Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Manuale Teologico dell’AT

 

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Dopo una introduzione alle problematiche della teologia dell’AT, segue il dizionario teologico dell’AT.

   Ecco le parti principali dell’introduzione alla teologia dell’AT:
■ Il compito e l’oggetto della Teologia dell’AT
■ Le posizioni teologiche più ricorrenti
■ I patti e gli altri approcci
■ Contro l’appiattimento storico e teologico dell’AT.

 

Al dizionario teologico dell’AT sono acclusi un registro delle voci e un registro ragionato delle stesse detto «percorsi teologici».

 

► Vedi al riguardo le recensioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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LA «TORRE DI GUARDIA» E IL SALUTO

 

Nicola Martella

 

1.  LE QUESTIONI: Ho ricevuto la seguente lettera con la richiesta di chiarimento (formattazione redazionale).

     [...] Ti contatto perché vorrei conoscere il tuo punto di vista sul significato del termine «chaírō» che troviamo in 2 Giovanni 1,10-11. Non essendo un grecista, ho difficoltà nel farmi un’idea solida riguardo al suo effettivo significato in quel contesto giovanneo.

     Questa mia curiosità è nata dopo aver scoperto quello. che affermano i seguaci della «Torre di guardia» su una loro rivista. Eccola: «Qui Giovanni usò chaírō, che indicava un saluto tipo “buon giorno” o “ciao” (Atti 15,23; Matteo 28,9), non usò aspázomai (come nel versetto 13), che significa “abbracciare e, pertanto, salutare, dare il benvenuto”, e che poteva quindi riferirsi a un saluto molto caloroso, accompagnato da un abbraccio (Luca 10,4; 11,43; Atti 20,1,37; 1 Tessalonicesi 5,26). Perciò le istruzioni di 2 Giovanni 11 potevano ben voler dire di non rivolgere a costoro nemmeno un semplice “buon giorno”» («La Torre di Guardia» del 15 aprile 1988, pag. 27).

     Come puoi vedere, non viene citato nessuna dizionario per confermare ciò, che scrivono. Quindi, vorrei capire se in 2 Giovanni venga effettivamente utilizzato come riferimento ad un saluto convenzione tipo il nostro «buongiorno» o «buonasera». [...] {Marco La Terra; 26/09/2020}

 

2.  L’ANALISI TESTUALE: Il testo in esame è il seguente, che verifichiamo sul greco: «Se qualcuno viene verso di voi e non porta questo insegnamento, non lo prendete in casa, e non ditegli: “Salute!”. [11] Infatti, chi gli dice: “Salute!”, partecipa alle opere sue, quelle malvagie» (2 Gv 1,10s).

     L’autore uso insieme alla particella ei «se» il pres. ind. érchetai «viene», invece del pres. cong. érchētai «venga», per evidenziare che l’arrivo di cattivi maestri non era un’eventualità soltanto, ma una prassi oramai consolidata nel tempo.

     La locuzione «questo insegnamento (didach)» si riferisce all’«insegnamento di Cristo» (v. 9), che contempla la confessione di «Gesù Cristo venuto in carne» (v. 7). Ciò contrastava con la dottrina gnostica, secondo cui lo spirito di Cristo si sarebbe incorporato (come in una specie di possessione) dell’uomo Gesù di Nazaret al momento del battesimo, per abbandonarlo appena prima che Gesù fosse crocifisso. E ribadivano, perciò, a morire sarebbe stato solo un uomo, non il Dio presso Dio (Gv 1,1s), che si è «fatto carne» (v. 14). Questi sono i «molti seduttori» e «l’anticristo», che smembrano l’unità di «Gesù Cristo venuto in carne» (2 Gv 1,7). Chi nega l’incarnazione di Gesù Cristo, non ha Dio, quindi né il Padre né il Figlio di Dio (v. 10), essendo questo il fondamento della dottrina del nuovo patto.

     Perciò, curiosamente, meraviglia che proprio i seguaci della Torre di guardia, che non credono «Dio era il Logos» (Gv 1,1), essendo Dio presso Dio (v. 2), che «divenne carne» (v. 14), pongano una questione del genere!

     La locuzione «non lo prendete (lambánō) in casa» significa «non lo ospitate». A quel tempo, andavano in giro molti predicatori, alcuni legittimi (cfr. 3 Gv 1,5-8; At 21,17) e altri falsi (cfr. Gal 2,4), che costituivano un serio pericolo per i credenti (cfr. Col 2,8.18 con 2 Gv 1,8).

