Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Radici 5-6

 

Calvinismo

 

 

 

 

Oltre alle parti introduttive (Bibbia, AT) e al Giochimpara finale, il libro contiene due parti distinte dell’AT: l’Epoca Babilonese e l’Epoca Persiana. In appendice ci sono tre excursus:
■ I nomi ebraici di Dio
■ Il patto, i patti e i testamenti
■ La Bibbia fra criticismo e modernismo.

 

◘ Ecco le parti principali dell’Epoca babilonese («Libri storici e profetici III»):
■ L’epoca babilonese in generale
■ Sofonia
■ Habacuc
■ Geremia
■ Lamentazioni
■ Daniele
■ Ezechiele
■ Il tempo dell’esilio. 

 

◘ Ecco le parti principali dell’Epoca persiana («Libri storici e profetici IV»):
■ L’epoca persiana in generale
■ Esdra-Nehemia
■ Ester
■ Aggeo
■ Zaccaria
■ Malachia
■ L’epoca intertestamentaria.

 

► Vedi al riguardo la recensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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A PROPOSITO DI ELEZIONE E PREDESTINAZIONE

 

 di Gaetano Nunnari - Nicola Martella

 

1. Le tesi {Gaetano Nunnari}

2. Osservazioni e obiezioni {Nicola Martella}

 

Il lettore prende qui posizione riguardo all’articolo «Dio ama solo gli eletti?». Il seguente contributo avrebbe potuto trovare posto all’interno del tema di discussione «Dio ama solo gli eletti? Parliamone», ma a causa della sua lunghezza, della sua problematicità e della risposta, abbiamo preferito metterlo extra.

 

 

1. Le tesi {Gaetano Nunnari}

 

Ti scrivo per aggiungere un po’ di carne al fuoco sulla dottrina della doppia predestinazione. […] Come già sai, al momento la mia posizione pende verso la doppia predestinazione. E ci tengo a ribadire che di Calvino condivido solo questo! Ma non essendo succube d’una «sovrastruttura dottrinale» sono sempre disposto a cambiare idea se mi si convince, Bibbia alla mano, che mi sto sbagliando.

     Hai perfettamente ragione quando dici che la moralità di certi «predestinati» lascia a desiderare. Concordo! Ne sono rimasto scandalizzato (relativamente) io stesso! Però, come anche tu sai meglio di me, le «mele marce» sono dappertutto e quindi non si può basare la veridicità d’una dottrina su questi presupposti. Ciò che è stato detto gratuitamente in rete sul tuo conto da certi «predestinati» è stato davvero vergognoso. E come sai anche io ho preso le tue difese insieme a un altro fratello abbandonando poi tale forum.

     Fra i sostenitori della doppia predestinazione, ci sono stati diversi uomini che Dio ha usato per la sua gloria. Lutero con il suo «Servo arbitrio». Spurgeon, e ancora prima Agostino d’Ippona. Di nomi ce ne sono molti ma cito solo questi.

     Quindi la sovrastruttura dogmatica calvinista per Lutero e Agostino non è stata la causa di tale loro convinzione. Sono arrivati a ciò leggendo e meditando i passi delle scritture.

     Adesso però passiamo al dunque, e come si dice prendiamo il toro per le corna!

     ■ Giovanni 6,37: «Tutto quel che il Padre mi dà, verrà a me; e colui che viene a me, io non lo caccerò fuori».

     ■ Giovanni 6,44: «Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre, che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

 

Come saprai meglio di me, il greco in Gv 6,44 dice testualmente «se il Padre non lo trascina», quindi c’è una «grazia irresistibile» per farla breve.

     Questi versi sono molto espliciti, e nella mia ricerca tutti i commentari da me consultati o non commentano tali versi (essendo scomodi) o li commentano a favore della doppia predestinazione. Vediamo come te la caverai adesso con il tuo commento in merito! Chissà se riuscirai a convincermi.

