Nell'articolo «E
il padrone lodò il fattore infedele (Luca 16,1-13)» abbiamo visto come si possa
fraintendere questo particolare brano. Lettori attenti e onesti lo hanno definito
come ostico, difficile da capire e contorto agli occhi di noi occidentali e specialmente
alla morale corrente. Questa e altre «docce fredde» di Gesù scompigliano, in ogni caso, il sentimento
comune, specialmente quello di «onesti cittadini» dinanzi alla legge
dello Stato. Abbiamo visto come sia necessario distinguere fra «avvedutezza»
e «giustizia», come fa Gesù. Resta ferma la sua valutazione di fondo
riguardo alle «ingiuste ricchezze».
Qui i temi concomitanti potrebbero essere diversi, sebbene vogliamo attenerci
specialmente al nostro tema di base. Si potrebbe parlare dell'etica del
lavoro e dell'etica della finanza. Ad esempio, laddove c'è chi
«vince» in borsa (è ironia parlarne come gioco), ci sono altri che
«perdono» e magari si rovinano
l'esistenza. Chi specula, getta spesso sul lastrico molti piccoli risparmiatori.
Alcuni architettano il crack di un'azienda, per trarne il massimo dei profitti,
senza darsi scrupolo delle famiglie che rimangono senza lavoro. Il mercato si
regge su domanda e offerta e alcuni usano la «congiuntura» come clava per avere
i prodotti al prezzo minimo possibile per rivenderli al prezzo massimo
possibile. Si
potrebbe parlare anche di un'etica molto più quotidiana, legata ai nostri
consumi. Per fare un esempio, i palloni di uno dei tanti campionati sono
spesso prodotti nell'Estremo Oriente da bambini che sono costretti a
lavorare e vivere come schiavi per cucirli, pur di sopravvivere. Così è per
molti altri prodotti. Giorni fa, cambiando canale, la giornalista diceva che una
donna in Germania compra un buon reggiseno a 40 €, appunto il salario mensile di
un'operaia che lo produce in Cina. Si potrebbe parlare anche delle catastrofi
ecologiche, che sono attuate altrove nel mondo da multinazionali, per produrre
prodotti da vendere in occidente. E così via. Ho
portato questi esempi non tanto per iniziare qui una discussione sull'etica del
lavoro e delle finanze, certamente sensato per una discussione ad hoc, ma per
mostrare che ai beni, ai possedimenti, alla ricchezza c'è sempre associata una
certa dose di ingiustizia, volenti o nolenti, che si sia coscienti o
meno. Il problema maggiore nasce laddove la ricchezza diventa un fine a sé e non
rimane solo un mezzo. Quando il virus del materialismo e del consumismo
intaccano anche i seguaci di Gesù, allora i rischi per la morale e i pericoli
per la fede sono solo dietro l'angolo...
Non è un caso che nella Torà era ancorata questa ingiunzione: «Se vendete
qualcosa al vostro prossimo o se comprate qualcosa dal vostro prossimo, nessuno
faccia torto al suo fratello» (Lv 25,14). E anche nel nuovo patto si legge
questo avvertimento: «Nessuno faccia prevaricazioni né sfrutti il fratello
negli affari, perché il Signore è un vendicatore su tutto ciò» (1 Ts 4,6).
Che cosa ne pensate? Quali sono al riguardo le vostre
esperienze, idee e opinioni?
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I contributi sul tema
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1.
{Guerino De
Masi}
▲
Ho letto le
domande di Luca Ciotta e d’Eugenio P. Campo; esse non sono questioni di singoli
ma penso che accomunano molti. L’onestà sta nel porsi le domande senza
giungere o accontentarsi di frettolose e superficiali risposte. Nicola, per
questo, ci è d’esempio oltre che di grande aiuto e ne approfitto per
ringraziarlo di tutto il materiale che mette a disposizione, oltre alla
possibilità d’interloquire in questo spazio.
Colgo dunque l’occasione per condividere quanto ho maturato in rapporto a questo
testo di Luca 16. L’espressione che più mi ha colpito e che ho memorizzato in
questo brano è: «le ricchezze ingiuste» (v. 9).
Ho pensato al modo più appropriato del come gestire le «ricchezze», il
danaro, anche se in sé sono strettamente collegate alla ingiustizia!!! Cioè, una
ricchezza accumulata comporta inevitabilmente qualche ingiustizia, ad esempio
verso i debitori, i dipendenti, la concorrenza e il fisco, senza dimenticare
quanto dobbiamo al Signore e il finanziamento dei suoi servitori.
In altre parole, i soldi che accumulo sul conto in banca, sono certamente
risparmi, ma anche guadagni. E i guadagni si fanno per differenza tra costi e
ricavo. Il ricavo è tanto maggiore quanto maggiore è la mia capacità di
contenere i costi. Come posso contenere i costi? ▪ 1. Pagando meno i
dipendenti? ▪ 2. Non pagando interamente le tasse con una denuncia parziale al
fisco? ▪ 3. Facendo una concorrenza sleale e dunque accaparrandomi contratti di
lavoro, ottenuti sotto banco o con compromessi più o meno limpidi? ▪ 4.
