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TRE DETTAGLI RIVELATORI SU PAPA GIOVANNI XXIII

 Sotto l’apparenza del «Papa buono» c’erano finezza rivoluzionaria e profondità storica

 

 di Desiderio Bereani

 

1. Introduzione

2. Giovanni XXIII: già il nome dice molto

3. Le «cattive compagnie» del seminarista Roncalli

4. Recuperare gli «eretici» salvando la tradizione

5. Incredibile, ma attendibile

6. Niente «morale della favola»

 

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1.  INTRODUZIONE: C’è una grande sproporzione fra l’impressione di «semplicità» che si ha di papa Roncalli e la profondità dei cambiamenti che ha portato nella chiesa cattolica in soli cinque anni di pontificato (1958-63). È comunemente indicato come il «Papa buono», che conservava ancora i modi e la bonarietà del parroco di campagna, di quel mondo contadino dal quale proveniva. Qualcuno arriva a pensare che la rivoluzione da lui portata nel cattolicesimo sia frutto della sua ingenuità, piuttosto che di una strategia precisa: avrebbe cioè aperto una specie di «vaso di Pandora», senza rendersi ben conto delle conseguenze di ciò che andava facendo.

     Una sua decisione fu di diffondere la Parola di Dio, incoraggiandone la traduzione in italiano e la pubblicazione in edizioni economiche. Per questo, mentre ero ancora giovane, trovai in una chiesa cattolica il testo dell’Evangelo la cui lettura mi colpì profondamente, facendomi giungere poi al traguardo di una «nuova nascita». Un po’ per questi motivi personali, un po’ perché anch’io vengo dal mondo contadino, è successo che — pur essendo approdato al protestantesimo — ho via via provato una simpatia crescente per papa Roncalli.

     Non sono uno storico né un teologo, ma nel corso degli ultimi anni sono venuto casualmente a conoscenza di tre suoi «dettagli» biografici che mi hanno fatto vedere in una luce nuova Angelo Roncalli: aveva un rassicurante volto alla «Mister Hyde», ma dentro coltivava un progetto sconvolgente che rimanda a una sorta di benevolo «Dottor Jekyll». Ho letto questi tre dettagli su materiale pubblicato, perciò non si può parlare di «segreti», ma siccome vengono sistematicamente taciuti nelle popolari descrizioni del «Papa buono», allora è come se lo fossero. Se sono particolari così importanti, perché vengono taciuti? Intanto è meglio raccontarveli, poi potrete voi stessi farvi un’idea dei motivi.

 

 

2.  GIOVANNI XXIII: GIÀ IL NOME DICE MOLTO: Quando un qualsiasi eletto a papa sceglie il nome non lo fa certo a caso e, a ben interpretarlo, contiene già il programma che il neo-eletto si prefiggeÈ poi il papa stesso, col suo operato, che renderà sempre più chiaro il significato che aveva voluto dare alla scelta di quel particolare nome.

     Fino al 1334 (anno della morte di papa Giovanni XXII), quel nome era stato di gran lunga il più gettonato, dato che col secondo nome più scelto (Benedetto) si era arrivati appena alla metà (Benedetto XI). In seguito e per più di sei secoli, invece, stranamente nessun papa aveva preso più il nome di Giovanni: forse perché c’era qualche problema di numerazione, essendoci stato un Giovanni XXIII eletto nel 1410, durante il cosiddetto Grande Scisma, e poi deposto, sulla legittimità del quale non era tutto chiaro. Questo Giovanni XXIII del passato era stato l’ultimo esponente del cosiddetto «Movimento conciliare» che, secondo Indro Montanelli, portò «l’assalto alla struttura autoritaria della Chiesa», cercando di restituirla «alla "Comunità dei fedeli" senza distinzione fra laici ed ecclesiastici». Montanelli si chiese poi cosa avesse in testa Roncalli quando scelse il nome di Giovanni XXIII: «Una riabilitazione di quel suo lontano predecessore o l’intenzione di riprendere il programma, quello di un Concilio che correggesse la struttura piramidale e autoritaria della Chiesa? Non lo so. Ma fatto sta che poco dopo l’ascesa al Soglio, annunciò il Concilio».[1]

     Insomma, Roncalli riprese il nome e il programma dell’ultimo esponente del «Movimento conciliare», affermando così che gli sconfitti di sei secoli prima non avevano tutti i torti.

