiera nel Nuovo Testamento? Non bisogna pregare
per la pace di tutto il mondo? Tutto questo fatto poi da credenti Italiani e
Ebrei. Scusami di tante domande, ma è solo desiderio di capire. Un saluto nel
Signore. {15 dicembre 2008}
2.
{Nicola Martella} ▲
Ritengo comunque l’Edipi una delle associazioni più sobrie fra «gli amici
d’Israele», di là se io condivida o meno tutto ciò che essa promuove. Chiederò a
loro di rispondere, intanto ecco alcune mie precisazioni su quanto da te
chiesto.
Il
copricapo, che gli Ebrei osservanti mettono durante preghiere e riti, si
chiama «kippà». Nel nuovo patto Paolo ordinò ai credenti maschi, che pregano e
profetizzano (parlano pubblicamente, partendo da un brano della sacra Scrittura,
per edificare, esortare e consolare; 1 Cor 14,3.29-32), che devono farlo a capo
scoperto per onorare il loro capo, cioè Cristo (1 Cor 11,4). Di ciò ho parlato
nell’articolo «La donna in 1 Corinzi 11»,
Generi e ruoli 2
(Punto°A°Croce, Roma 1996), pp. 9-27.
Sulle danze
nelle chiese ho preso posizione in diversi articoli su questo sito, ad esempio:
«La
danza è l’obiettivo santo di Dio?»; sugli aspetti
giudaici, vedi il confronto con
Argentino Quintavalle in «Danze
giudaiche, ecclesiali e carismatiche».
Riguardo all’appoggio politico incondizionato a Israele, rimando nel
libro Escatologia fra legittimità e abuso.
Escatologia 2 (Punto°A°Croce,
Roma 2007), ai seguenti articoli: «Cieco sostegno politico a Israele», pp.
252-257; «Israele automaticamente vicino a Dio?», pp. 258-262.
Devo ammettere che nel NT non vengono mai comandate le seguenti cose ai
credenti del nuovo patto: suonare lo shofar in concomitanza con la preghiera o
un atto cultuale, celebrare la festa delle capanne o pregare per la pace di
Gerusalemme; inoltre al Concilio di Gerusalemme non vennero imposte ai
cristiani gentili (At 15). Tuttavia se si suonano altri strumenti, si può
suonare anche lo shofar senza che gli si dia un carattere «sacramentale».
È comandato di
pregare per tutti gli uomini (1 Tm 2,1ss), quindi anche per i Giudei, per
i quali Paolo era in apprensione (Rm 9,1ss). Pregare per la pace di Gerusalemme
era certamente legittimo all’interno della teocrazia d’Israele, essendo la
capitale di un regno e il luogo del santuario (Sal 122). La patria però della
gente del nuovo patto, Giudei e Gentili, è un’altra Gerusalemme, quella celeste
(Eb 12,22s). Si fa meglio a pregare per la salvezza dei Giudei. {Nicola
Martella}
3. {Rinaldo Diprose} ▲
Un sito web ha grandi limiti come
mezzo di comunicazione e non solo quello dell’EDIPI. Per esempio un sito web non
mi permette di conoscere il fratello Antonio, se non come uno che scrive in ciò
che mi sembra una vena polemica. Ma forse no, può darsi che sia stato a contatto
con forme d’insegnamento (sia giudaico che non-giudaico) che lo hanno lasciato
insoddisfatto. Ecco perché tenterò di rispondergli, sperando di dargli qualche
spunto di riflessione che avrà modo d’approfondire.
Innanzitutto faccio osservare che di «falsi maestri» se ne trovano a migliaia
anche fra i «cristiani
non-giudaici», quindi l’esistenza di qualche «falso maestro» fra i
«Giudei messianici» non dovrebbe sorprenderci. Intanto è bene ricordare che i
Giudei messianici, a partire dagli apostoli, ci hanno arricchito in modo
insostituibile.
Nelle
domande: «Come mai i fratelli ebrei cristiani pregano con quel cappellino
(non ricordo come si chiama) in testa?
Non dice la Bibbia che l’uomo che prega con il capo coperto, disonora Cristo?».
Scorgo un elemento, forse inconsapevole di «teologia della sostituzione» al
contrario. Mi riferisco all’uso che fa del termine «ebrei cristiani».
Ovviamente dovrebbero essere loro a rispondere alla prima di queste domande.
