Giampiero Vassallo è un pastore
avventista della Svizzera. Dopo la pubblicazione dell’articolo «Avventismo e legge mosaica nel nuovo patto» e del tema di discussione «Avventismo e legge mosaica nel nuovo patto? Parliamone»,
ha espresso il desiderio di confrontarsi con me sui temi a lui cari. Il suo
scritto è apprezzabile nelle parti, in cui parla della giustificazione
per grazia mediante la fede. Subito dopo, però, arriviamo subito al cuore del
problema: il valore della legge mosaica per noi membri del nuovo patto. E
proprio qui troviamo il punto cruciale, in cui le due prospettive teologiche
immancabilmente si divaricano. Egli applica semplicemente la legge mosaica ai
cristiani, prescindendo dal fatto che la chiesa non è l'Israele storico, che il
nuovo patto ha portato alla cessazione dell'antico patto e che, perciò, la «legge
di Cristo» è l'unica ingiuntiva per i cristiani. È giusto il principio,
secondo cui una fede genuina è, nella pratica, quella disposta non solo ad
accettare la salvezza, ma anche a ubbidire a Dio; il problema è
richiedere ai credenti odierni l'ubbidienza a un vecchio patto, mentre il Messia
ne ha istituito uno nuovo. Perché la grazia non sia a buon mercato,
l'ubbidienza è necessaria, anche come frutto, che attesti la natura dell'albero;
il punto cruciale è il seguente: che cosa è ingiuntivo per i credenti del
nuovo patto? Secondo quanto ci convince il NT, per i cristiani non sono
certamente ingiuntivi i dettami giuridici di un patto
(quello mosaico) oramai messo fuori uso da uno nuovo, unico giuridicamente
valido nella nuova economia messianica.
Questo confronto è avvenuto alcuni anni prima della
pubblicazione dell'articolo, rimanendo in deposito; ora lo pubblico, ritenendolo
utile per un sano e pacato confronto. Chiaramente la mia analisi teologica
finale va ben oltre a quanto detto dal mio interlocutore, anticipando già qui le
sue eventuali obiezioni e mostrando un quadro articolato fra ogni patto di
grazia (aspetto salvifico) e la sua rispettiva legge
(aspetto amministrativo) all'interno della storia della salvezza. |
1. PER GRAZIA SOLTANTO
(Giampiero Vassallo): Riflettere sulla dottrina della giustificazione
per grazia significa, innanzitutto, indicare Gesù Cristo come parola vivente di
Dio che perdona i peccati. L’intera testimonianza neotestamentaria è concorde
nell’affermare che, in Gesù Cristo, Dio rivolge all’umanità e alla creazione
intera una parola di salvezza: l’evangelo, la buona notizia, che
si presenta come «potenza di Dio» (Rm 1,16), che è in grado non solo di
manifestare la volontà di Dio, ma anche di renderla attiva e operante in vista
della liberazione da quella che è definita «la legge del peccato e della
morte» (Rm 8,2). Ciò avviene in forza della libera decisione di Dio, che
essendo amore (1 Gv 4,8), agisce in conformità al suo essere: poiché Dio è
amore, Egli può agire, nella sua libertà, amando, qualificando la sua
azione come totale e libera dedizione, come grazia. L’essere di Dio, che
liberamente si dona, è Gesù Cristo.
La a Riforma del XVI secolo, nell’interpretare
il messaggio salvifico testimoniato dal Nuovo Testamento con il nome di Gesù
Cristo, pone al centro il tema della giustizia o giustificazione di Dio.
Gesù Cristo è evento di salvezza, in quanto giustizia di Dio. Dire
giustificazione significa dire Cristo, cioè l’amore di Dio per l’essere
umano. La grazia è l’agire di Dio — e di Dio
soltanto — che rivolge agli esseri umani la sua parola di salvezza; la
fede
include una risposta da parte dell’uomo. La fede può e deve essere confessata,
la grazia soltanto attesa. L’essere umano non ha in sé le forze per vivere
secondo le esigenze di Dio, ma quest’ultimo elargisce il perdono a chi non se lo
merita, per pura benignità, per grazia, appunto.