 

 

3.  LE «CATTIVE COMPAGNIE» DEL SEMINARISTA RONCALLI: Il senatore Giulio Andreotti è stato per mezzo secolo uno dei maggiori esponenti della Democrazia Cristiana e dei governi della cosiddetta «prima Repubblica». È pure noto come sia stato sempre a suo agio in Vaticano, stabilendo buone relazioni personali con vari papi, fra i quali appunto Roncalli, sul quale ha scritto qualcosa per noi molto interessante.

     In un suo libro Andreotti parla di quattro seminaristi che, come ha raccontato un anziano sorvegliante della chiesa, all’inizio del ‘900 «andavano tutte le sere a fare la visita al Sacramento — come allora si diceva — con una puntualità tale da poterci regolare gli orologi. Terminata la loro silenziosa preghiera si trattenevano a lungo all’esterno discorrendo tra di loro con una certa animazione».[2]

     Andreotti se ne è interessato perché uno dei quattro, don Giulio Belvederi, era zio di sua moglie. Ha deciso di scriverci un libro non solo per onorare lo zio, ma anche il più noto don Ernesto Buonaiuti, ambedue considerati come ingiustamente perseguitati dalla curia romana: verso Belvederi non si arrivò però alla scomunica, mentre a Buonaiuti gli fu comminata quella più severa. Anche un altro componente del quartetto, cioè lo storico don Alfonso Manaresi, fu messo sotto pressione dall’Inquisizione, ma la pratica si interruppe perché preferì abbandonare lo stato sacerdotale e così proseguire i suoi studi in libertà.

     Il quarto seminarista di questo gruppetto di irrequieti era proprio il nostro Angelo Roncalli! Dei quattro è stato quello più prudente, ma molte delle giovanili convinzioni, seppur nascoste dalla prudenza e dall’atteggiamento di obbedienza alla gerarchia, continuarono a essere presenti nel suo animo e, una volta divenuto papa, le espresse liberamente. Ciò è confermato da Andreotti, che fu ricevuto in udienza il 22 gennaio 1962: «Era naturale che in quell’occasione il Papa ci parlasse del suo vecchio amico Belvederi (zio di mia moglie), morto nel settembre 1959. Come ho già accennato, era andato a trovarlo di persona durante la malattia e si era recato anche a visitarne la tomba in Sabina. Rievocò alcuni «trascorsi giovanili comuni» e mi invitò a ricercare tra le carte di Belvederi se c’erano note e appunti relativi a un certo momento molto importante per la Chiesa. In quel periodo controverso, qualcuno — e citò Buonaiuti e Manaresi — andò “oltre il seminato”; ma molte delle anticipazioni di allora erano poi divenute feconde realtà. Il Concilio le avrebbe costituzionalizzate. Il Concilio? Con tre giorni di anticipo il Papa ci mise a parte dell’annuncio che avrebbe dato il 25 gennaio; dovevamo però mantenere il segreto».[3]

     Anche diversi anni prima (1949), quando Roncalli era ancora Patriarca a Venezia, Andreotti si era incontrato con lui, portandosi dentro la seguente domanda su Pio X (Giuseppe Sarto), il Papa che aveva condannato il modernismo: «Come si spiegava l’affettuosa venerazione per la memoria di Papa Sarto se nel suo pontificato era stata molto dura la vita per quel gruppo di giovani sacerdoti, assolutamente lineari, ma che si erano illusi di potersi ispirare davvero ai nuovi canoni di ricerca e di studio?». E quella domanda ci fu poi occasione di porgliela: «A un certo punto venne a parlare del suo “grande amico” Giulio Belvederi, attraverso il quale mi aveva contattato, rievocando fervide battaglie giovanili combattute insieme in una Roma difficile. Era il momento. Posi il mio quesito su Pio X, sperando di non creargli fastidio. Nessun segno di imbarazzo. Nella vita di ogni uomo — disse — conta il tracciato spirituale. Giuseppe Sarto, indipendentemente dal riconoscimento solenne sopravvenuto, era un santo integrale. Fare il Papa non è mai facile, ma Pio X si trovò a guidare la Chiesa in una congiuntura tra le più difficili; e fu obbligato, tenendo fermo il timone, anche a infliggere qualche punizione oggettivamente non del tutto meritata».[4]