Lavorando in nero? Ovviamente non contemplo ed escludo a priori il furto e
l’appropriazione indebita di beni altrui!!! (cosa che faceva il nostro fattore
di Luca 16). Tuttavia, se la ricchezza di cui siamo «padroni» non è ereditata (e
qui si potrebbe parlare del come comunque ci fu accumulata), vuol dire forse che
siamo riusciti ad accantonare il gruzzolo con qualcuno di questi espedienti.
Certamente ciò può anche essere il risultato d’una capacità di
gestire le proprie finanze. A questo proposito ricordo una
conversazione avuta con un mio amico di lavoro, dipendente d’una nota banca del
nord. Mi parlava d’alcune case che possiede al mare e in montagna. Alle mie
domande del come fosse riuscito in tale imprese, visto che io non riesco ad
accumulare ricchezza tale da permettermi simili investimenti, lui mi rispose: «È
evidente che non sai gestire bene i tuoi soldi!»
Probabilmente ha ragione lui! Tuttavia, lui non si preoccupa del
tesoro da accumulare in cielo, e io cerco invece di piacere al mio
Signore. Con tutto questo, Dio mi ha benedetto e mi benedice comunque. Il mio
conto in banca non è da milionario (d’euro) e i fidi bancari mi consentono
d’onorare sempre i miei impegni di piccolo artigiano. Mi preoccupo che i miei
dipendenti non abbiano a lamentarsi della loro paga, sapendo che, se fossero
defraudati, il loro grido salirebbe al Signore! (Giacomo 5,4; Levitico 19,13;
Malachia 3,5; Giobbe 7,2).
Malgrado tutto, una certa dose d’ingiustizia rimane comunque in ogni
guadagno. Dico questo in rapporto anche agli sconti o alle modalità di pagamento
che applico ai miei clienti. Stando sempre attento al fatto che la controparte
cercherà comunque sempre di ricavare un maggior guadagno anche nel rapporto
commerciale che è in corso con me. C’è sempre un stare attento a quello che
riesci a portare a casa, perché quello che molli, a casa se lo porta lui! In
questo tipo di trattativa, qualche ingiustizia ci scappa sempre.
Mi piace il distinguo che sottolinea Nicola: Gesù loda l’avvedutezza
e non l’ingiustizia del fattore. La lungimiranza che dovrebbe
caratterizzare noi credenti nell’utilizzo della ricchezza e non nel fine della
ricchezza a se stante, poiché conosciamo dalla Parola di Dio tutti i suoi
nefasti danni. E per questo, mi piace ciò che sottolinea qui Nicola con il v.
10.
Signore, aiutami a essere buon amministratore dei beni che m’affidi.
{07-12-2009}
2.
{Gianni Siena}
▲
Gesù lodò la previdenza del fattore disonesto
Nella vita reale
usiamo spesso espressioni di apprezzamento (sia pure in presenza di
carattere e comportamento disonesti) verso determinate persone. Per esempio si
dice d’una persona accorta e prudente: «È un autentico figlio di “madre ignota”»
e simili espressioni, volendo così sottolineare l’astuzia e l’intelligenza di
qualcuno.
Gesù mostrò ai suoi la necessità d’essere previdenti e svelti nel
prepararsi un futuro: Non è possibile rubare a tempo indefinito, l’ammanco viene
presto o tardi scoperto. Così il fattore fece in modo d’assicurarsi il cibo
facendo «sconti» a danno del suo datore di lavoro. Questo, pur licenziando il
disonesto, non mancò di lodarne la lungimiranza.
Così dovrebbero essere i cristiani: lungimiranti in vista del bene e del
regno di Dio, ovviamente. Non c’è infatti tempo da perdere e l’eternità incombe.
Al di là d’ogni differenza di cultura, certe pagine del Vangelo si capiscono...
e auguro buona applicazione d’esse! {07-12-2009}
3.
{Pietro Calenzo}
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La parabola o
l’iperbole del Signore Gesù dell’amministratore infedele ha come argomento, più
che la ricchezza, l’ardire e la prontezza. L’amministratore, in
quei tempi, era come un moderno promotore finanziario. Il padrone non è da
identificarsi assolutamente con il Signore Gesù, che mai giustificherebbe azioni
ingannevoli e mendaci dell’economo in questione. Il padrone nella parabola in
argomento non loda la disonestà nel rubare o l’inganno del fattore, ma ammette
la
previdenza, l’acume, l’abilità, la perseveranza dei figli del mondo;
questi ultimi, a volte, sono più solerti dei figli della luce. Infatti capita,
talvolta, che i primi ricavino dalle loro relazioni reciproche
gran profitto per i loro interessi mondani, ossia più di quanto
facciano i figli della luce nella loro fraterna comunione e nelle proprie
relazioni interpersonali di credenti; e ciò vale anche nell’annunciare
l’Evangelo di Gesù Messia, in tempo e fuor di tempo, approfittando, con acume e
prontezza, d’ogni occasione. «...e cioè il cristiano, che è elevato a servire
con una pura coscienza, persegua lo scopo più elevato della sua vita, con zelo
ed energie consimili, così come espresse e dimostrate da questo economo furfante
e infedele« (Robert G. Stewart).
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► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/T1-Fattore_infedele_parla_Sh.htm
07-12-2009; Aggiornamento: 27-03-2010 |