     Sai qual è il problema? Che tu sei un predestinato, solo che ancora non te ne sei reso conto... {02-01-2008}

 

 

2. Osservazioni e obiezioni {Nicola Martella}

 

1.  Entriamo in tema su elezione e predestinazione

     Tralascio gli aspetti storici che sono leggibili in vari modi. Ad esempio, Agostino che avrebbe creduto alla predestinazione, si teneva una concubina anche dopo la conversione. Al tempo di Lutero e di Calvino la cultura occidentale era molto influenzata dall’Islam che risiedeva sia in Sicilia sia in Spagna.

     Credo io all’elezione divina o alla predestinazione? Sì, ci credo e lodo Dio per questo. Sono grato all’Onnipotente di avere un piano per la mia vita, di avermi chiamato e di avermi dato il privilegio di servirlo all’interno alla sua corporazione, l’assemblea messianica, per l’avanzamento del regno di Dio.

     ■ Che cos’è «l’elezione»?: È la scelta di Dio per attuare il suo piano nella storia. Dio scelse Abramo e gli fece grazia (Gn 12); poi gli diede il patto (Gn 15) e nella fase amministrativa gli diede una legge e dei comandamenti (Gn 17; 26,5). È l’elezione «irresistibile»? No, poiché fra i discendenti di Abramo, alcuni rimasero nel patto (Isacco, Giacobbe, ecc.), altri scelsero la via dell’autonomia (Ismaele, gli altri figli d’Abramo, Esaù, ecc.). Nei Salmi, ad esempio, i nemici di Davide facevano parte tutti del «popolo eletto», eppure erano empi, malvagi e nemici di Dio.

     Anche nel NT vediamo che la stragrande maggioranza del «popolo eletto», rifiutando Gesù quale Messia, è diventata addirittura una corporazione di nemici dell’Evangelo e, sebbene Dio non abbia rinunciato al suo piano futuro di salvezza verso di loro, anche al momento sono senza Cristo (Rm 11,28s).

     Il fatto che Gesù elesse Giuda non impedì a quest’ultimo di tradirlo (Gv 6,64; Gv 13,11). Il fatto che Egli scelse Pietro non impedì a quest’ultimo di rinnegarlo tre volte (Mt 26,34s; Gv 13,38 è lesa maestà). Il fatto che Egli scelse gli altri discepoli non impedì ad alcuni loro di essere increduli (Gv 6,64) e a tutti di abbandonarlo (Mt 26,56 alto tradimento; nonostante i loro propositi, v. 35). Gesù l’aveva preannunciato (Mc 14,27). Come si vede, l’elezione divina da sola non basta né è «irresistibile», se non si concretizza in una scelta personale e nella volontà di ubbidire a Gesù quale Messia promesso. Alla fine, tutti questi eletti, erano rei di lesa maestà e di alto tradimento. Come mostra il caso dei due discepoli di Emmaus, essi erano anche alquanto confusi (Lc 24,21). Il caso di Tommaso, mostra l’incredulità anche dopo l’annuncio della risurrezione (Gv 20,25).

     L’elezione è quindi la semplice chiamata di Dio o di Cristo a seguirlo (Mt 9,9; Gv 1,43; 21,22 nuova chiamata di Pietro), a entrare nel suo patto e a diventare parte del suo piano per la realizzazione del «regno di Dio». Non tutti i chiamati da Gesù lo seguirono (Mc 8,21; 10,21) e anche molti di coloro che in un primo momento lo seguirono, in seguito si dissociarono da lui (Gv 6,66; cfr. anche Mt 13,21; 24,10; Lc 7,23).

     In 2 Ts 2,13 ricorrono insieme i termini «eletti» e «salvezza», ma qui Paolo intendeva i fratelli che erano stati già chiamati eis sōtērían «in vista della salvezza» (aspetto futuro?), concretizzata mediante la «santificazione nello Spirito» (aspetto divino) e la «fede nella verità» (aspetto umano); qui Paolo non affrontò altri aspetti. In 2 Tm 2,9s Paolo, trovandosi in carcere, affermò che, non essendo la parola di Dio incatenata, sopportava tutto a causa degli eletti affinché anch’essi conseguissero la salvezza; l’aggiunta «con gloria eterna», mostrava il futuro di tale salvezza. Qui gli «eletti» non erano una casta speciale né un numero chiuso, ma semplicemente i chiamati mediante l’annuncio dell’Evangelo. Paolo non affrontò la questione se esistessero dei «non eletti» o «non chiamati». Si trattava di una piena proclamazione dell’Evangelo, perché «tutti i Gentili l’udissero» (2 Tm 4,17), e dell’annuncio della «salvezza d’ogni credente», sia Giudeo sia Gentile (Rm 1,16). Il suo intento era di «guadagnarne il maggior numero» possibile (1 Cor 9,19ss), senza preclusioni mentali e dottrinali.