     Da queste espressioni si può dedurre che Giovanni XXIII è stato un Papa veramente cattolico: cattolico, infatti, significa universale, di tutti, contrapponendosi storicamente a un’impostazione più rigorista che ritroviamo nel Nuovo Testamento e che concepisce la chiesa come fatta non da tutti, ma dai soli eletti. Proprio l’atteggiamento di tolleranza, per esempio, aveva permesso che, nonostante lo scontro aperto da Lutero con Roma (1517), si continuasse ugualmente a discutere, fino al punto che ben 35 anni dopo (1552), durante la seconda fase del Concilio di Trento, furono invitati e si presentarono alcuni teologi protestanti. L’accordo non si trovò e fu l’elezione di papa Paolo IV Carafa (1555) a far prevalere una linea di crescente intransigenza, con un’Inquisizione sempre più invadente, che via via metteva sotto censura quelli che si fossero discostati troppo dalla linea prevalente espressa dal Papa al momento regnante.

     Negli ultimi secoli, insomma, il Cattolicesimo aveva scartato e gettato nei rifiuti ciò che gli era sembrato sul momento inutile, se non negativo. L’esercizio di papa Roncalli, senza rinnegare niente del percorso fin lì fatto dal Cattolicesimo, sembra proprio quello di andare a rovistare nel «magazzino dei rifiuti», convinto che anche nei movimenti a suo tempo repressi c’era qualcosa da salvare. Le vicende degli amici che incontrava nella chiesa «del Gesù» le applicava così anche al lontano passato, cercando una sintesi degli elementi contrapposti.

 

 

4.  RECUPERARE GLI «ERETICI» SALVANDO LA TRADIZIONE: Abbiamo accennato al ripescaggio di elementi del lontanissimo «Movimento conciliare», ma è evidente che Giovanni XXIII ritornò pure alla seconda fase del Concilio di Trento, per riprendere il dialogo lì interrottosi coi protestanti: al Concilio Vaticano II, infatti, furono invitati come osservatori anche autorevoli protestanti (fra i quali lo storico italiano Giorgio Spini), i quali parteciparono attivamente alla stesura di importanti documenti. Fino allora i protestanti erano perlopiù considerati come strumenti del Diavolo, possibilmente da bruciare tutti sui roghi. Papa Roncalli li chiamò invece «fratelli separati» (separati sì, ma pur sempre fratelli in Cristo). Questo atteggiamento generale sfociò anche nell’accettazione concreta di alcune significative proposte di Lutero a suo tempo respinte (diffusione della Parola di Dio in lingua volgare e valorizzazione del laicato, per esempio). Questa apertura ha fatto sì che oggi, a distanza di un cinquantennio, pur essendoci ancora differenze cruciali fra cattolicesimo e protestantesimo storico, c’è un ampio intreccio reciproco, sia fra i comuni fedeli che fra i teologi. Certamente ci sono settori protestanti e settori cattolici che ci tengono a restare nettamente distinti (e ai quali non vogliamo dar torto) ma, per esempio, le case editrici cattoliche pubblicano spesso libri di autori protestanti e perfino le opere di Lutero vi trovano sempre più spazio (qualche autorevole cattolico è arrivato a proporre Lutero come «dottore della Chiesa»!).

     Lo scopo dichiarato del Concilio fu quello di «aggiornare la chiesa». Si sarebbe espresso lo stesso concetto se si fosse detto «modernizzare la chiesa», ma non era evidentemente opportuno richiamare da vicino il movimento modernista ufficialmente condannato, ma dal quale furono ripresi spunti significativi (l’atteggiamento non pregiudizialmente negativo verso il protestantesimo e verso la società moderna, per esempio).

     Dopo il primo millennio, in Occidente, il cristianesimo è stato percorso da numerosi movimenti tendenti a riformarlo: alcuni hanno agito perlopiù dall’interno (per esempio Gioacchino da Fiore, Francesco d’Assisi, Dante Alighieri, Girolamo Savonarola, il Movimento conciliare, Erasmo da Rottedam, il giansenismo, Antonio Rosmini), mentre altri hanno perlopiù cercato di costruire qualcosa di alternativo a Roma (per esempio i Catari, i Valdesi, gli Hussiti, Lutero, Calvino, il puritanesimo anglofono). La reazione di Roma è stata sempre prevalentemente difensiva e, alla lunga, più che accogliere le novità proposte finiva per neutralizzarle, rinforzando la propria identità tradizionale e gerarchica. Tutti espulsi o ridotti a minoranza, insomma. Con Giovanni XXIII era però come se, all’improvviso, i vari innovatori riuscissero ad arrivare stabilmente al comando; diciamo stabilmente, perché lo slancio di Roncalli sconvolse così profondamente il cattolicesimo che nessuno, poi, ebbe forza e volontà di rimettere indietro l’orologio.