     La locuzione chaírein autõi mḕ léghete significa letteralmente «non dite di salutarlo» o, meglio; «non ditegli: “Salute!”»; nel verso 10 si tratta di un imperativo presente (autõi mḕ léghete «non ditegli [esprimete, proferite, pronunciate, ecc.]!») con infinito presente (chaírein «salutare, dire: “Salute!”»), per evidenziare una norma valida sempre; dinamicamente intende «non gli rivolgete il saluto». Si tratta di un espressione idiomatica. Nel verso 11 si trova la stessa espressione, ma col verbo légō «dire» al part. pres. att., che evidenzia la continuità. Di per sé il verbo chaírō significa «rallegrarsi, gioire; star bene, godere, prosperare» e, specialmente nei saluti, finì per significare «augurare salute, ossia di star bene, di prosperare». «Salute!» e «saluto, salutare (augurare salute, dare il saluto)» sono in corrispondenza dinamica.

 

3.  RISPOSTE ALLA TORRE DI GUARDIA

 

3.1. IL VERBO CHAÍRŌ: La rivista «La Torre di guardia» afferma che Giovanni avrebbe usato chaírō come «un saluto tipo “buon giorno” o “ciao”». E conclude: «Perciò le istruzioni di 2 Giovanni 11 potevano ben voler dire di non rivolgere a costoro nemmeno un semplice “buon giorno”». Le cose stanno veramente così?

     Abbiamo visto che il verbo chaírō significa «rallegrarsi, gioire»[1], quindi anche «star bene, prosperare». E abbiamo visto che nei saluti, fu usato per significare «augurare salute, di star bene, di prosperare». Perciò, degradare chaírō all’augurare qualcosa come «buon giorno» o «ciao», è fuori luogo. Vi sembra che Gesù si sia rivolto con un «ciao» alle donne, dopo la risurrezione? Egli si fece loro incontro, dicendo (légōn): Chaírete! (pres imp. att.) «Salute a voi!» o «Vi saluto!» (Mt 28,9a). E qui non manca neppure il contatto fisico, vista la gioia di rivedersi, che spinse spontaneamente le donne a fare questo: «Esse, avvicinatesi, gli strinsero i piedi e lo adorarono» (v. 9b). Il modo di fare di Giuda era quello consueto fra Gesù e i discepoli, vista l’usualità del gesto anche nei pressi del Getsemani: «E in quell’istante, accostatosi a Gesù, gli disse: “Salute a te [chaĩre], Rabbi!”; e gli dette un lungo bacio» (Mt 26,49); si noti qui la presenza del verbo chaírein e il bacio.

     Nella lettera ufficiale, che gli apostoli e anziani di Gerusalemme scrissero ai fratelli delle chiese gentili, essi non iniziarono dicendo «buon giorno» o «ciao», ma chaírein, ossia con un gioioso auspicio di «salute, prosperità, ecc.» (At 15,23). E conclusero con érrōsthe (perf. imp.) «State sani!» (v. 29), ossia con un altro augurio di salute. E così fece Giacomo, scrivendo ai Giudei cristiani: «Salute! [chaírein]» (Gcm 1,1).

 

3.2. IL VERBO ASPÁZOMAI: La rivista «La Torre di guardia» afferma che aspázomai significherebbe «abbracciare e, pertanto, salutare, dare il benvenuto» e che «poteva quindi riferirsi a un saluto molto caloroso, accompagnato da un abbraccio». Le cose stanno veramente così?

 

     ■ Saluti fra vari credenti e chiese: Salutare la chiesa, i fratelli o gli anziani poteva avvenire col verbo aspázomai (At 18,22; 21,7.19) o semplicemente con la formula «grazia [a voi] e pace [da Dio...]»[2] e simili espressioni.[3] Il termine «pace» (ebr. šalôm) intendeva anche «salute, benessere, prosperità», cose che, come abbiamo visto, anche il verbo chaírō esprimeva. Il saluto poteva essere molto più complesso di un solo verbo, ad esempio: «Amato, io desidero che ti vada bene in ogni cosa e tu sii sano, come va bene all’anima tua» (3 Gv 1,2).