     ■ Che cos’è la «predestinazione»?: È il piano di Dio per la realizzazione del suo regno, piano che coinvolge individui all’interno di una corporazione, l’assemblea messianica. Si noti che mai nella Bibbia qualcuno ha detto: «Dio mi ha predestinato» (né tanto meno ha aggiunto «a salvezza»)! Noi occidentali, malati di individualismo e di narcisismo, vorremmo che ci fosse scritto, ma non è così. La Scrittura privilegia al riguardo gli aspetti collettivi (Rm 8,29 quelli, loro, molti fratelli; v. 30 quelli, loro; 1 Cor 2,7 a nostra gloria; Ef 1,5 noi, suoi figli; v. 11 noi, eredi).

     ■ Che cos’è la «doppia predestinazione»?: Trarre da tre brani (Rm 8,28ss; 1 Cor 2,7; Ef 1,5.11), in cui compare il verbo «predestinare» (il sostantivo «predestinazione» non compare per nulla!), una dottrina così centrale per i calvinisti e così gravida di conseguenze, è rischioso come voler camminare con i pattini da ghiaccio sulla lama di un coltello. La cosiddetta «doppia predestinazione» è un tipico falso sillogismo, basato su premesse ideologiche poste alla base del proprio pensiero in modo aprioristico. Si afferma che se Dio ha predestinato alcuni a salvezza, deve aver predestinato altri a perdizione. E qui sta il verme del falso sillogismo, che pretende di fare asserzioni specifiche su cose che non si possono accertare con chiare asserzioni bibliche né con un esperimento. Si noti che predestinare, salvare, redimere, riscattare e simili e loro derivati non compaiono mai insieme nella Bibbia! La predestinazione è il piano di Dio; avendo Egli riconciliato il mondo con sé, tale piano vale per chiunque crede, senza esclusioni. È quindi una costruzione dogmatica che sembra trovare la sua «logica» solo all’interno di una costruzione filosofica o sovrastruttura ideologica.

 

 

2.  I brani in questione

     Quanto a Gv 6,37.44 c’è da dire che è tipico per chi parte da un’ideologia dogmatica trarre da un complesso contesto com’è Gv 6 dei versi e fare dire loro ciò che l’apriorismo dottrinale detta. Chi fa «versettologia» prescinde dal contesto letterario, storico, culturale, ecc. Gli interessa solo quel particolare, indipendentemente dal resto. Poi l’associa ad altri versi, anch’essi denaturati dal loro contesto, e infine formula una «dottrina» che sembra illuminante, ma che è solo la conseguenza di un falso sillogismo.

     Agli ideologi dottrinali non interessa tanto sapere che Gv 6-8 mostrano un profondo scontro teologico fra Gesù, che dichiara d’essere il Messia mandato da Dio, e i Giudei che lo rifiutano come tale e anzi gli rinfacciano di agire per la potenza di Belzebù. Al centro di tale brano c’è una decisione storica anche fra i suoi discepoli: mentre molti, essendo increduli (v. 64), si ritrassero indietro (Gv 6,66), Pietro lo riconobbe come detentore di «parole di vita eterna» (v. 68) e «Santo di Dio» (v. 69), ossia come il Messia-Re promesso; a ciò si associarono anche gli altri undici, sebbene uno di loro, sebbene Gesù lo avesse scelto, era un «diavolo» (vv. 64.70s).