La giustizia di Dio è stata interpretata da Lutero come una giustizia,
che rende giusto chi la riceve (di Dio inteso come genitivo oggettivo e non di
specificazione). Tuttavia non può essere intesa come puro e semplice premio per
i «buoni» e punizione per i «malvagi». Dio è giusto, non perché riconosce
i meriti d’alcuni e condanna le colpe d’altri. Dio è giusto donando giustizia,
giustificando il peccatore. La giustizia di Dio deve essere intesa come un dono,
che non può mai essere separato dal donatore, perché resta legata all’azione di
Dio. In questo consiste la giustificazione, nel fatto che Dio comunica, dona
all’essere umano una giustizia che non è propria di quest’ultimo.
Come possiamo parlare allora di giustificazione per fede?
Quale fede giustifica? La fede che giustifica, e quindi che salva, non
deve essere considerata, in primo luogo, dal punto di vista dell’essere umano
credente. Al centro dell’evento della fede è l’azione di Dio in Gesù Cristo. La
salvezza è per fede soltanto, «senza le opere» (Rm 4,6), «senza le
opere della legge» (Rm 3,28). Ma qual è, allora, il senso delle opere e
della legge? Le opere non vengono cancellate né relativizzare: esse però non
hanno un significato meritorio né una funzione salvifica. Detto questo, la
grazia e la fede, che salvano da sole, sono accompagnate dalle opere e
dunque, di fatto, non sono mai sole. Ciò non significa che le opere aggiungono
qualcosa alla grazia di Dio; esse, tuttavia, rappresentano una conseguenza della
fede. Lutero dice chiaramente che è pazzia pensare di diventare buoni e pii di
fronte a Dio, compiendo opere buone; con altrettanto chiarezza, egli dirà che
l’uomo buono, reso tale dalla Parola che Dio rivolge, non può non compiere buone
opere. In questo senso, fede e opere possono dirsi tra loro strettamente
connesse.
La Riforma ha dato particolare enfasi all’l’uso
teologico della legge. Considerata da questo punto di vista, la legge porta
l’individuo alla conoscenza del proprio peccato e, di conseguenza, lo rende
consapevole della condizione di
radicale perdizione nella quale si trova. Soltanto affidandosi alla
misericordia di Dio e abbandonando ogni speranza di salvezza a partire dalle
proprie possibilità etiche e religiose, l’essere umano può sperare di salvarsi.
In questa prospettiva, la legge apre lo spazio all’interno del quale l’annuncio
della giustificazione dell’empio dispiega la propria potenza. Il messaggio della
giustificazione per grazia può risuonare nel peccatore perché la legge ha
«predisposto» l’individuo ad accoglierlo.
La Bibbia offre in Deuteronomio 30,11-14 una spiegazione chiara e semplice circa
il modo, in cui la legge debba essere intesa: il comandamento di Dio è
offerto all’essere umano, perché egli lo metta in pratica. Questo è il criterio
fondamentale, sulla base del quale la legge deve essere interpretata. La grazia
rimane il solo elemento che conduce alla salvezza, tuttavia si deve evitare di
porre in secondo piano la semplice e concreta richiesta d’obbedienza
avanzata dalla legge. Ciò vale tanto per l’Antico quanto per il Nuovo
Testamento, tanto per i Dieci Comandamenti quanto per il Sermone sul Monte. Il
fatto che, a causa del peccato, la legge sia disattesa, non ne modifica lo
statuto e non permette di passarne sotto silenzio la praticabilità. Se ciò
avvenisse, la legge sarebbe riconosciuta come impraticabile in linea di
principio e al posto della realtà del peccato come concreta
ribellione alla volontà di Dio, perfettamente praticabile, subentrerebbe una
dottrina — sbagliata — del peccato. Sarebbe così il peccato a essere
giustificato, non soltanto il peccatore. Sarebbe la grazia a buon mercato
di cui ha parlato Bonhoeffer, cioè quella comprensione della grazia, che rende
superflua l’ubbidienza.
