Il lettore prende qui posizione riguardo all’articolo «Dio
ama solo gli eletti?». Il seguente contributo avrebbe potuto
trovare posto all’interno del tema di discussione «Dio
ama solo gli eletti? Parliamone», ma a causa della sua lunghezza,
della sua problematicità
e della risposta, abbiamo preferito metterlo extra.
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1. Le tesi
{Gaetano Nunnari}
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Ti scrivo per aggiungere un po’ di carne al fuoco
sulla dottrina della doppia predestinazione. […] Come già sai, al momento la mia
posizione pende verso la doppia predestinazione. E ci tengo a ribadire che di
Calvino condivido solo questo! Ma non essendo succube d’una «sovrastruttura
dottrinale» sono sempre disposto a cambiare idea se mi si convince, Bibbia alla
mano, che mi sto sbagliando.
Hai perfettamente ragione quando dici che la
moralità di certi «predestinati» lascia a desiderare. Concordo! Ne sono rimasto
scandalizzato (relativamente) io stesso! Però, come anche tu sai meglio di me,
le «mele marce» sono dappertutto e quindi non si può basare la veridicità d’una
dottrina su questi presupposti. Ciò che è stato detto gratuitamente in rete sul
tuo conto da certi «predestinati» è stato davvero vergognoso. E come sai anche
io ho preso le tue difese insieme a un altro fratello abbandonando poi tale
forum.
Fra i sostenitori della doppia predestinazione,
ci sono stati diversi uomini che Dio ha usato per la sua gloria. Lutero con il
suo «Servo arbitrio». Spurgeon, e ancora prima Agostino d’Ippona. Di nomi ce ne
sono molti ma cito solo questi.
Quindi la sovrastruttura dogmatica calvinista per
Lutero e Agostino non è stata la causa di tale loro convinzione. Sono arrivati a
ciò leggendo e meditando i passi delle scritture.
Adesso però passiamo al dunque, e come si dice
prendiamo il toro per le corna!
■ Giovanni 6,37: «Tutto quel che il Padre mi dà, verrà a me; e colui che
viene a me, io non lo caccerò fuori».
■ Giovanni 6,44: «Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre, che
mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».
Come
saprai meglio di me, il greco in Gv 6,44 dice testualmente «se il Padre non
lo trascina», quindi c’è una
«grazia irresistibile» per farla breve.
Questi versi sono molto espliciti, e nella mia ricerca tutti i commentari da me
consultati o non commentano tali versi (essendo scomodi) o li commentano a
favore della doppia predestinazione. Vediamo come te la caverai adesso con il
tuo commento in merito! Chissà se riuscirai a convincermi.
Sai qual è il problema? Che tu sei un predestinato, solo che ancora non te ne
sei reso conto... {02-01-2008}
2. Osservazioni e obiezioni
{Nicola Martella}
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1. Entriamo in tema su
elezione e predestinazione
Tralascio
gli aspetti storici che sono leggibili in vari modi. Ad esempio, Agostino che
avrebbe creduto alla predestinazione, si teneva una concubina anche dopo la
conversione. Al tempo di Lutero e di Calvino la cultura occidentale era molto
influenzata dall’Islam che risiedeva sia in Sicilia sia in Spagna. Credo io
all’elezione divina o alla predestinazione? Sì, ci credo e lodo Dio per questo.