     Nei brani paralleli dei Sinottici, in cui compare tale riconoscimento storico di Gesù quale Messia da parte di Pietro («Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente»; Mt 16,16), Gesù dichiarò che «non la carne e il sangue t’hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli» (v. 17). Questo rispecchiava proprio ciò che Gesù disse alla fine del suo lungo discorso: «Per questo v’ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è dato dal Padre» (Gv 6,65); infatti, «d’allora molti dei suoi discepoli si ritrassero indietro e non andavano più con lui» (v. 66). Non era più l’appartenenza etnica a essere importante, ma l’accettazione della testimonianza del Padre circa Gesù quale Messia (cfr. Gv 8).

     In Gv 6 (-8) Gesù si propose al giudaismo proprio come il Messia-Re proceduto da presso Dio (Gv 6,29), cosa che i Giudei rifiutarono e addirittura, scandalizzati, volevano ucciderlo. In Gv 6 essi volevano vedere in lui il figlio di Giuseppe (v. 42). Gesù si propose come il Messia disceso dal cielo e come mediatore di salvezza (vv. 38ss). Vedendo l’incredulità dei Giudei, li scandalizzò con un discorso estremo in cui Egli si propose come «pane disceso dal cielo», ossia la nuova manna divina (vv. 41.48.51). La salvezza divina sarebbe dipesa da lì in poi dalla fede esercitata in Lui quale Messia (vv. 39s.47.58s).

 

 

3.  Multipolarità contro parzialità ideologiche

 

L’accesso multipolare alla realtà

     Il rischio di polarizzarsi su certi aspetti della realtà, del pensiero, delle idee, della teologia, della dottrina e di quant’altro è grande. Ciò avviene evidenziando certi aspetti a discapito di altri; la dialettica, il falso sillogismo e l’ideologia di riferimento fa poi il resto. Noi uomini non abbiamo un accesso diretto alla verità, ma solo indiretto. La verità, per accedervi, ci dev’essere rivelata. Ora la verità biblica ci è stata rivelata, ma in essa non è tutto evidente per noi. A ciò si aggiunga che siamo portati a interpretare la verità rivelata con la cultura dei nostri giorni, con le nostre appartenenze, le nostre convenienze e i nostri bisogni.

     Per non snaturare la verità rivelata in senso ideologico, bisogna per prima cosa praticare un’esegesi contestuale rigorosa. Per certi temi come «chi è Dio?», «chi sono io?», «com’è la realtà?», non si può procedere con una scelta a priori, che si cerca poi di verificare con la Bibbia e con l’esperienza. In queste come in alte questioni una scelta di parte (p.es. Dio è solo amore; Dio è solo giustizia) porta a mortificare la realtà, a deturparla e a snaturarla. Per tale motivo si creano molte polarizzazioni ideologiche, a cui altri rispondono con il contrappasso; la medicina può essere peggio della malattia. Sul piano biblico, per noi l’unica possibilità di accedere alla verità è di comporre uno schema multipolare in cui su un certo tema vengono messe in relazione tutte le coppie antinomiche che ricorrono nella sacra Scrittura, senza rimuovere o sopprimere alcuno di questi elementi chiave.

     Questo accesso descrittivo alla realtà è tipico degli scrittori biblici; al contrario le ideologie si creano su ipotesi che divengono prima dichiarazioni ad alta probabilità, poi tesi aprioristiche, quindi paradigmi assoluti e infine sovrastrutture ideologiche (cfr. la teoria del Big Bang, l’evoluzionismo). Similmente avviene in campo dottrinale, dove alcune affermazioni si basano su elementi parziali, su apriorismi, sul falso sillogismo, sulla dialettica, sull’esperienza, eccetera. Gli scrittori biblici, invece di definire in modo assoluto la realtà, la descrivono. Questo è un atto di umiltà. Descrivendo la realtà del mondo, di Dio o dell’uomo, essi usano proprio il metodo della multipolarità. Ad esempio, per capire Dio, descrivendolo senza polarizzarlo, è stata formulata questa dichiarazione di fede nel vecchio patto: «Jahwè è lento all’ira e grande in clemenza; egli perdona l’iniquità e il peccato, ma non lascia impunito il colpevole, e punisce l’iniquità dei padri sui figli, fino alla terza e alla quarta generazione» (Nu 14,18; cfr. Es 34,7; Na 1,2s). Certo a questa dichiarazione di fede del vecchio patto bisogna aggiungere quelle del nuovo patto, ad esempio quelle che riguardano l’azione salvifica di Dio verso il mondo (Gv 3,16; Rm 11,15; 2 Cor 5,19; 1 Tm 2,4).