Intanto la seconda domanda mi ha fatto venire in mente subito un’altra: «Come
mai in molte chiese evangeliche le sorelle pregano senza velarsi?». Così
facendo ignorano, anche loro, l’insegnamento di Paolo in 1 Corinzi 11.
Evidentemente non è un peccato capitale: per gli uomini mettere il kippà
e per la donne non velarsi affatto (anche se sono personalmente d’accordo che
gli uomini, che sono entrati a far parte del nuovo patto, dovrebbero manifestare
la libertà acquisita con Dio pregando a capo scoperto, e sono contento che mia
moglie trova normale velarsi quando prega pubblicamente).
Personalmente ho portato il
kippà soltanto in occasione di visitare
qualche sinagoga o ambiente ebraico in un tempo
di festa; anche Antonio dovrebbe farlo se gli capitasse d’entrare in una
sinagoga, cosa che l’apostolo Paolo e altri come lui
facevano regolarmente, rispettando tutte le usanze.
«Perché
durante la preghiera si suona lo shofar? Viene definito parte integrante
della preghiera?».
Che io sappia (e includo qui tutti i Raduni dell’EDIPI) non si suona lo
shofar mentre si prega. Ma francamente non vedo niente di male nel
suonare un organo, una chitarra, una cetra, o uno shofar o altro tipo di tromba
durante un culto. È vero che lo stile «quacchero» ha influito sulle forme del
culto d’adorazione in certi ambienti evangelici legati in qualche modo con
l’ambiente inglese, ma ciò non è un pregio; è semplicemente un incidente storico
di tipo culturale.
«Perché
le danze? Perché celebrare la festa delle capanne? Perché questo
appoggio politico incondizionato a Israele? Perché pregare per la pace di
Gerusalemme? È scritto questa richiesta di preghiera nel Nuovo Testamento?».
Parto dall’ultima di queste domande: Forse è sfuggito al
fratello Antonio che nel periodo descritto in
Atti la Bibbia, che veniva letta e studiata negli
incontri di chiesa, era quello che i discepoli di Gesù provenienti dal
paganesimo chiamano Antico Testamento. Il danzare, celebrare la festa delle
capanne e la preghiera per la pace di Gerusalemme sono tutte previste in queste
Scritture. Nell’importante incontro avvenuto a Gerusalemme, descritto in Atti
15,5-35, lo Spirito Santo guidò i Dodici, gli anziani della chiesa di
Gerusalemme, Barnaba, Paolo e altri rappresentanti della chiesa d’Antiochia, a
comprendere che l’ubbidienza alla legge non contribuisce nulla alla salvezza e
che, anche dopo aver creduto, i pagani che ubbidiscono a Dio non devono mettersi
sotto legge. Ne consegue che non sono obbligati a celebrare la festa delle
capanne come richiesto in Deuteronomio 16,16 (cosa che, invece, diventerà
obbligatorio per le nazioni durante il regno messianico, Zac 14,16-17). In
Romani 14,1-12 l’apostolo Paolo mette la celebrazione degli appuntamenti di Dio
fissati nella legge mosaico in termini di «non-obbligatorietà», facendo
comprendere che era cosa normale per i Giudei messianici esprimere il loro amore
per Dio ricordando i suoi prodigi nei modi indicati dalla legge (Salmo 111,4;
cfr. il comportamento di Paolo: At 20,16; 21,20-26; 1 Cor 9,19-23).
Quanto
alla politica, nei raduni dell’EDIPI non ho sentito un appoggio politico
incondizionato
a Israele; si sa che il parlamento israeliano è l’una sede nella regione
medio-orientale in cui un governo fa auto-critica. Così anche noi, come i
profeti d’Israele, siamo liberi di mettere in discussione le sue decisioni.
D’altra parte il tentativo di molti sedicenti evangelici di scindere fra
Israele, nazione eletta, e lo stato d’Israele, ignora il fatto che le radici del
sionismo si trovano nelle profezie dell’Antico Testamento. Dio continua a
servirsi dei processi storici per compiere i suoi piani. A questo proposito
suggerisco che Antonio
chieda all’EDIPI che gli venga
inviato una copia del mio libretto intitolato «Gli effetti della teologia
della sostituzione». Chi mette in dubbio che la chiesa dei gentili
non dovrebbe in qualche modo sostenere Israele, popolo e stato, farebbe bene a
meditare Romani 15,25-27. {17-12-2008; Rinaldo Diprose è membro del
consiglio dell'Edipi}
4. {Giampaolo Natale} ▲
Ho potuto leggere
l’intervento del fratello Rinaldo Diprose, che stimo non solo come fratello ma
anche come studioso. Vorrei tuttavia far notare alcune osservazioni che vengono
fuori dal suo testo e che mi sembrano un po’ azzardate… o forse sono solo da
precisare.