Sono grato all’Onnipotente di avere un piano per la mia vita, di avermi chiamato
e di avermi dato il privilegio di servirlo all’interno alla sua corporazione,
l’assemblea messianica, per l’avanzamento del regno di Dio. ■ Che
cos’è «l’elezione»?: È la scelta di Dio per attuare il suo piano nella
storia. Dio scelse Abramo e gli fece grazia (Gn 12); poi gli diede il patto (Gn
15) e nella fase amministrativa gli diede una legge e dei comandamenti (Gn 17;
26,5). È l’elezione «irresistibile»? No, poiché fra i discendenti di Abramo,
alcuni rimasero nel patto (Isacco, Giacobbe, ecc.), altri scelsero la via
dell’autonomia (Ismaele, gli altri figli d’Abramo, Esaù, ecc.). Nei Salmi, ad
esempio, i nemici di Davide facevano parte tutti del «popolo eletto», eppure
erano empi, malvagi e nemici di Dio. Anche nel
NT vediamo che la stragrande maggioranza del «popolo eletto», rifiutando
Gesù quale Messia, è diventata addirittura una corporazione di nemici
dell’Evangelo e, sebbene Dio non abbia rinunciato al suo piano futuro di
salvezza verso di loro, anche al momento sono senza Cristo (Rm 11,28s). Il fatto che
Gesù elesse Giuda non impedì a quest’ultimo di tradirlo (Gv 6,64; Gv 13,11).
Il fatto che Egli scelse Pietro non impedì a quest’ultimo di rinnegarlo tre
volte (Mt 26,34s; Gv 13,38 è lesa maestà). Il fatto che Egli scelse gli altri
discepoli non impedì ad alcuni loro di essere increduli (Gv 6,64) e a tutti di
abbandonarlo (Mt 26,56 alto tradimento; nonostante i loro propositi, v. 35).
Gesù l’aveva preannunciato (Mc 14,27). Come si vede, l’elezione divina da sola
non basta né è «irresistibile», se non si concretizza in una scelta personale e
nella volontà di ubbidire a Gesù quale Messia promesso. Alla fine, tutti questi
eletti, erano rei di lesa maestà e di alto tradimento. Come mostra il caso dei
due discepoli di Emmaus, essi erano anche alquanto confusi (Lc 24,21). Il caso
di Tommaso, mostra l’incredulità anche dopo l’annuncio della risurrezione (Gv
20,25). L’elezione è
quindi la semplice
chiamata di Dio o di Cristo a seguirlo (Mt 9,9; Gv 1,43; 21,22 nuova
chiamata di Pietro), a entrare nel suo patto e a diventare parte del suo piano
per la realizzazione del «regno di Dio». Non tutti i chiamati da Gesù lo
seguirono (Mc 8,21; 10,21) e anche molti di coloro che in un primo momento lo
seguirono, in seguito si dissociarono da lui (Gv 6,66; cfr. anche Mt 13,21;
24,10; Lc 7,23). In 2 Ts
2,13 ricorrono insieme i termini «eletti» e «salvezza», ma qui Paolo
intendeva i fratelli che erano stati già chiamati eis sōtērían «in vista
della salvezza» (aspetto futuro?), concretizzata mediante la «santificazione
nello Spirito» (aspetto divino) e la «fede nella verità» (aspetto umano); qui
Paolo non affrontò altri aspetti. In 2 Tm 2,9s Paolo, trovandosi in
carcere, affermò che, non essendo la parola di Dio incatenata, sopportava tutto
a causa degli eletti affinché anch’essi conseguissero la salvezza; l’aggiunta
«con gloria eterna», mostrava il futuro di tale salvezza. Qui gli «eletti» non
erano una casta speciale né un numero chiuso, ma semplicemente i chiamati
mediante l’annuncio dell’Evangelo. Paolo non affrontò la questione se
esistessero dei «non eletti» o «non chiamati». Si trattava di una piena
proclamazione dell’Evangelo, perché «tutti i Gentili l’udissero» (2 Tm
4,17), e dell’annuncio della «salvezza d’ogni credente», sia Giudeo sia
Gentile (Rm 1,16). Il suo intento era di «guadagnarne il maggior numero»
possibile (1 Cor 9,19ss), senza preclusioni mentali e dottrinali. ■ Che
cos’è la «predestinazione»?: È il piano di Dio per la realizzazione del suo
regno, piano che coinvolge individui all’interno di una corporazione,
l’assemblea messianica. Si noti che mai nella Bibbia qualcuno ha detto: «Dio mi
