1.
LE QUESTIONI:
Ho ricevuto la seguente lettera con la richiesta di chiarimento (formattazione
redazionale).
[...] Ti contatto perché vorrei conoscere il tuo punto di vista sul significato
del termine «chaírō» che troviamo in 2
Giovanni 1,10-11. Non essendo un grecista, ho difficoltà nel farmi un’idea
solida riguardo al suo effettivo significato in quel contesto giovanneo.
Questa mia curiosità è nata dopo aver scoperto quello. che affermano i seguaci
della «Torre di guardia» su una
loro rivista. Eccola: «Qui Giovanni usò
chaírō, che indicava un saluto tipo “buon giorno” o “ciao” (Atti 15,23;
Matteo 28,9), non usò aspázomai (come
nel versetto 13), che significa “abbracciare e, pertanto, salutare, dare il
benvenuto”, e che poteva quindi riferirsi a un saluto molto caloroso,
accompagnato da un abbraccio (Luca 10,4; 11,43; Atti 20,1,37; 1 Tessalonicesi
5,26). Perciò le istruzioni di 2 Giovanni 11 potevano ben voler dire di non
rivolgere a costoro nemmeno un semplice “buon giorno”» («La Torre di Guardia»
del 15 aprile 1988, pag. 27).
Come puoi vedere, non viene citato nessuna dizionario per confermare ciò, che
scrivono. Quindi, vorrei capire se in 2 Giovanni venga effettivamente utilizzato
come riferimento ad un saluto convenzione tipo il nostro «buongiorno» o
«buonasera». [...] {Marco La Terra; 26/09/2020}
2.
L’ANALISI TESTUALE:
Il testo in esame è il seguente, che verifichiamo sul greco: «Se
qualcuno viene verso
di voi e non porta questo insegnamento, non lo prendete
in casa, e non ditegli: “Salute!”. [11]
Infatti, chi gli dice: “Salute!”, partecipa alle opere sue, quelle malvagie»
(2 Gv 1,10s).
L’autore uso insieme alla particella ei
«se» il pres. ind.
érchetai «viene», invece
del pres. cong. érchētai
«venga», per evidenziare che l’arrivo di cattivi maestri non era un’eventualità
soltanto, ma una prassi oramai consolidata nel tempo.
La locuzione «questo
insegnamento (didachḗ)»
si riferisce all’«insegnamento di Cristo» (v. 9), che contempla la confessione
di «Gesù Cristo venuto in carne» (v. 7). Ciò contrastava con la
dottrina gnostica, secondo cui lo
spirito di Cristo si sarebbe incorporato (come in una specie di possessione)
dell’uomo Gesù di Nazaret al momento del battesimo, per abbandonarlo appena
prima che Gesù fosse crocifisso. E ribadivano, perciò, a morire sarebbe stato
solo un uomo, non il Dio presso Dio (Gv 1,1s), che si è «fatto carne» (v. 14).
Questi sono i «molti seduttori» e «l’anticristo», che smembrano l’unità di «Gesù
Cristo venuto in carne» (2 Gv 1,7). Chi nega l’incarnazione di Gesù Cristo, non
ha Dio, quindi né il Padre né il Figlio di Dio (v. 10), essendo questo il
fondamento della dottrina del nuovo patto.
Perciò, curiosamente, meraviglia che proprio i seguaci della
Torre di guardia, che non
credono «Dio era il Logos» (Gv 1,1), essendo Dio presso Dio (v. 2), che «divenne
carne» (v. 14), pongano una questione del genere!
La locuzione «non
lo prendete (lambánō)
in casa» significa «non lo
ospitate». A quel tempo, andavano in giro molti predicatori, alcuni legittimi
(cfr. 3 Gv 1,5-8; At 21,17) e altri falsi (cfr. Gal 2,4), che costituivano un
serio pericolo per i credenti (cfr. Col 2,8.18 con 2 Gv 1,8).