Come la grazia anche la legge non può essere trasformata in un principio
astratto: il suo uso teologico dovrà essere inteso come un «risultato» e non
come un «presupposto». {11-07-2008}
2. VALUTAZIONE GENERALE
(Nicola Martella): Si può essere d’accordo con l’impianto generale e con
la maggioranza delle asserzioni. Sì, si è salvati per grazia mediante la
fede in Gesù Messia, senza le opere della legge mosaica o di alcuna altra legge.
Alcune osservazioni o obiezioni possono essere fatte ai dettagli e qui di
seguito ne indico alcuni. Poiché il linguaggio del mio interlocutore è più
filosofico che teologico (poco attento alla storia e alla rivelazione
progressiva; p.es. egli parla dell’«uomo» in genere, dove la Torà parla
dell’Israelita), aggancerò il discorso più all’esegesi. Quindi le cose che dirò
non sono per forza in antitesi, ma di approfondimento. ■ Si afferma: «La fede può e deve essere confessata, la grazia soltanto attesa». Faccio presente che la fede, essendo
fiducia nelle promesse di Dio, dev’essere espressa, mentre la grazia accettata.
Visto che quest’ultima è stata già offerta, non dev’essere più attesa, ma
soltanto la gloria legata alla manifestazione di Gesù. «La grazia di Dio,
salutare per tutti gli uomini, è apparsa… aspettando la beata speranza e
l’apparizione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore, Cristo Gesù»
(Tt 2,11.13).
■ Si afferma: «Come possiamo parlare allora di i
giustificazione per fede? Quale fede giustifica? La fede che giustifica…».
Approfondendo la questione, faccio presente che nell’espressione «la
giustizia di Dio mediante la fede in Gesù Cristo, per tutti i credenti» (Rm
3,22), la fede in Gesù è l’atto di accettazione di ciò, che Dio ha già fatto in
Cristo: la dichiarazione di assoluzione del credente e l’attribuzione dei suoi
meriti al peccatore che crede in lui (Rm 4,5.9). La giustificazione è la
realizzazione pratica della grazia di Dio. Quindi, la «giustizia di Dio»
è quella che il Dio giusto dona a «colui che ha fede in Gesù» (Rm 3,26);
ma l’uomo è giustificato per grazia mediante la fede, «senza le opere della
legge» (v. 28; Gal 2,16; 3,11); così riceve pure l’espiazione «mediante
la fede nel sangue» di Gesù (Rm 3,25). Come nel
caso d’Abramo e di tutti i credenti, circoncisi o meno, si tratta di una «giustizia
ottenuta per la fede» e quest’ultima è «messa in conto la giustizia»,
ossia Dio considera il credente come se avesse praticato la giustizia (Rm
4,11.13). Per brevità d’espressione si afferma perciò che si è giustificati per
fede (Rm 5,1; 9,30; 10,6; Gal 3,8), indicando così l’atto specifico
d’accettazione della giustificazione già prodotta per grazia in Cristo. Ogni espressione di fiducia umana si basa su un’azione
di grazia già avvenuta: «Per la fede [in Gesù Cristo, nostro Signore] abbiamo
l’accesso a questa grazia nella quale stiamo saldi» (Rm 5,1s. L’espressione
completa è quindi la seguente: «È per grazia che voi siete stati salvati,
mediante la fede» (Ef 2,8 + dono di Dio; cfr. Rm 4,16 eredità). Il giusto
vive (o meglio sopravvive nel giudizio storico) per la sua fede (Hb 2,4) e la
trasmette ad altri (Rm 1,17). È vero che Gesù disse spesso: «La tua fede ti
ha salvato /a», ma tale espressione idiomatica è normalmente in connessione
con una guarigione, quindi con un’azione puntuale e non per forza con la
salvezza eterna (Mc 5,34; 10,52; Lc 8,38; Lc 17,19; 18,42); in tali contesti non
dev’essere neppure la fede della persona stessa (Lc 8,50 fede dl padre per la
figlia morta). La probabile eccezione è Luca 7,47-50, dove comunque si parla di
peccati già commessi (v. 47) e non di guarigione fisica.