ha predestinato» (né tanto meno ha aggiunto «a salvezza»)! Noi occidentali,
malati di individualismo e di narcisismo, vorremmo che ci fosse scritto, ma non
è così. La Scrittura privilegia al riguardo gli aspetti collettivi (Rm 8,29
quelli, loro, molti fratelli; v. 30 quelli, loro; 1 Cor 2,7 a nostra gloria; Ef
1,5 noi, suoi figli; v. 11 noi, eredi). ■ Che
cos’è la «doppia predestinazione»?: Trarre da tre brani (Rm 8,28ss; 1 Cor
2,7; Ef 1,5.11), in cui compare il verbo «predestinare» (il sostantivo
«predestinazione» non compare per nulla!), una dottrina così centrale per i
calvinisti e così gravida di conseguenze, è rischioso come voler camminare con i
pattini da ghiaccio sulla lama di un coltello. La cosiddetta «doppia
predestinazione» è un tipico falso sillogismo, basato su premesse ideologiche
poste alla base del proprio pensiero in modo aprioristico. Si afferma che se Dio
ha predestinato alcuni a salvezza, deve aver predestinato altri a perdizione. E
qui sta il verme del falso sillogismo, che pretende di fare asserzioni
specifiche su cose che non si possono accertare con chiare asserzioni bibliche
né con un esperimento. Si noti che predestinare, salvare, redimere, riscattare e
simili e loro derivati non compaiono mai insieme nella Bibbia! La
predestinazione è il piano di Dio; avendo Egli riconciliato il mondo con sé,
tale piano vale per chiunque crede, senza esclusioni. È quindi una costruzione
dogmatica che sembra trovare la sua «logica» solo all’interno di una costruzione
filosofica o sovrastruttura ideologica.
2. I brani in questione
Quanto a
Gv 6,37.44 c’è da dire che è tipico per chi parte da un’ideologia dogmatica
trarre da un complesso contesto com’è Gv 6 dei versi e fare dire loro ciò che
l’apriorismo dottrinale detta. Chi fa «versettologia» prescinde dal contesto
letterario, storico, culturale, ecc. Gli interessa solo quel particolare,
indipendentemente dal resto. Poi l’associa ad altri versi, anch’essi denaturati
dal loro contesto, e infine formula una «dottrina» che sembra illuminante, ma
che è solo la conseguenza di un falso sillogismo. Agli
ideologi dottrinali non interessa tanto sapere che Gv 6-8 mostrano un profondo
scontro teologico fra Gesù, che dichiara d’essere il Messia mandato da Dio, e i
Giudei che lo rifiutano come tale e anzi gli rinfacciano di agire per la potenza
di Belzebù. Al centro di tale brano c’è una decisione storica anche fra i suoi
discepoli: mentre molti, essendo increduli (v. 64), si ritrassero indietro (Gv
6,66), Pietro lo riconobbe come detentore di «parole di vita eterna» (v. 68) e
«Santo di Dio» (v. 69), ossia come il Messia-Re promesso; a ciò si associarono
anche gli altri undici, sebbene uno di loro, sebbene Gesù lo avesse scelto, era
un «diavolo» (vv. 64.70s). Nei brani
paralleli dei Sinottici, in cui compare tale riconoscimento storico di Gesù
quale Messia da parte di Pietro («Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente»;
Mt 16,16), Gesù dichiarò che «non la carne e il sangue t’hanno rivelato
questo, ma il Padre mio che è nei cieli» (v. 17). Questo rispecchiava
proprio ciò che Gesù disse alla fine del suo lungo discorso: «Per questo v’ho
detto che nessuno può venire a me, se non gli è dato dal Padre» (Gv 6,65);
infatti, «d’allora
molti dei suoi discepoli si
ritrassero indietro e non andavano più con lui» (v. 66). Non era più
l’appartenenza etnica a essere importante, ma l’accettazione della testimonianza
del Padre circa Gesù quale Messia (cfr. Gv 8). In Gv 6 (-8)
Gesù si propose al giudaismo proprio come il Messia-Re proceduto da presso Dio
(Gv 6,29), cosa che i Giudei rifiutarono e addirittura, scandalizzati, volevano
ucciderlo. In Gv 6 essi volevano vedere in lui il figlio di Giuseppe (v. 42).