La locuzione chaírein
autõi mḕ léghete
significa letteralmente «non
dite di salutarlo» o, meglio;
«non ditegli: “Salute!”»; nel
verso 10 si tratta di un imperativo presente (autõi
mḕ léghete «non ditegli [esprimete,
proferite, pronunciate, ecc.]!») con infinito presente (chaírein «salutare,
dire: “Salute!”»), per evidenziare una norma valida sempre; dinamicamente
intende «non gli rivolgete il
saluto». Si tratta di un
espressione idiomatica. Nel verso 11 si trova la stessa espressione, ma col
verbo légō «dire» al part. pres. att., che evidenzia la continuità. Di per
sé il verbo chaírō
significa «rallegrarsi, gioire; star bene, godere, prosperare» e,
specialmente nei saluti, finì per significare «augurare
salute, ossia di star bene, di prosperare». «Salute!» e «saluto, salutare
(augurare salute, dare il saluto)» sono in corrispondenza dinamica.
3.
RISPOSTE ALLA TORRE DI GUARDIA
3.1. IL VERBO
CHAÍRŌ:
La rivista «La Torre di guardia» afferma che Giovanni avrebbe usato
chaírō
come «un saluto tipo “buon giorno” o “ciao”». E conclude: «Perciò le
istruzioni di 2 Giovanni 11 potevano ben voler dire di non rivolgere a costoro
nemmeno un semplice “buon giorno”». Le cose stanno veramente così?
Abbiamo visto che il verbo chaírō
significa «rallegrarsi, gioire»[1],
quindi anche «star bene, prosperare». E abbiamo visto che nei saluti, fu usato
per significare «augurare salute, di
star bene, di prosperare». Perciò, degradare
chaírō all’augurare
qualcosa come «buon giorno» o «ciao», è fuori luogo. Vi sembra che Gesù
si sia rivolto con un «ciao» alle donne, dopo la risurrezione? Egli
si
fece loro incontro, dicendo (légōn):
Chaírete!
(pres imp. att.) «Salute a voi!» o «Vi saluto!»
(Mt 28,9a). E qui non manca neppure il contatto fisico, vista la gioia di
rivedersi, che spinse spontaneamente le donne a fare questo: «Esse,
avvicinatesi, gli strinsero i piedi e
lo adorarono» (v. 9b). Il modo di fare di Giuda era quello consueto
fra Gesù e i discepoli, vista l’usualità del gesto anche nei pressi del
Getsemani: «E in quell’istante,
accostatosi a Gesù, gli disse: “Salute a te [chaĩre], Rabbi!”; e gli
dette un lungo bacio» (Mt 26,49); si noti qui la presenza del verbo
chaírein e il bacio.
Nella lettera ufficiale, che gli
apostoli e anziani di Gerusalemme scrissero ai fratelli delle chiese
gentili, essi non iniziarono dicendo «buon giorno» o «ciao», ma
chaírein, ossia con un gioioso auspicio di «salute, prosperità,
ecc.» (At 15,23). E conclusero con érrōsthe (perf. imp.) «State
sani!» (v. 29), ossia con un altro augurio di salute. E così fece Giacomo,
scrivendo ai Giudei cristiani: «Salute! [chaírein]» (Gcm 1,1).
3.2. IL VERBO
ASPÁZOMAI: La rivista
«La Torre di guardia» afferma che
aspázomai significherebbe «abbracciare e, pertanto, salutare, dare il
benvenuto» e che «poteva quindi riferirsi a un saluto molto caloroso,
accompagnato da un abbraccio». Le cose stanno veramente così?
■
Saluti fra vari credenti e chiese: Salutare la chiesa, i fratelli o
gli anziani poteva avvenire col verbo
aspázomai (At 18,22; 21,7.19) o semplicemente con la formula «grazia [a voi]
e pace [da
Dio...]»[2] e simili
espressioni.[3] Il
termine «pace» (ebr. šalôm) intendeva
anche «salute, benessere, prosperità», cose che, come abbiamo visto, anche il
verbo chaírō esprimeva. Il
saluto poteva essere molto più complesso di un solo verbo, ad esempio: «Amato, io desidero che ti vada bene in ogni
cosa e tu sii sano, come va bene all’anima tua» (3 Gv 1,2).
Paolo incaricò i credenti, a cui scrisse, così: «Salutate Prisca e Aquila, miei collaboratori in
Cristo Gesù... [5] anche la chiesa che è in casa loro» (Rm 16,3.5
aspázomai). Così, con lo stesso
verbo, i saluti andarono a vari credenti, che Paolo conosceva in Roma, tra cui
ricorrevano suoi cari amici e parenti (vv. 6-15).[4]
E
Paolo concluse così: «Salutatevi
gli uni gli altri con un santo bacio. Tutte le assemblee di Cristo vi salutano»
(v. 16 aspázomai
x2). Poi seguirono i saluti da parte di quanti erano con Paolo (vv. 21ss
aspázomai
x5).