■ Si afferma: «Il comandamento di Dio è offerto all’essere umano
perché egli lo metta in pratica». Faccio presente che questo è un linguaggio
dogmatico (quindi filosofico) da rifiutare. Dio ha dato comandamenti specifici a
persone specifiche (p.es. Adamo, Noè, Abramo, Israeliti, Davide) all’interno di
patti specifici.
■ Si afferma: «Ciò vale tanto per l’Antico quanto
per il Nuovo Testamento, tanto per i Dieci comandamenti quanto per il
Sermone sul monte». Faccio presente che come Dio non aveva chiesto agli Ebrei
presso il Sinai l’ubbidienza alla Costituzione del nuovo patto (il cosiddetto
Sermone sul monte; cfr. il «ma io vi dico»), così Gesù non ha ingiunto il
Decalogo (Costituzione del patto mosaico) nel nuovo patto. Chi afferma il
contrario, mostri il chiaro comandamento, dato ai suoi discepoli, in cui Cristo
lo afferma: «Ubbidite alle Dieci parole datevi da Mosè». Ad esempio, il fatto
che Paolo ammise la legittimità di osservare il giorno (sabato per i cristiani
giudei) o di non farlo (cristiani gentili; Rm 14), mostra che il comandamento
sabatico non era più ingiuntivo nel nuovo patto. Esso non era tra i punti
perentori, che furono richiesti ai credenti gentili durante il Concilio di
Gerusalemme (At 15).
■ Si afferma: «Il fatto che, a causa del peccato, la
legge sia disattesa
non ne modifica lo statuto e non permette di passarne sotto silenzio la
praticabilità». Faccio presente che non solo lo statuto è stato modificato, ma è
mutato del tutto. Gesù disse: «Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo
per metterlo a un vestito vecchio; altrimenti strappa il nuovo, e il pezzo tolto
dal nuovo non adatta al vecchio. E nessuno mette vino nuovo in otri vecchi;
altrimenti il vino nuovo rompe gli otri, il vino si spande, e gli otri vanno
perduti. Ma il vino nuovo va messo in otri nuovi» (Lc 5,36ss). «Dicendo:
“Un nuovo patto”, Egli ha dichiarato antico il primo. Ora, quel che diventa
antico e invecchia è vicino a sparire» (Eb 8,13). «Nuovo» è ciò che
sostituisce il «vecchio» e ne prende il posto, facendo diventare antico il
precedente (cfr. Lc 25,22; 26,10 raccolta; Mt 9,16 stoffe; Mt 9,17 otri; 1 Cor
5,7 pasta; 2 Cor 5,17 cose passate e nuove; Col 3,10 uomo vecchio e nuovo; Ap
21,1 vecchia e nuova creazione). Il resto lo approfondisco sotto.
■ Si afferma: «Sarebbe cosi il peccato a essere giustificato, non
soltanto il peccatore». Faccio presente che «giustificare» significa dichiarare
qualcuno come giusto (cfr. Mt 11,19 sapienza); biblicamente parlando, significa
attribuire a qualcuno i meriti di Gesù Cristo. In tal caso la fede (fiducia
nell’opera di Cristo) «viene messa in conto di giustizia» (Rm 4,5), ossia
come se l’empio stesso avesse praticato tale giustizia. Un giustificazione
mediante le opere della legge è perciò esclusa (Rm 3,20). Questo è l’uso
giuridico. Nella Bibbia non si usa mai questo termine per il peccato in senso
giuridico; quindi l’asserzione è biblicamente impossibile.
Esiste anche un uso diverso di «giustificare» nel senso di far apparire un empio
come giusto (o più giusto di un altro), perché i suoi atti sono confrontati con
quelli ancora più peccaminosi di un altro: «Tu hai fatto apparire tua sorella
come giusta per mezzo di tutti i tuoi abomini» (Ez 16,51s); ma ciò non ha
nulla a che fare col nostro tema, essendo una perversione della giustizia.