Gesù si propose come il Messia disceso dal cielo e come mediatore di salvezza
(vv. 38ss). Vedendo l’incredulità dei Giudei, li scandalizzò con un discorso
estremo in cui Egli si propose come «pane disceso dal cielo», ossia la nuova
manna divina (vv. 41.48.51). La salvezza divina sarebbe dipesa da lì in poi
dalla fede esercitata in Lui quale Messia (vv. 39s.47.58s).
3. Multipolarità contro
parzialità ideologiche
L’accesso multipolare alla realtà
Il rischio
di polarizzarsi
su certi aspetti della realtà, del pensiero, delle idee, della teologia, della
dottrina e di quant’altro è grande. Ciò avviene evidenziando certi aspetti a
discapito di altri; la dialettica, il falso sillogismo e l’ideologia di
riferimento fa poi il resto. Noi uomini non abbiamo un accesso diretto alla
verità, ma solo indiretto. La verità, per accedervi, ci dev’essere rivelata. Ora
la verità biblica ci è stata rivelata, ma in essa non è tutto evidente per
noi. A ciò si aggiunga che siamo portati a interpretare la verità rivelata
con la cultura dei nostri giorni, con le nostre appartenenze, le nostre
convenienze e i nostri bisogni. Per non
snaturare la verità rivelata in senso ideologico, bisogna per prima cosa
praticare un’esegesi contestuale rigorosa. Per certi temi come «chi è
Dio?», «chi sono io?», «com’è la realtà?», non si può procedere con una scelta a
priori, che si cerca
poi di verificare con la Bibbia e con l’esperienza. In queste come in
alte questioni una scelta di parte (p.es. Dio è solo amore; Dio è solo
giustizia) porta a mortificare la realtà, a deturparla e a snaturarla. Per tale
motivo si creano molte polarizzazioni ideologiche, a cui altri rispondono con il
contrappasso; la medicina può essere peggio della malattia. Sul piano biblico,
per noi l’unica possibilità di accedere alla verità è di comporre uno schema
multipolare in cui su un certo tema vengono messe in relazione tutte le
coppie antinomiche che ricorrono nella sacra Scrittura, senza rimuovere o
sopprimere alcuno di questi elementi chiave. Questo
accesso descrittivo
alla realtà è tipico degli scrittori biblici; al contrario le ideologie si
creano su ipotesi che divengono prima dichiarazioni ad alta probabilità, poi
tesi aprioristiche, quindi paradigmi assoluti e infine sovrastrutture
ideologiche (cfr. la teoria del Big Bang, l’evoluzionismo). Similmente avviene
in campo dottrinale, dove alcune affermazioni si basano su elementi parziali, su
apriorismi, sul falso sillogismo, sulla dialettica, sull’esperienza, eccetera.
Gli scrittori biblici, invece di definire in modo assoluto la realtà, la
descrivono. Questo è un atto di umiltà. Descrivendo la realtà del mondo, di Dio
o dell’uomo, essi usano proprio il metodo della multipolarità. Ad
esempio, per capire Dio, descrivendolo senza polarizzarlo, è stata
formulata questa dichiarazione di fede nel vecchio patto: «Jahwè è lento
all’ira e grande in clemenza; egli perdona l’iniquità e il peccato,
ma non lascia impunito il
colpevole, e punisce l’iniquità dei padri sui figli, fino alla terza e alla
quarta generazione» (Nu 14,18; cfr. Es 34,7; Na 1,2s). Certo a questa
dichiarazione di fede del vecchio patto bisogna aggiungere quelle del nuovo
patto, ad esempio quelle che riguardano l’azione salvifica di Dio verso il mondo
(Gv 3,16; Rm 11,15; 2 Cor 5,19; 1 Tm 2,4).