     Emerse dunque in Angelo Roncalli una profonda capacità di analisi storica di tutto il percorso fatto dal cattolicesimo in duemila anni, associata a una eccezionale capacità di conciliare gli opposti… e di mettere fuori combattimento con semplicità persone contrarie e scaltre come certi cardinali e certa burocrazia vaticana. Come hanno fatto i tradizionalisti a farsi cogliere di sorpresa e a non trovare il modo di reagire? Evidentemente Roncalli aveva ben valutato anche i meccanismi di governo della chiesa cattolica. E quella semplicità che alcuni scambiano per bonarietà, è paragonabile invece a quella di una «cintura nera» di judo, che mette fuori combattimento un avversario molto più grosso con una piccola mossa, che sembra quasi frutto del caso, ma che è invece semplice proprio perché profondamente studiata.

     La decisione di Roncalli di non decidere lui come rinnovare la chiesa, per esempio, qualcuno la interpreta come mancanza di capacità strategica, mentre ci si può scorgere un’analisi fatta da Buonaiuti, il quale era convinto che, sotto le rigidità burocratiche e formaliste del cattolicesimo, si nascondessero grandi fermenti vitali: «Roma possiede ancora riserve carismatiche così inviolabilmente sacre, che basterebbe porle arditamente in circolazione per far fermentare di nuovo tutta la massa della civiltà contemporanea».[5] Una rivoluzione prodotta da un Papa, poi, poteva sempre essere annullata da un successivo Papa, mentre una rivoluzione prodottasi dal basso sarebbe stata incancellabile.

     Certo, dopo i grandi cambiamenti innescati da Roncalli c’è stata un’opera di contenimento delle spinte più radicali ed è stato necessario amalgamare i vari impulsi, ma le caratteristiche basilari del cattolicesimo di oggi restano quelle prodotte dal concilio da lui avviato e impostato mezzo secolo fa.

     Terminiamo questa parte con un’altra significativa convergenza fra Buonaiuti e Roncalli. Buonaiuti, nel testamento spirituale dettato in punto di morte (1946), disse: «Mi sento partecipe, in speranza e comunione, con quella nuova chiesa cristiana ecumenica a cui ho veduto lavorare quelle denominazioni evangeliche che mi sono sempre apparse salutarmene travagliate da un autentico spirito di fraternità, di pace e di vita carismatica nel mondo».[6] Ma già tredici anni prima aveva scritto: «Oggi che in grembo a quelle stesse denominazioni extracattoliche» […] si profilano le più ansiose aspirazioni alla riconciliazione e alla pace, Roma si chiude pervicacemente in un isolamento intransigente e chiede, duramente, solo resipiscenza e resa a discrezione». E «la più amara» insensibilità della chiesa romana gli era sembrata «il ripudio ufficiale dei movimenti, delineatisi, da tutti gli angoli dell’orizzonte, per la ricostituzione della dilacerata unità cristiana. Il frazionamento della Società credente nel Vangelo è il fenomeno più assurdo e scandaloso della modernità».[7]

     Quando Giovanni XXIII riaprì un fraterno dialogo con i cristiani non cattolici e quando, sul letto di morte, rievocò le parole di Gesù «che siano tutti uno» (Giovanni 17,21) ad alcuni possono essere apparse come pie speranze, se non addirittura illusioni. A questo punto invece appaiono come frutto di una precisa convinzione e strategia, di un desiderio formatosi anche nel travaglio di inquietudini giovanili condivise proprio con Buonaiuti.

 

 

5.  INCREDIBILE, MA ATTENDIBILE: Testimone di quest’ultima nota biografica su Angelo Roncalli è Patti Gallagher Mansfield, una di coloro che parteciparono al famoso «fine settimana di Duquesne» (Pittsburg, USA), durante il quale prese l’avvio il Rinnovamento carismatico all’interno della chiesa cattolica. La vicenda che ci interessa viene raccontata in un libro che è una specie di «storia ufficiale» del movimento e che contiene una premessa del cardinale Suenens, il quale ha conosciuto direttamente l’autrice.[8] Precisata la serietà della fonte, riportiamo i passi più significativi delle tre pagine (22ss) nella quali si parla di Angelo Roncalli.