 

La multipolarità applicata a elezione e predestinazione

     Dio ha fatto una doppia scelta, in un punto specifico dell’eternità, nel senso della sedicente dottrina della «doppia predestinazione»? Se mai c’è stato qualcosa del genere, la sacra Scrittura non lo rivela in modo chiaro, evidente e incontrovertibile; anzi, essa mi convince di no. Dio aveva (e ha) tutto il diritto (pre-)destinare gli uni a salvezza e gli altri a perdizione, ma che lo abbia fatto è tutt’altra cosa. Se qualcosa del genere sia mai accaduto, è un mistero che risiede solo in Dio e di cui la Scrittura non ce ne parla; ora ciò che in essa non è chiaro, evidente e incontrovertibile può essere solo oggetto di riflessione, non di asserzione dottrinale.

     Una grande tentazione è togliere versi da un contesto (p.es. Gv 6,37.44.65) e inserirli all’interno di una logica dogmatica, secondo i dettami di una sovrastruttura ideologica (qui la sedicente «doppia predestinazione»).

     Per non polarizzarsi e diventare unilaterali e faziosi, bisogna convenire che — come già detto — certe verità della Bibbia si possono sondare solo procedendo con un metodo multipolare. Amore e giustizia in Dio, misericordia e giudizio, elezione divina e responsabilità umana, amore divino e condanna eterna, elezione d’Israele e universalismo dell’Evangelo, e così via — temi del genere si prestano a interpretazioni unilaterali e faziose, quando si sceglie a priori per uno di questi binomi, secondo le proprie preferenze o per appartenenza dottrinale e ideologica. L’unico rimedio per accedere alla verità della Scrittura è proprio quello di rimanere sulla base della multipolarità, senza annacquare dialetticamente le questioni contrapposte (p.es. amore e giustizia), senza sbilanciarsi da una sola parte e senza cercare sintesi che mortificano solo la verità (oltre che la ragione). Per certe questioni la risposta sta fuori della relativa contrapposizione dei termini; per altre la risposta è un mistero che risiede in Dio e si fa bene perciò a resistere alla tentazione di «risolvere» ideologicamente tale «mistero» mediante forme del falso sillogismo. La realtà di Dio e delle cose presso Dio possono avere un’altra logica, a noi inaccessibile, per le cose che non ha rivelato in modo chiaro, evidente e incontrovertibile.

     Ecco alcuni aspetti della multipolarità nell’Evangelo di Giovanni, che è altamente teologico, riguardo a tale tema.

     ■ Israele è il popolo eletto di Dio (1 Re 3,8; 1 Cr 16,13; Sal 105,6; Is 41,8; 43,20; 44,1s; 45,4). Sebbene i termini «eletto/i, eleggere» non compaiano mai in Giovanni nelle nostre Bibbie italiane (scegliere, scelto sì), questo lo si evince dall’intero orizzonte biblico. Fin lì non c’erano altri eletti, se non Gesù stesso (cfr. Lc 23,35) quale figlio di Davide (Sal 89,3; Is 42,1; Mt 12,18). In modo particolare erano i dodici discepoli eletti di Gesù (Gv 15,16.19; cfr. At 1,2.24; 10,41), sebbene uno di loro fosse conosciuto da Gesù come il traditore (Gv 6,70; 13,18).

     ■ I Giudei insistevano proprio sul fatto di essere figli di Abramo e quindi eletti (Gv 8,39). Gesù disse loro: «Io so che siete progenie d’Abramo; ma cercate d’uccidermi, perché la mia parola non penetra in voi» (Gv 8,37). Quindi la loro elezione in Abramo senza la fede in Gesù quale Messia non serviva a nulla. Così facendo, si comportavano in modo contrario rispetto ad Abramo (v. 56). Già Giovanni Battista contestava loro il fatto di appoggiarsi su Abramo quale loro padre per essere salvati o per piacere a Dio (Mt 3,7ss), indicando subito dopo verso il Messia (vv. 11s).