1. S’afferma che «era cosa normale per i Giudei messianici esprimere il loro
amore per Dio ricordando i suoi prodigi nei modi indicati dalla legge»
e si vorrebbe (se non ho capito male) in tal modo giustificare i
giudei-messianici che ancora oggi osservano tali solennità in quanto
sarebbero liberi di farlo.
Questo però non tiene in considerazione che all’epoca delle lettere paoline il
tempio non era ancora stato distrutto e questa era una condizione essenziale per
l’osservanza delle suddette solennità. Ogni festa prescriveva delle offerte e
necessiterebbe della ricostituzione di tutto l’apparato sacerdotale levita.
Sappiamo infatti che si andava dal semplice covone d’orzo della festa delle
primizie a quello dei sacrifici d’animali (ad es. per la ricorrenza delle
espiazioni). Ma noi sappiamo che «dicendo “un nuovo patto”, egli ha reso
antico il primo, or quello che diventa antico e invecchia, è vicino a essere
annullato» (Ebrei 8,13). L’autore della lettera agli Ebrei (67-69 d.C. la
redazione) comprese quindi, qualche anno prima della distruzione del tempio, che
il sacerdozio levitico era prossimo a scomparire, perché Gesù aveva introdotto
il nuovo patto nel suo sangue. Vero è che Paolo non vietò ai Giudei d’osservare
la Legge, ma è altrettanto vero che disse ai Galati: «Voi osservate giorni e
mesi e stagioni e anni Io temo, d’essermi affaticato invano per voi» (Galati
4,10)
e giudicava tutto il suo passato nella tradizione ebraica come tanta
spazzatura di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo (Fil 3,8). A
questo aggiungiamo che se gli Ebrei messianici volessero osservare queste
solennità come un semplice modo per «esprimere il loro amore per Dio»
(cito testualmente), dovrebbero tener presente che queste presentavano
Cristo e vanno interpretate in senso cristologico così come tutta legge, i
profeti e i salmi. (Luca 24,44). Cristo è il mistero dell’antico patto che è
stato rivelato nel nuovo. Si può dunque «osservare tali solennità solo tenendo
presenti questi importanti accorgimenti.
2. S’afferma: «Chi mette in dubbio che la chiesa dei gentili non dovrebbe in
qualche modo sostenere Israele, popolo e stato, farebbe bene a meditare
Romani 15,25-27».
Questa frase mi ha sorpreso. Se non ho capito male, la colletta annunciata da
Paolo in Rom 15,25-27 sarebbe un modo per giustificare il sostegno economico
d’Israele, ma questo mi sembra abbastanza fuori contesto. Paolo aveva raccolto
una colletta straordinaria a causa della carestia che s’era verificata. È
lo stesso storico Giuseppe Flavio che ci conferma le pesanti congiunture
economiche che la crisi riversò in Israele durante il biennio 45-46 d.C. E il
fatto che i discepoli avessero messo i beni in comune, è sintomo della radicale
povertà nella quale vivevano alcune persone. Come non notare poi che tale
colletta era rivolta «ai poveri che sono tra i santi di Gerusalemme»
(v. 26) e non a tutta la nazione d’Israele? Certamente siamo in debito nei
confronti dei dottori, degli evangelisti, degli apostoli, che uscirono da
Gerusalemme e annunciarono il Vangelo di Cristo agli stranieri, ma questo non
vuol dire un sostegno economico alla nazione d’Israele. Questo sarebbe
confermato dal fatto che Giacomo, Cefa e Giovanni diedero la mano a Paolo e
Barnaba perché andassero tra gli stranieri e, come ricordò Paolo, «soltanto
ci raccomandarono di ricordarci dei poveri come ho sempre cercato di fare»
(Gal 2,10).
Ricordarsi dei poveri di Gerusalemme (tra i santi) non equivale a un sostegno
economico allo stato o al popolo che dir si voglia.