■ Si afferma: «Come la grazia anche la legge non può essere trasformata in un
principio astratto». Faccio presente che l’intero periodo finale non è
pienamente comprensibile. Tornando a tale frase, però, faccio rilevare, come
approfondirò, che ogni singolo patto biblico ha la sua legge particolare.
Nel NT il concetto di «legge» non è mai un «principio astratto», ma intende come
termine tecnico sempre la «legge mosaica». Come tale essa è stata messa fuori
uso (Eb 7,18s «debolezza e inutilità»; «la legge non ha condotto nulla
a compimento») nel nuovo patto e sostituita dalla «legge di Cristo», a cui
Paolo e i cristiani erano sottoposti (1 Cor 9,21). L’approfondimento segue
sotto.
3. LA QUESTIONE DELLA LEGGE
(Nicola Martella)
3.1. LA LEGGE MOSAICA E IL NUOVO PATTO: Tornando al rapporto fra giustificazione e fede, abbiamo visto che la salvezza,
il riscatto o la giustificazione avvengono «senza le opere della legge»
mosaica (Rm 3,28; Gal 2,16; 3,11). La funzione della legge mosaica era vista
come quella del precettore durante l’infanzia; essa smette la sua funzione e il
suo ruolo al raggiungimento dell’autonomia dell’istruito: «La legge è stata
il nostro pedagogo per condurci
a Cristo, affinché fossimo giustificati per fede. Ma ora che la fede è venuta,
noi non siamo più sotto pedagogo, perché siete tutti figli di Dio, per la
fede in Cristo Gesù» (Gal 3,24ss). Come è inappropriato che la persona
matura sia ancora sotto precettore, è inadeguato che nel nuovo patto chi è
«figlio» (quindi erede; v. 29), sia ancora sotto la tutela della legge mosaica. La funzione della legge mosaica era quella di
mostrare il peccato
nella sua gravità ed estensione, poiché «mediante la legge è data la
conoscenza del peccato» (Rm 3,20); Paolo si azzardò a addirittura ad
affermare che «la legge è intervenuta affinché la trasgressione abbondasse»,
certo per aprire gli occhi alla grazia sovrabbondante (Rm 5,20; 7,7ss). Stando
così le cose, ogni tentativo di «essere giustificati per la legge»,
significa che Cristo è morto inutilmente (Gal 2,21) e significa rinunziare a
Cristo e scadere così dalla grazia (Gal 5,4s). Paolo invece affermò di aver
fatto la sua scelta chiara, rinunciando a una giustizia propria, alfine
di guadagnare Cristo e la giustizia prodotta da lui (Fil 3,7-10). Tutti i
personaggi rilevanti di Eb 11 scelsero una «giustizia che si ha mediante la
fede». Non si può chiudere gli occhi dinanzi al mutamento di
paradigma di base, che vede «legge» mosaica e «grazia» (ossia quella in
Cristo) come due sistemi antitetici: «Non siete sotto la legge, ma sotto la
grazia» (Rm 6,14s). E ancora: «La legge è stata data per mezzo di Mosè;
la grazia e la verità sono venute per mezzo di Gesù Cristo» (Gv 1,17).
La legge, pur essendo spirituale (Rm 7,14) e santa (v. 12), ha di fatto messo in
evidenza il peccato e la morte (vv. 7ss.21; 1 Tm 1,8ss). Perciò, la legge che
era intesa a dare vita, è diventata di fatto una «legge del peccato e della
morte», da cui solo «la legge dello Spirito della vita in Cristo
Gesù» ha potuto liberare (Rm 8,2s). Infatti, «il dardo della morte è il
peccato, e la forza del peccato è la legge» (1 Cor 15,56s).