La multipolarità applicata a
elezione e predestinazione
Dio ha fatto
una doppia scelta, in un punto specifico dell’eternità, nel senso della
sedicente dottrina della «doppia predestinazione»? Se mai c’è stato qualcosa del
genere, la sacra Scrittura non lo rivela in modo chiaro, evidente e
incontrovertibile; anzi, essa mi convince di no. Dio aveva (e ha) tutto il
diritto (pre-)destinare gli uni a salvezza e gli altri a perdizione, ma che lo
abbia fatto è tutt’altra cosa. Se qualcosa del genere sia mai accaduto, è un
mistero che risiede solo in Dio e di cui la Scrittura non ce ne parla; ora ciò
che in essa non è chiaro, evidente e incontrovertibile può essere solo oggetto
di riflessione, non di asserzione dottrinale. Una grande
tentazione è togliere versi da un contesto (p.es. Gv 6,37.44.65) e inserirli
all’interno di una logica dogmatica, secondo i dettami di una sovrastruttura
ideologica (qui la sedicente «doppia predestinazione»). Per non
polarizzarsi e diventare unilaterali e faziosi, bisogna convenire che — come già
detto — certe verità della Bibbia si possono sondare solo procedendo con un
metodo multipolare. Amore e giustizia in Dio, misericordia e giudizio, elezione
divina e responsabilità umana, amore divino e condanna eterna, elezione
d’Israele e universalismo dell’Evangelo, e così via — temi del genere si
prestano a interpretazioni unilaterali e faziose, quando si sceglie a priori per
uno di questi binomi, secondo le proprie preferenze o per appartenenza
dottrinale e ideologica. L’unico rimedio per accedere alla verità della
Scrittura è proprio quello di rimanere sulla base della multipolarità, senza
annacquare dialetticamente le questioni contrapposte (p.es. amore e giustizia),
senza sbilanciarsi da una sola parte e senza cercare sintesi che mortificano
solo la verità (oltre che la ragione). Per certe questioni la risposta sta fuori
della relativa contrapposizione dei termini; per altre la risposta è un mistero
che risiede in Dio e si fa bene perciò a resistere alla tentazione di
«risolvere» ideologicamente tale «mistero» mediante forme del falso sillogismo.
La realtà di Dio e delle cose presso Dio possono avere un’altra logica, a noi
inaccessibile, per le cose che non ha rivelato in modo chiaro, evidente e
incontrovertibile. Ecco alcuni
aspetti della multipolarità nell’Evangelo di Giovanni, che è altamente
teologico, riguardo a tale tema. ■ Israele
è il popolo eletto di Dio (1 Re 3,8; 1 Cr 16,13; Sal 105,6; Is 41,8; 43,20;
44,1s; 45,4). Sebbene i termini «eletto/i, eleggere» non compaiano mai in
Giovanni nelle nostre Bibbie italiane (scegliere, scelto sì), questo lo si
evince dall’intero orizzonte biblico. Fin lì non c’erano altri eletti, se non
Gesù stesso (cfr. Lc 23,35) quale figlio di Davide (Sal 89,3; Is 42,1; Mt
12,18). In modo particolare erano i dodici discepoli eletti di Gesù (Gv
15,16.19; cfr. At 1,2.24; 10,41), sebbene uno di loro fosse conosciuto da Gesù
come il traditore (Gv 6,70; 13,18). ■ I Giudei
insistevano proprio sul fatto di essere figli di Abramo e quindi eletti
(Gv 8,39). Gesù disse loro: «Io so che siete progenie d’Abramo; ma cercate
d’uccidermi, perché la mia parola non penetra in voi» (Gv 8,37). Quindi la
loro elezione in Abramo senza la fede in Gesù quale Messia non serviva a nulla.
Così facendo, si comportavano in modo contrario rispetto ad Abramo (v. 56). Già
Giovanni Battista contestava loro il fatto di appoggiarsi su Abramo quale loro
padre per essere salvati o per piacere a Dio (Mt 3,7ss), indicando subito dopo
verso il Messia (vv. 11s). ■ Gesù
avvertì i Giudei del suo tempo che, rifiutando lui come Messia, si
sarebbero chiuso l’accesso al regno e alla salvezza. «V’ho detto che morrete
nei vostri peccati; perché se non credete che sono io (il Cristo), morrete nei
vostri peccati» (Gv 8,24). ■ I Giudei
nel loro complesso hanno rifiutato Gesù quale Messia. «È venuto in
casa sua, e i suoi non l’hanno ricevuto» (Gv 1,11). ■ Viene
evidenziato l’amore universale di Dio. «Dio ha tanto amato il mondo, che ha
dato il suo unigenito Figlio» (Gv 3,16a).