     Paolo incaricò i credenti, a cui scrisse, così: «Salutate Prisca e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù... [5] anche la chiesa che è in casa loro» (Rm 16,3.5 aspázomai). Così, con lo stesso verbo, i saluti andarono a vari credenti, che Paolo conosceva in Roma, tra cui ricorrevano suoi cari amici e parenti (vv. 6-15).[4] E Paolo concluse così: «Salutatevi gli uni gli altri con un santo bacio. Tutte le assemblee di Cristo vi salutano» (v. 16 aspázomai x2). Poi seguirono i saluti da parte di quanti erano con Paolo (vv. 21ss aspázomai x5).

     Altrove avvenne similmente il saluto da parte di credenti e delle assemblee della provincia Asia ai credenti di Corinto (1 Cor 16,19s aspázomai x4), a cui seguì il suo saluto personale (v. 21 aspasmós). Così pure avvenne alla fine di altre epistole di Paolo e di altri scrittori.[5] Allo stesso modo avvenne nelle epistole personali.[6]

 

     ■ Attenzione al falso sillogismo: Come abbiamo visto, si afferma che aspázomai dovrebbe intendere di più di chaírō, significando «tirare a sé, salutare, ecc.», abbracciandosi e baciandosi. Tuttavia, queste sono false conclusioni. Chiediamo, però: Come si può, ad esempio, abbracciare una casa? Infatti, Gesù disse ai suoi discepoli: «E quando entrerete nella casa, salutatela [aspásasthe]» (Mt 10,12), ossia augurandole «pace» (v. 12).

     A ciò si aggiunga che i convenzionali saluti nelle piazze erano proprio indicati con aspasmós «saluto» (Mt 23,7), il sostantivo di aspázomai (il verbo ricorre in Mc 12,38), senza che ciò richieda un abbraccio o un bacio, tanto più che i farisei avevano paura di contaminarsi col contatto fisico; probabilmente il saluto era semplicemente: «Rabbi!», come lo indicò Gesù, o «Salute, Rabbi!» (cfr. Mt 26,49). La folla anonima accorse a salutare Gesù, senza che si parli di abbracci o baci (Mc 9,15 aspázomai).

     Nel caso di Elisabetta, visitata Maria, troviamo aspázomai «salutare» (v. 40) e aspasmós «saluto» (vv. 41.44); tuttavia, non sono evidenziati espressamente abbracci e baci fra le due parenti, ma solo il sussulto del feto nel grembo di Elisabetta (v. 41b).

     Gesù, dando un incarico ai discepoli, comandò loro «E non salutate [aspásēsthe] alcuno per via» (Lc 10,4); anche qui non ci sono abbracci, ma una prpibizione. Si noti il parallelo con 2 Giovanni 1,10-11, dove però ricorre chaírein. I due termini sono semplicemente sinonimi.

     L’esortazione di salutarsi col santo bacio (Rm 16,16; 1 Cor 16,20; 2 Cor 13,12; 1 Ts 5,26; 1 Pt 5,14), ha portato alla falsa conclusione che il verbo aspázomai contenga già in sé l’idea della vicinanza e dell’abbraccio affettuoso, ma non è così; e lo dimostra proprio l’aggiunta della locuzione «col santo bacio». Abbiamo visto che il bacio poteva essere concomitante anche al saluto, espresso col verbo chaírō (Mt 26,49). A ciò si aggiunga che, riguardo alle promesse, i credenti dell’antico patto le avevano «vedute e salutate da lontano» (Eb 11,13 aspázomai); qui non ci sono né vicinanza né abbracci.

 

3.3. I VERBI CHAÍRŌ E ASPÁZOMAI: Se si fa ideologia, si crede che il verbo aspázomai abbia una marcia in più rispetto a chaírō, ma non è così, essendo semplicemente sinonimi.

 

     ■ Saluti istituzionali: Similmente fece il tribuno Claudio Lisia, scrivendo «all’eccellentissimo governatore Felice. Salute! [chaírein]» (At 23,26); non ci si rivolge a un procuratore con un «ciao». leggiamo pure che «Agrippa e Berenice arrivarono a Cesarea, per salutare Festo» (At 25,13 aspázomai); ambedue i verbi sono semplicemente sinonimi.

 

     ■ Sinonimia dei termini: Quanto la tesi della «Torre di guardia» sia inconsistente, si vede nei brani in cui ambedue i termini compaiono insieme. Dopo che Pilato fece flagellare Gesù, lo abbandonò alla crocifissione. Allora soldati si divertirono con Gesù, facendosi beffe di Lui: lo vestirono come re, ma con una corona di spine e «cominciarono a salutarlo [aspázesthai]: “Salute a te [chaĩre], Re dei Giudei!”» (Mc 15,18), continuando poi con le angherie. Qui di abbracci non c’era traccia, anzi al contrario. I due verbi sono semplicemente sinonimi.