     «Quando era ancora il vescovo Angelo Roncalli, papa Giovanni XXIII era solito visitare un piccolo villaggio cecoslovacco di circa trecento anime dove abitava una mia cara amica, la sig.ra Anna Mariea Schmidt. Da molti secoli tutti i cattolici di quel villaggio avevano sperimentato tutti i doni carismatici come si legge nella prima lettera ai Corinzi (12-14).[9] Era parte della normale vita cristiana per loro. La Pentecoste era una realtà quotidiana. Anna Mariea mi raccontava delle prima manifestazioni di doni carismatici nell’undicesimo secolo. […] Ogni successiva generazione di abitanti di quel villaggio manifestava i doni dello Spirito Santo. […] Era in questo ambiente carismatico che il vescovo Roncalli si recava negli anni Trenta. Era accolto con gioia come un padre spirituale. Anna Mariea, che allora era una bambina, lo ricorda come un prete pieno dell’amore di Dio. Provava grande letizia nel sedersi ai suoi piedi e nell’ascoltarlo parlare di Gesù. Lui sembrava perfettamente a suo agio in mezzo alla manifestazione dei doni carismatici quando pregava con la sua famiglia e con gli altri del villaggio. […] La descrizione di Anna Mariea è confermata da molta altra gente. […] Nel 1938, arrivarono le truppe naziste che uccisero quasi tutti gli abitanti. La forza dello Spirito li sostenne e neppure uno rinunciò alla sua fede. Sono grata al Signore che risparmiò la vita della signora Anna Mariea Schmidt, che sopravvisse sia ai campi di concentramento nazisti che a quelli russi e che mi ha permesso di condividere questa parte della sua testimonianza straordinaria».

 

 

6.  NIENTE «MORALE DELLA FAVOLA»: Queste notizie sono state anticipate per telefono a un’amica ligure, alla quale va un ringraziamento per aver dato la spinta finale a metterle su carta. Si pensava di farlo con poche parole, invece lo scritto si è un po’ allungato.

     I fatti qui raccontati ci hanno stimolato a riflettere su come procede la storia e se ne intravede qualche possibile conclusione. Ci fermiamo però qui, lasciando che ciascuno ne tragga una «morale della favola» in base al proprio particolare retroterra.

     Avendo maturato convinzioni protestanti (e più precisamente evangeliche) evidentemente ci sono molte cose che non condivido in un papa cattolico, ma essendo nato in quell’ambiente e avendo vissuto la mia infanzia nel «clima» del pontificato di Pio XII, sono rimasto colpito dal tipo di cambiamenti introdotti da Giovanni XXIII: è la differenza, insomma, quella che più mi attrae.

     Non manca certo la bibliografia per approfondire la figura di Angelo Roncalli, ma lo scopo di questo scritto era semplicemente quello di far notare i tre dettagli sopra esposti, nella convinzione che siano in grado di stimolare riflessioni non superficiali sulle vie misteriose percorse a volte dalla storia.

 



[1]. Indro Montanelli, «I due papi Giovanni XXIII», Corriere della Sera (04-06-2000), p. 41.

[2]. Giulio Andreotti, I quattro del Gesù (Rizzoli, Milano 1999).

[3]. Ibid., pp. 103s. Il corsivo è nostro.

[4]. Ibid., pp. 122ss. Il corsivo è nostro.

[5]. Ernesto Buonaiuti, La Chiesa Romana (Il Saggiatore, Milano 1971, nuova edizione), p. 149. La quarta pagina di copertina, che presenta l’opera, conclude affermando che il libro «dopo il papato giovanneo e il concilio vaticano secondo, acquista una stupefacente attualità profetica».

[6]. G. Andreotti, op. cit., p. 44

[7] . E. Buonaiuti, op. cit., p. 165.

[8]. Patti Gallagher Mansfield, Come una nuova Pentecoste (Áncora, Milano 1997, seconda edizione).

[9]. Da una conversazione personale dell’autrice con la signora Anna Mariea Schmidt di Milo, nel Maine. La testimonianza di Anna Mariea è apparsa sulla rivista «New Covenant», Novembre 1985, pp. 20ss.

 

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A2-Giovanni_XXIII_Car.htm

06-04-2007; Aggiornamento: 02-07-2010

 

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