La legge mosaica rimane, quindi, come un metro per misurare trasgressioni e
peccati (Gcm 2,9s; 1 Gv 3,4). Paolo contrappose il vecchio patto al nuovo, la
«lettera» (la legge mosaica) allo «Spirito», e affermò che Dio ha
istituito «ministri d’un nuovo patto, non di lettera, ma di spirito; perché
la lettera uccide, ma lo Spirito vivifica» (2 Cor 3,6). Paolo era, quindi,
convinto che il nuovo patto avesse una dinamica differente rispetto all’antico
patto. Egli formulò perciò una contrapposizione così netta, che non lascia dubbi
né fraintendimenti:
Vecchio patto (lettera) |
Nuovo patto (Spirito) |
«Ministero della morte scolpito in lettere
su pietre» (v. 7) |
«Ministero dello Spirito» (v. 8) |
«Ministero della condanna» (v. 9) |
«Ministero della giustizia» (v. 9) |
«Ciò che aveva da sparire» (v. 11) |
«Ciò che ha da durare» (v. 11) |
Alcuni affermano che nel nuovo patto, in pratica, non cambiano le regole, ma
solo l’approccio a esse; da quanto abbiamo visto, risulta che ciò è
assolutamente sbagliato. Ciò che è definito morte, condanna e transitorio non
può essere solo aggiornato, ma viene abrogato.
3.2. DINAMICA DEI PATTI E RELATIVA LEGGE: Quando si usa un
linguaggio dottrinale, si astrae, si passa sopra i tempi e i momenti, sopra
la storia, si ignora il testo nel suo contesto e la rivelazione progressiva. Ciò
è tipico di tutti i sistemi dottrinali di natura filosofica.
L'approccio storico-esegetico alla Scrittura è completamente differente. Pur
essendo Dio lo stesso, non agisce allo stesso modo durante la storia della
salvezza. Questo è un lungo discorso, che fa parte della «teologia dei patti» e
della loro dinamica storica e teologica; mi limiterò solo ad alcuni elementi,
rimandando a quanto già scritto per gli approfondimenti.
Per l’approfondimento si veda in Nicola
Martella,
Manuale Teologico dell’Antico Testamento (Punto°A°Croce, Roma
2002), gli articoli: «Adamo (Patto con ~)», pp. 79s; «Noè (Patto con ~)», pp.
238s; «Abramo (Patto con ~)», pp. 76s; «Israele (Patto con ~)», pp. 195ss;
«Davide (Patto con ~)», pp. 134s; «Nuovo patto con Israele», pp. 241ss; «Patto
levitico», p. 266; per la dinamica dei patti cfr. pp. 254-266. |
Si notino al riguardo i seguenti aspetti. ■ Ogni «patto amministrativo» contiene delle
regole esplicite, ed esse variano da patto a patto, oltre a «elargizioni» regali
particolari (per l’approfondimento dei termini e locuzioni rimando al
Manuale Teologico dell’Antico Testamento).
Ecco due esempi qui di seguito.
|
Elargizione regale |
Ingiunzioni |
Patto adamitico (Gn 2) |
Mangia di tutti gli alberi del giardino (v. 16); altro cfr. anche
1,29 |
Non mangiare
dell’albero della conoscenza (Gn 2,17 + sanzioni); altro cfr. anche Gn 1,28 |
Patto noetico (Gn 9) |
Animali per cibo (v. 3) |
Proibizione alimentare del sangue (v. 4) e persecuzione degli omicidi (vv.
5s); altro cfr. anche vv. 1.7 |
Per l’esegesi Genesi 2,16s si veda Nicola Martella, «I diritti e i doveri [Gn]
2,16-17», Esegesi delle origini.
Le Origini 2 (Punto°A°Croce, Roma 2006), pp. 144-149. L’altro «patto amministrativo» è quello mosaico; esso
seguì a un atto di riscatto storico da parte di Dio per Israele (fase salvifica
sulla base delle promesse del patto abramitico).