     L’inviato celeste disse a Maria: «Salute a te [chaĩre], o aggraziata; il Signore è con te» (Lc 1,28). Ella, essendo rimasta turbata, «rifletteva: “Che specie di saluto [aspasmós] è mai questo?”» (v. 29). Possibile che, in tale momento solenne, il messo celeste abbia detto a Maria semplicemente «buongiorno» o «ciao»!?

 

4. EVIDENZE RISULTANTI: La tesi iniziale della «Torre di Guardia» riguardo ai falsi maestri era che Giovanni avrebbe ingiunto ai credenti «di non rivolgere a costoro nemmeno un semplice “buon giorno”».

     Come abbiamo mostrato, essa è semplicemente falsa! La locuzione «Salute a te [chaĩre]» (cfr. Lc 1,28 l’inviato celeste a Maria) o «Salute a voi [chaírete]» (Mt 28,9 il Risorto alle donne) poteva esprimere un saluto per momenti solenni e importanti, che non si possono affrontare con un semplice «ciao!» o «buon giorno!».

     In ebraico salutare qualcuno significava «dire a qualcuno šalôm». Ad esempio, i fratelli di Giuseppe «l’odiavano, e non potevano dargli il salutoālôm]» (Gn 37,4 lett. «non potevano dirgli: “Alla salute!” [daberô lešalôm]», ossia «Salve!» o «Salute!»).[7] I paralleli con il verbo chaírō e con 2 Giovanni 1,10s sono evidenti.[8]



      [1]. Mt 8,13 chaírein ep’autõi; Rm 12,15 vs. piangere; 2 Cor 2,3 vs. aver tristezza; cfr. anche chaírete «rallegratevi!» Mt 5,18; Lc 10,20; 2 Cor 13,11; Fil 2,18; 3,1.4.4; 1 Ts 5,16; 1 Pt 4,13.

      [2]. Cfr. Rm 1,7; 1 Cor 1,1; 2 Cor 1,1; 1 Ts 1,1; Tt 1,4.

      [3]. Cfr. 1 Tm 1,2; = 2 Tm 1,2; 1 Pt 1,2; = 2 Pt 1,2.

      [4]. Maria (v. 6), a Andronico e Giunio (v. 7), Ampliato (v. 8), Urbano e Stachi (v. 9), Apelle (v. 10), Erodione (v. 11), Trifena e Trifosa e Perside (v. 12), Rufo e sua madre (v. 13). Poi, aggiunse: «Salutate Asincrito, Flegonte, Erme, Patroba, Erma, e i fratelli che son con loro. [15] Salutate Filologo e Giulia, Nereo e sua sorella, e Olimpia, e tutti i santi che sono con loro» (vv. 14s aspázomai x2).

      [5]. 2 Cor 13,12 aspázomai x2; Fil 4,21s aspázomai x3; Col 4,10.12.14s aspázomai x4; v. 18 aspasmós; 1 Ts 5,26 aspázomai; 2 Ts 2,17 aspasmós; Eb 13,24s aspázomai x2; 1 Pt 5,13s aspázomai x2.

      [6]. 2 Tm 4,19.21 aspázomai x2; Tt 3,15 aspázomai x2; Flm 1,23 aspázomai; 2 Gv 1,13 aspázomai; 2 Gv 1,15 aspázomai x2.

      [7]. Il termine šālôm compare nelle formule di saluto quale augurio di benessere (cfr. Es 18,7; 1 Sm 10,4; 25,5s; 30,21; 2 Sm 8,10; 1 Cr 18,10).

      [8]. L’ebraico conosce la locuzione jôm ṭôb «buon giorno» (così in 1 Sm 25,8; Est 9,19; LXX hēméra agathḗ; cfr. Ec 7,14 jôm ṭôbāh «giorno di bontà» [LXX hēméra agathōsýnē]; cfr. 1 Pt 3,10 hēmérai agathái «giorni buoni»). Oggigiorno gli Ebrei si salutano con jôm ṭôb «buon giorno».

 

► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_Den/A-Tdg_saluto_MT_AT.htm

12/11/2020; Aggiornamento:

 

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