     ■ Gesù avvertì i Giudei del suo tempo che, rifiutando lui come Messia, si sarebbero chiuso l’accesso al regno e alla salvezza. «V’ho detto che morrete nei vostri peccati; perché se non credete che sono io (il Cristo), morrete nei vostri peccati» (Gv 8,24).

     ■ I Giudei nel loro complesso hanno rifiutato Gesù quale Messia. «È venuto in casa sua, e i suoi non l’hanno ricevuto» (Gv 1,11).

     ■ Viene evidenziato l’amore universale di Dio. «Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio» (Gv 3,16a).

            ■ Viene evidenziato l’accesso alla salvezza per chiunque crede in Gesù quale Messia, indipendentemente dalla sua appartenenza razziale. «…affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna» (Gv 3,16b). «A tutti quelli che l’hanno ricevuto egli ha dato l’autorità di diventare figli di Dio, a quelli, cioè, che credono nel suo nome; 13i quali non sono nati da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d’uomo, ma sono nati da Dio» (Gv 1,12s).

     ■ Viene evidenziata la responsabilità umana. «Chi crede nel Figlio ha vita eterna; ma chi rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio resta sopra lui» (Gv 3,36; cfr. 1 Gv 5,10; Gv 3,18; 8,46; 10,37s).

     ■ Versi come Gv 6,37.44.65 si trovano all’interno di una complessa situazione storica e teologica ed erano parte di un confronto e scontro di Gesù con i Giudei del suo tempo. Per non polarizzarsi e per comprenderli in modo corretto, bisogna inserirli all’interno di tale complessità storica e teologica specifica, come mostra il nostro schema multipolare.

     Gesù non contestava che i Giudei fossero figli d’Abramo e quindi parte del popolo eletto. Gesù li avvertiva però che tale privilegio non bastava ai fini dell’entrata nel regno di Dio e quindi ai fini della salvezza, se essi lo rifiutavano come il Messia-Re, mandato da Dio. Sebbene facessero parte del popolo eletto, essi chiudendosi alla testimonianza di Dio circa suo Figlio — essa fu data da Dio Padre stesso mediante la propria voce, la Scrittura (Gv 5,39) e le opere potenti compiute da Gesù (Gv 3,32ss; 5,36s; 8,18; 10,25), mediante Giovanni Battista (Gv 1,32; 3,26; 5,32s), gli apostoli (Gv 15,26; 19,35; 21,24) e in seguito mediante lo Spirito Santo (Gv 15,26) — si ponevano da se stessi fuori del regno di Dio e quindi fuori della salvezza (Gv 5,38s; 8,24; 10,26). I termini «testimoniare, testimonianza» si trovano in 31 versi dell’Evangelo di Giovanni e nella maggior parte dei casi si trattava appunto della testimonianza riguardo a Gesù quale Messia. Solo quei Giudei che si aprivano alla testimonianza di Dio circa suo figlio, potevano credere in Gesù quale Messia. Il seme era lo stesso, ma i terreni differenti (Mt 13,4ss). Non bastava l’appartenenza razziale e l’essere parte del popolo del patto, ma ci voleva un intervento del Padre (Gv 6,65) in coloro che si aprivano alla sua testimonianza. Il Padre sapeva chi fossero coloro che si erano aperti alla sua testimonianza e che erano disposti ad andare a Gesù (Gv 6,37). Chi vedeva in lui solo il figlio di Giuseppe e non il Messia venuto dal cielo (v. 42), non accettava tale testimonianza di Dio circa il suo Figlio (v. 45), quindi non poteva essere attirato dal Padre verso Gesù (v. 44).

     Tutto ciò aveva a che fare con la particolare contingenza storica e teologica del momento (Gesù parlava a persone che erano parte del «popolo eletto) — non aveva quindi nulla a che fare con una presunta dottrina filosofica della «doppia predestinazione» del calvinismo, formulata a tavolino molti e molti secoli dopo all’interno di un contesto storico, teologico e culturale completamente diverso.

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A1-Elezio_predestina_R56.htm

08-01-2008; Aggiornamento: 29-01-2008

 

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