Concludo dicendo che il mio pensiero è d’amore verso Israele perché «ho una
grande tristezza e una sofferenza continua nel mio cuore» (anche se non come
Paolo), perché il popolo che più di tutti si trovava vicino a Dio, è ora immerso
nella cecità e nella ostinatezza delle proprie tradizioni che continuano,
direttamente o indirettamente, ad annullare la Parola di Dio.
Naturalmente non è questo un giudizio né un avversione verso il fratello
Rinaldo. Sono pronto al dialogo e al confronto fraterno quale mezzo di crescita
davanti alle Scritture.
5. {Nicola Martella} ▲
Oltre a quanto ha detto il
lettore precedente, faccio solo qualche ulteriore appunto a quanto ha detto
Rinaldo Diprose, che ringrazio per il contributo. Ammetto che non tutte le
questioni introdotte da lui siano del tutto chiare. Ad esempio, egli afferma:
«Scorgo un elemento, forse inconsapevole di “teologia della sostituzione” al
contrario»; egli premette che tale lettore lo capisca, e così facciano anche
gli altri. Se la cosiddetta «teologia della sostituzione» insegna che la chiesa
abbia sostituito Israele (cosa che il gestore di questo sito non condivide), una
tale dottrina «al contrario» indicherebbe di logica che Israele ha sostituito la
chiesa (!?). Anche la precisazione, che segue, non chiarisce tale arcano: «Mi
riferisco all’uso che fa del termine “ebrei cristiani”». Il lettore
intendeva qui Giudei / Ebrei divenuti cristiani.
Ammetto di essere rimasto di stucco riguardo all’espressione «molti sedicenti
evangelici», visto che Rinaldo la usa per indicare coloro che non condividono
l’equiparazione fra il popolo storico e l’attuale Stato d’Israele. Egli dà a
intendere quanto segue: 1. Esistono «sedicenti evangelici»; 2. Tali falsi
evangelici sono
molti; 3. Sono tali tutti coloro che distinguono fra popolo storico e
attuale Stato d’Israele. Mi sembrerebbe abbastanza grave, se pensasse veramente
così.
Condivido quanto detto da Giampaolo sull’ultima frase del contributo di Rinaldo.
In Romani
15,25-27
non si parla di un obbligo verso la nazione d’Israele, ma verso i santi, ossia i
credenti giudei. Tant’è vero che i discepoli fra i Gentili non mandarono tale
sovvenzione una tantum ai sacerdoti del tempio, ai notabili del Sinedrio o delle
sinagoghe, ma agli anziani (At 11,30) — essendo una «sovvenzione per i
fratelli che abitavano in Giudea» (At 11,29), ossia «per i santi» (Rm
15,25.31; 2 Cor 8,4; 9,1). [►
L’obbligo gentile verso i cristiani giudaici;
►
Hanno i cristiani un ministero per la nazione d’Israele?]
6.
{Antonio Capasso} ▲
Confermo al fratello Diprose
(che stimo molto come studioso), che il mio intervento non era di natura
polemica. È vero che ho letto intorno ai giudei messianici cose negative,
addirittura d’alcuni che non credono alla divinità di Gesù. Sono certo che non è
il caso dell’EDIPI. Anch’io non condivido la teologia della sostituzione,
neanche in senso contrario. Credo che riguardo all’espressione «ebrei
cristiani», anche se imprecisa, si capisca cosa intendevo dire. Sono pienamente
d’accordo con quello che ha scritto il fratello Natale. Spero che il fratello
Diprose spieghi meglio il suo pensiero. {18
dicembre 2008}
7.
{Rinaldo Diprose} ▲
Chiarisco il mio
pensiero riguardo al sostegno d’Israele con due esempi.
■ 1. Io e Eunice (mia moglie) siamo stati i tramite (da parte d’un gruppo che
prega per Israele) d’un sostegno economico notevole di un’opera evangelistica
portata avanti da un ebreo-messianico di Gerusalemme che serve il Signore in
questo modo da 50 anni (provvedendo personalmente per il proprio sostegno),
pubblicando e regalando una media di 150.000 Bibbie e libri in varie lingue (ma
principalmente ebraico) ogni anno;
■ 2. Quando siamo stati in Israele l’anno scorso, dietro invito, abbiamo
consegnato un aiuto economico a due fratelli responsabili. Tale sostegno era
destinato, in egual misura, ad arabo-cristiani poveri e ebrei-messianici poveri.