Altrove avvenne similmente il saluto da parte di credenti e delle assemblee
della provincia Asia ai credenti di Corinto (1 Cor 16,19s
aspázomai
x4), a cui seguì il suo saluto personale (v. 21
aspasmós). Così pure avvenne alla fine
di altre epistole di Paolo e di altri scrittori.[5] Allo
stesso modo avvenne nelle epistole personali.[6]
■
Attenzione al falso sillogismo:
Come abbiamo visto, si afferma che
aspázomai dovrebbe intendere di più di
chaírō, significando «tirare a sé,
salutare, ecc.», abbracciandosi e
baciandosi. Tuttavia, queste sono false conclusioni. Chiediamo, però: Come si
può, ad esempio, abbracciare una casa?
Infatti, Gesù disse ai suoi discepoli: «E
quando entrerete nella casa, salutatela [aspásasthe]» (Mt 10,12),
ossia augurandole «pace» (v. 12).
A ciò si aggiunga che i convenzionali
saluti nelle piazze erano proprio indicati con
aspasmós «saluto» (Mt 23,7), il
sostantivo di
aspázomai
(il verbo ricorre in Mc 12,38), senza che ciò richieda un abbraccio o un bacio,
tanto più che i farisei avevano paura di contaminarsi col contatto fisico;
probabilmente il saluto era semplicemente: «Rabbi!»,
come lo indicò Gesù, o «Salute, Rabbi!»
(cfr. Mt 26,49). La folla anonima accorse a salutare Gesù, senza che si
parli di abbracci o baci (Mc 9,15
aspázomai).
Nel caso di Elisabetta, visitata
Maria, troviamo
aspázomai «salutare» (v. 40) e
aspasmós «saluto» (vv. 41.44);
tuttavia, non sono evidenziati espressamente abbracci e baci fra le due parenti,
ma solo il sussulto del feto nel grembo di Elisabetta (v. 41b).
Gesù, dando un incarico ai discepoli, comandò loro «E
non
salutate [aspásēsthe]
alcuno per via» (Lc 10,4); anche qui non ci sono abbracci, ma una
prpibizione. Si noti il parallelo con 2 Giovanni 1,10-11, dove però
ricorre chaírein. I due termini
sono semplicemente sinonimi.
L’esortazione di salutarsi col santo
bacio (Rm 16,16; 1 Cor 16,20; 2 Cor 13,12; 1 Ts 5,26; 1 Pt 5,14), ha portato
alla falsa conclusione che il verbo
aspázomai contenga già in sé l’idea della vicinanza e dell’abbraccio
affettuoso, ma non è così; e lo
dimostra proprio l’aggiunta della locuzione «col santo bacio». Abbiamo visto che
il bacio poteva essere concomitante anche al saluto, espresso col verbo
chaírō (Mt
26,49). A ciò si aggiunga che, riguardo alle promesse, i credenti dell’antico
patto le avevano «vedute e
salutate da lontano» (Eb 11,13
aspázomai); qui non ci sono né vicinanza né abbracci.
3.3. I VERBI
CHAÍRŌ E
ASPÁZOMAI: Se si
fa ideologia, si crede che il verbo
aspázomai abbia una marcia in più rispetto a
chaírō,
ma non è così, essendo semplicemente
sinonimi.
■
Saluti istituzionali:
Similmente fece il tribuno
Claudio Lisia, scrivendo «all’eccellentissimo
governatore Felice. Salute! [chaírein]» (At 23,26); non ci si rivolge a un
procuratore con un «ciao». leggiamo pure che «Agrippa e Berenice
arrivarono a Cesarea, per
salutare Festo» (At 25,13
aspázomai); ambedue i verbi sono semplicemente sinonimi.
■
Sinonimia dei termini: Quanto la tesi della «Torre di guardia» sia
inconsistente, si vede nei brani in cui
ambedue i termini compaiono insieme. Dopo che Pilato fece flagellare Gesù,
lo abbandonò alla crocifissione. Allora soldati si divertirono con Gesù,
facendosi beffe di Lui: lo vestirono come re, ma con una corona di spine
e «cominciarono
a salutarlo [aspázesthai]: “Salute a te [chaĩre],
Re dei Giudei!”» (Mc 15,18), continuando poi con le angherie.