■ Ogni «patto di grazia» (abramitico, davidico,
nuovo) contiene una fase amministrativa e quindi una legge; ogni legge però
rispecchia il relativo patto e segue all’atto di grazia. Come esempio riporto il
patto abramitico, il quale aveva una «fase di grazia», basata sul patto e
sulla giustificazione per fede (Gn 15,6.18; Gal 3,18) e una «fase
amministrativa» per sostenere una vita morale compatibile col patto di
grazia. Dio, confermando le promesse fatte ad Abrahamo, affermò anche la
motivazione esecutiva: «Abrahamo ubbidì alla mia voce e osservò quello che
gli avevo ordinato, i miei comandamenti, i miei statuti e le mie leggi» (Gn
26,5). Tra queste rientrava anche il segno della circoncisione, la quale era
soltanto il «suggello della giustizia ottenuta per la fede che aveva quando
era incirconciso» (Rm 4,11; si noti che ogni patto ha il suo segno
specifico). ■ La legge di un «patto di grazia» non si può applicare
a un altro, e tanto meno la legge di un «patto amministrativo» (p.es. quello
mosaico) si può applicare a un «patto di grazia» successivo (p.es. al nuovo
patto). Un patto amministrativo successivo (quello mosaico) non può
invalidare un «patto di grazia» (quello abramitico): «Un patto già prima
debitamente stabilito da Dio, la legge, che venne quattrocento trent’anni dopo,
non lo invalida in modo tale da annullare la promessa» (Gal 3,17). ■ È nella dinamica dei patti di grazia che la
giustificazione
avvenga per fede (patto abramitico, nuovo patto) o che le elargizioni regali
dipendano dalla volontà del donatore e siano accettati per fede dal ricevente
(patto davidico, 2 Sm 7; patto levitico, Nu 25,12; Mal 2,4). In tali patti la
grazia consiste nell’elargizione del relativo patto, e la salvezza è
rappresentata dall’entrata in essi. ■ Era altresì nella dinamica dei patti che chi entrava
in uno di essi per grazia mediante la fede, prendeva su di sé l’impegno
all’ubbidienza ai comandamenti, che Dio avrebbe dato all’interno del
relativo patto. Poiché in ogni «patto di grazia» la fase amministrativa segue a
quella salvifica (cfr. Gn 15 con Gn 17; 26,5), anche nel nuovo patto la «fase
amministrativa» segue all’istituzione del patto stesso. Perciò è assolutamente
sbagliato voler assoggettare la gente del «nuovo patto» alla legge mosaica,
intendendo che essa sia ancora valida nell’era della grazia. Nel «nuovo patto»
esiste una legge, tuttavia non è quella mosaica (che era teocratica e quindi
legata a un popolo specifico), ma è la «legge di Cristo» (1 Cor 9,21; Gal
6,2) o «legge dello Spirito» (Rm 8,2). Mutato un paradigma di base,
cambia immancabilmente anche la legge (cfr. Eb 7,12). Chiaramente il nuovo
statuto conterrà analogie col primo, ma quest’ultimo è messo per sempre fuori
uso. Voler avere l’eccellenza del nuovo patto (Eb 7,22; 8,6), ma vivere secondo
i dettami del vecchio, che — oltre a essere difettoso (Eb 8,7) e affetto dalla
debolezza e inutilità del relativo comandamento (Eb 7,18) e dalla mancanza di
risultato della legge complessiva (v. 19) — è stato abrogato (Eb 7,18s; 8,13), è
illogico e insano. ■ Ciò che è stato abrogato, non ha più un carattere
ingiuntivo, ma rimane un documento storico e morale, da cui trarre analogie
e principi per l’edificazione; la cosa è molto diversa per un corpo di leggi,
che è in vigore. Nel nuovo patto è ingiuntiva solo la legge del nuovo patto,
quella di Cristo e dello Spirito; su tale base il Signore sanziona attualmente i
disubbidienti e darà il premio un giorno ai suoi diletti (cfr. 1 Cor 3,13; Fil
3,12ss; Col 2,18s; Ap 22,12). In nessuna parte del NT il premio è connesso
all’ubbidienza della legge mosaica, e questo semplicemente perché essa è stata
abrogata; le analogie tra due costituzioni sono una cosa, la
validità riguarda solo una, quella nuova. Ora ogni adempimento (e quindi
premio) è relativo alla «legge di Cristo» (Gal 6,2).
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A1-Grazia_legge_patti_Sh.htm
23-07-2008; Aggiornamento: 14-11-2011
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