Confermo la mia
convinzione che Dio lavora con i processi storici e che, quindi, parlare di
Israele significa, oggi, parlare sia del popolo eletto (che Dio si è creato)
sia d’uno stato sovrano (non è ancora il regno messianico, beninteso).
L’espressione «teologia della sostituzione al contrario» era infelice e
imprecisa. Mi riferivo alla convinzione che un ebreo che si converte al Messia
debba annullare la propria ebraicità (convinzione che, nella storia, ha prodotto
l’obbligo, per decreto, di sconfessare formalmente ogni sembianza di cultura
ebraica per poter essere considerato «cristiani», si veda, ad esempio, le
decisioni del VII Concilio di Nicea, 787). {19 dicembre 2008}
8.
{Gianni Siena} ▲
■
Contributo: Chi crede in Cristo non è soggetto ai costumi giudaici. Già
l’apostolo Paolo aveva predicato questo e noi «gojim» siamo entrati a pieno
titolo nel popolo di Dio per la fede nel Messia Gesù; come illustrano gli
episodi di Samaria e in casa di Cornelio: chiunque crede, è rigenerato dallo
Spirito di Cristo ed è chiamato a far parte del suo Corpo, senza nessun’altra
condizione che restare in comunione con Lui.
Che i Giudei convertiti avvertano il bisogno di
«ricuperare» le proprie radici e «ricucire» lo strappo spirituale tra giudaismo
e chiesa... «ben venga»! Nessuno, però, costringa i non ebrei a «giudaizzare»,
anche questo è chiaramente scritto nel Nuovo Testamento. Dunque? Niente «feste»,
usi e costumi giudaici «obbligatori» nella chiesa: circoncisione o mangiare
kasher. Ma un senso di vera fratellanza che abbracci tutti i credenti e senza
risuscitare fantasmi di duemila anni fa, quando i farisei volevano obbligare i
nuovi convertiti all’osservanza di leggi che nemmeno loro erano stati capaci di
praticare.
Ricordiamoci che l’attuale giudaismo non porterà nulla
di buono a coloro che s’ostinano a farlo rivivere senza lo Spirito Santo: ossa
che si ricoprono di carne, pelle ma senza la vita di Cristo. Detto questo, ho il
più grande rispetto per chi pratica la religione ebrea e non m’è estranea, ma il
Figlio di Dio è più grande di Mosè: questa è la peculiarità che rende vivo e
immortale il cristianesimo. {19 dicembre 2008}
▬
Risposta: Faccio un appunto a ciò che sta sopra, ma solo per
completezza. Ricordo che i Gentili cristiani, esercitando la fede in Messia
Gesù, sono diventati «in Cristo» progenie d’Abramo (quindi eredi delle promesse;
Gal 3,29) e sono entrati a pieno titolo nel popolo di Dio del nuovo patto,
senza diventare Israeliti o Giudei mediante la circoncisione, avendo essi
sperimentato quella più profonda, del cuore. Ciò vale anche per i Giudei stessi:
«Giudeo non è colui che è tale all’esterno; né è circoncisione quella che è
esterna, nella carne; ma Giudeo è colui che lo è interiormente; e la
circoncisione è quella del cuore, in spirito, non in lettera; d’un tale Giudeo
la lode procede non dagli uomini, ma da Dio» (Rm 2,28s). I cristiani gentili
sono diventati «concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio»
(Ef 2,19); questi ultimi non sono tutti gli Israeliti, ma solo i Giudei che
credono che Gesù sia il Messia (Rm 9,6s). Fra i seguaci di Gesù Messia, Giudei e
Gentili hanno «accesso al Padre in un medesimo Spirito» (Ef 2,18). Ed è
questo che fa la differenza fra il popolo di Dio del nuovo patto e il
popolo storico d’Israele. Sebbene Dio abbia in serbo ancora un piano per
quest’ultimo alla fine dei tempi, non bisogna confonderlo col popolo di Dio del
nuovo patto, per il quale non c’è attualmente un passaporto unico sulla
terra né una capitale unica all'interno di uno Stato teocratico, ma la cui
patria è la «Gerusalemme di sopra» (Gal 4,26). {Nicola Martella}
9.
{} ▲
10.
{} ▲
11.
{} ▲
12.
{} ▲
►
Giudaico-messianici ed etero-cristiani
{Giampaolo
Natale - Nicola Martella}
(A)
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_Den/T1-Costumi_cristiani-giudaici_GeR.htm
17-12-2008; Aggiornamento:
23-01-2009
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