Qui di abbracci non c’era traccia, anzi al contrario. I due verbi sono
semplicemente sinonimi.
L’inviato celeste disse a Maria:
«Salute
a te [chaĩre],
o aggraziata; il Signore è con te» (Lc 1,28). Ella, essendo rimasta
turbata, «rifletteva: “Che
specie di saluto [aspasmós] è mai questo?”» (v. 29). Possibile che, in tale
momento solenne, il messo celeste abbia detto a Maria semplicemente «buongiorno»
o «ciao»!?
4. EVIDENZE RISULTANTI:
La tesi iniziale della «Torre di Guardia» riguardo ai falsi maestri era
che Giovanni avrebbe ingiunto ai credenti «di non rivolgere a costoro
nemmeno un semplice “buon giorno”».
Come abbiamo mostrato, essa è
semplicemente falsa! La locuzione
«Salute a te
[chaĩre]»
(cfr.
Lc
1,28 l’inviato celeste a Maria) o
«Salute a
voi [chaírete]» (Mt 28,9 il
Risorto alle donne) poteva esprimere un saluto per momenti solenni e importanti,
che non si possono affrontare con un semplice «ciao!» o «buon giorno!».
In ebraico salutare qualcuno significava «dire a qualcuno
šalôm». Ad esempio, i fratelli di Giuseppe «l’odiavano, e
non potevano dargli il
saluto [šālôm]» (Gn 37,4 lett. «non
potevano dirgli: “Alla salute!” [daberô lešalôm]»,
ossia «Salve!» o «Salute!»).[7] I
paralleli con il verbo chaírō
e con 2 Giovanni 1,10s sono evidenti.[8]
[1]. Mt
8,13 chaírein ep’autõi; Rm
12,15 vs. piangere; 2 Cor 2,3 vs.
aver tristezza;
cfr. anche
chaírete «rallegratevi!» Mt 5,18; Lc 10,20; 2 Cor 13,11; Fil 2,18; 3,1.4.4; 1 Ts
5,16; 1 Pt 4,13.
[2]. Cfr.
Rm 1,7; 1 Cor 1,1; 2 Cor 1,1; 1 Ts 1,1; Tt 1,4.
[3].
Cfr. 1 Tm 1,2; = 2 Tm 1,2; 1 Pt 1,2; = 2 Pt 1,2.
[4].
Maria (v. 6), a
Andronico e
Giunio (v. 7), Ampliato (v. 8), Urbano e Stachi
(v. 9), Apelle (v. 10), Erodione (v. 11),
Trifena e Trifosa e Perside (v. 12), Rufo e sua
madre (v. 13). Poi, aggiunse: «Salutate
Asincrito, Flegonte, Erme, Patroba, Erma, e i
fratelli che son con loro. [15] Salutate
Filologo e Giulia, Nereo e sua sorella, e
Olimpia, e tutti i santi che sono con loro» (vv. 14s
aspázomai x2).
[5]. 2 Cor
13,12
aspázomai x2;
Fil 4,21s
aspázomai x3; Col 4,10.12.14s
aspázomai x4;
v. 18
aspasmós; 1 Ts 5,26
aspázomai;
2 Ts 2,17
aspasmós; Eb 13,24s
aspázomai x2; 1 Pt
5,13s
aspázomai x2.
[6]. 2 Tm
4,19.21
aspázomai x2; Tt 3,15
aspázomai x2; Flm 1,23
aspázomai; 2 Gv 1,13
aspázomai; 2 Gv 1,15
aspázomai
x2.
[7].
Il termine
šālôm
compare nelle formule di
saluto
quale augurio di benessere (cfr. Es 18,7; 1 Sm
10,4; 25,5s; 30,21; 2 Sm 8,10; 1 Cr 18,10).
[8].
L’ebraico conosce la locuzione
jôm
ṭôb
«buon
giorno» (così in 1 Sm 25,8; Est 9,19; LXX
hēméra agathḗ; cfr. Ec 7,14
jôm
ṭôbāh
«giorno di bontà» [LXX
hēméra
agathōsýnē];
cfr. 1 Pt 3,10
hēmérai agathái «giorni buoni»). Oggigiorno gli
Ebrei si salutano con
jôm
ṭôb
«buon giorno».
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A-Tdg_saluto_MT_AT.htm
12/11/2020; Aggiornamento: |