■ Viene evidenziato l’accesso alla salvezza per chiunque crede in Gesù
quale Messia, indipendentemente dalla sua appartenenza razziale. «…affinché
chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna» (Gv 3,16b). «A
tutti quelli che l’hanno ricevuto egli ha dato l’autorità di diventare figli di
Dio, a quelli, cioè, che credono nel suo nome;
13i quali non sono nati da sangue, né da volontà di carne, né da
volontà d’uomo, ma sono nati da Dio» (Gv 1,12s). ■ Viene
evidenziata la
responsabilità umana. «Chi crede nel Figlio ha vita eterna; ma chi
rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio resta sopra lui»
(Gv 3,36; cfr. 1 Gv 5,10; Gv 3,18; 8,46; 10,37s). ■ Versi come
Gv 6,37.44.65
si trovano all’interno di una complessa situazione storica e teologica ed erano
parte di un confronto e scontro di Gesù con i Giudei del suo tempo. Per non
polarizzarsi e per comprenderli in modo corretto, bisogna inserirli all’interno
di tale complessità storica e teologica specifica, come mostra il nostro schema
multipolare. Gesù non
contestava che i Giudei fossero figli d’Abramo e quindi parte del popolo eletto.
Gesù li avvertiva però che tale privilegio non bastava ai fini dell’entrata nel
regno di Dio e quindi ai fini della salvezza, se essi lo rifiutavano come il
Messia-Re, mandato da Dio. Sebbene facessero parte del popolo eletto, essi
chiudendosi alla testimonianza di Dio circa suo Figlio — essa fu data da Dio
Padre stesso mediante la propria voce, la Scrittura (Gv 5,39) e le opere potenti
compiute da Gesù (Gv 3,32ss; 5,36s; 8,18; 10,25), mediante Giovanni Battista (Gv
1,32; 3,26; 5,32s), gli apostoli (Gv 15,26; 19,35; 21,24) e in seguito mediante
lo Spirito Santo (Gv 15,26) — si ponevano da se stessi fuori del regno di Dio e
quindi fuori della salvezza (Gv 5,38s; 8,24; 10,26). I termini «testimoniare,
testimonianza» si trovano in 31 versi dell’Evangelo di Giovanni e nella
maggior parte dei casi si trattava appunto della testimonianza riguardo a Gesù
quale Messia. Solo quei Giudei che si aprivano alla testimonianza di Dio circa
suo figlio, potevano credere in Gesù quale Messia. Il seme era lo stesso, ma i
terreni differenti (Mt 13,4ss). Non bastava l’appartenenza razziale e l’essere
parte del popolo del patto, ma ci voleva un intervento del Padre (Gv 6,65) in
coloro che si aprivano alla sua testimonianza. Il Padre sapeva chi fossero
coloro che si erano aperti alla sua testimonianza e che erano disposti ad andare
a Gesù (Gv 6,37). Chi vedeva in lui solo il figlio di Giuseppe e non il Messia
venuto dal cielo (v. 42), non accettava tale testimonianza di Dio circa il suo
Figlio (v. 45), quindi non poteva essere attirato dal Padre verso Gesù (v. 44). Tutto ciò
aveva a che fare con la particolare contingenza storica e teologica del momento
(Gesù parlava a persone che erano parte del «popolo eletto) — non aveva quindi
nulla a che fare con una presunta dottrina filosofica della «doppia
predestinazione» del calvinismo, formulata a tavolino molti e molti secoli dopo
all’interno di un contesto storico, teologico e culturale completamente diverso.
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A1-Elezio_predestina_R56.htm
08-01-2008; Aggiornamento: 29-01-2008
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