1. PERCHÉ PARLARNE?
Qualcuno, dopo aver letto l’articolo sulle traduzioni della Bibbia
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Le traduzioni della Bibbia sono fiori e spine], si chiedeva cosa può succedere se questo
venisse letto da chi non è molto radicato nella fede.
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Parlando delle traduzioni della Bibbia] Anche Nicola
Martella si chiedeva: «Faccio male a parlare di queste cose? Sarebbe meglio
tacere e lasciare tranquilli i cristiani? Si solleverà un vespaio?». Penso che
questa sia una preoccupazione comprensibile e legittima… ma poi bisogna fare una
scelta e l’autore dell’articolo l’ha fatta, decidendo di pubblicarlo. Ha fatto
bene? È un male parlare apertamente di queste cose? O è meglio fare come gli
struzzi: chiudersi gli occhi e tapparsi le orecchie davanti a certe
problematiche che sono comunque reali?
Io credo che l’autore dell’articolo abbia fatto bene e lo incoraggio a
continuare a mettere le mani su argomenti di questo tipo, compresa la critica
testuale. Non credo che affrontare questo genere d’argomenti sia di per
sé una minaccia all’ispirazione e all’inerranza della Scrittura, ma solo un
modo di mettere in luce problemi reali che esistono intorno al testo biblico,
sia «originale» che tradotto, per avvicinarci sempre più a quelli che sono i
testi originali, i quali soltanto sono ispirati e inerranti. Io credo che anche
nelle traduzioni, per quanto imperfette, si può leggere il messaggio che Dio ha
voluto rivelare con la Sua Parola. E credo anche che il grado d’imperfezione
delle traduzioni sia da mettere soprattutto in relazione con le varie sfumature
d’un termine (campo semantico) e si possa ridurre in modo considerevole
attraverso il confronto delle varie traduzioni.
2. DALLE TRADUZIONI IMPERFETTE ALLA CRITICA TESTUALE
Detto questo però bisogna ribadire il fatto che le traduzioni sono imperfette,
non solo per una questione di sfumature dei termini, ma anche perché non c’è una
base da cui tradurre, che possiamo identificare sic et simplicer, con gli
originali inerranti che Dio ha ispirato. Questi originali sono andati perduti.
Il Textus Receptus non è nel modo più assoluto il testo originale della
Scrittura. Volerlo imporre come tale assomiglia un tantino alla fantomatica
successione apostolica, con la quale si vuol fare credere che la linea di
successione che va da San Pietro all’attuale papa non si sia mai spezzata, per
cui, anche la tradizione orale della chiesa è rimasta intatta nei secoli. Non ci
sono prove né per l’un caso, né per l’altro, anzi il contrario. Ribadisco dunque
che non abbiamo il testo originale della Scrittura, però abbiamo migliaia di
manoscritti, databili fino a qualche secolo dopo la stesura degli originali,
che, ci aiutano a ricostruire un testo, il più possibile vicino all’originale
(cosa peraltro unica nel panorama dei libri antichi). E qui c’imbattiamo in un
problema ancor più radicale delle traduzioni: fra tutti questi manoscritti, che
altro non sono se non copie delle copie degli originali, ci sono molte
differenze, le cosiddette varianti, le quali ci mostrano che per arrivare
al testo originale, non basta il semplice confronto di questi manoscritti, ma
bisogna capire il perché di queste differenze, e, attraverso il loro studio e
l’applicazione di regole, affinate nel tempo dagli studiosi, identificare quella
che è la parola (lezione) originale. Questo è il lavoro che fa la critica
testuale.
3. DOBBIAMO AVERE PAURA DELLA CRITICA TESTUALE?
Ora, si ha ben diritto di dire che se qualcuno non ha perso la fede con
l’articolo sulle traduzioni, qui c’è il tanto per perderla davvero. Ecco perché
molti cristiani non vogliono sentir parlare di critica testuale e guardano con
sospetto chi se ne occupa. Mi ricordo d’un fratello che leggeva i testi
«originali», ma puntualizzava di non leggere l’apparato critico (come se esso
non fosse alla base del testo «originale» che lui leggeva). Ricordo anche d’una
cara sorella che conosceva molto da vicino F. F. Bruce (1910-1990), la quale mi
disse un giorno che non tutti i cristiani guardavano con favore alla sua
attività d’esegeta e di critico testuale. Eppure, proprio Bruce ha avuto il
grande merito (ma non solo lui) di mostrarci il valore della critica testuale
per l’apologia della nostra fede. Il suo libro da poco tradotto dai GBU,
«Possiamo fidarci del Nuovo Testamento?»
che nella versione inglese titolava «Possiamo fidarci dei documenti del
Nuovo Testamento?», è diventato ormai un classico dell’apologetica cristiana. In
esso ci mostra come proprio i risultati della critica testuale confermino che lo
stato di preservazione del testo biblico sia un fatto editoriale unico nella
storia dei testi antichi, cosa di cui non si può dire d’altri testi quali il «De
bello Gallico» di Giulio Cesare. Inoltre ha evidenziato l’irrilevanza sia
sostanziale che teologica delle cosiddette varianti. Persino un critico
stringente come Bart D. Ehrman (di lui parleremo fra breve) ha affermato: «In
realtà, la maggioranza dei cambiamenti rilevati nei primi manoscritti cristiani
non ha nulla a che vedere con la teologia o l’ideologia. La gran parte è il
risultato di puri e semplici errori, errori di Scrittura, omissioni dovute al
caso, aggiunte involontarie, parole dall’ortografia errata, grossolani errori di
vario tipo... Questa forma più antica del testo è senza dubbio in rapporto
stretto (molto stretto) con ciò che l’autore scrisse in origine... Si può dire
con ragionevole certezza che la copiatura dei testi del primo cristianesimo fu
nel complesso un procedimento “conservativo”... La loro principale
preoccupazione non era quella di modificare la tradizione (testuale),
bensì di preservarla per se stessi e per coloro che sarebbero venuti dopo».[1]
Ricordiamo comunque che anche tali errori, per quanto irrilevanti, riguardano
solo le copie delle copie degli originali. Perché dunque avere paura della
critica testuale, dal momento che, essa, al pari dell’archeologia, può risultare
una conferma dell’attendibilità della Scrittura?
4. QUANDO LA CRITICA TESTUALE APPRODA AL CENTRO COMMERCIALE…
Ma se si tratta di differenze così irrilevanti che non intaccano la sostanza
della nostra fede e riguardano peraltro le copie delle copie degli originali,
allora perché occuparsi della critica testuale? Perché alzare un polverone per
niente? Questa domanda merita una duplice risposta. Una d’ordine esegetico, che
in parte abbiamo dato, quando abbiamo parlato dell’utilità della critica
testuale nel ridarci un testo biblico il più possibile vicino all’originale. È
stato detto: «Nell’ambito della provvidenza di Dio e per Sua volontà, studiando
seriamente tutti i documenti esistenti, applicando i metodi migliori, dobbiamo
cercare di stabilire il vero testo originale, che sia migliore di ciascun
manoscritto preso isolatamente».[2]
L’altra risposta è d’ordine apologetico. Esiste infatti un modo di fare critica
testuale, che non ha rispetto dell’ispirazione e dell’inerranza della Scrittura
e c’è un fatto nuovo: questo modo di fare critica testuale, sta entrando nei
circuiti di distribuzione di massa, approdando persino nei centri commerciali, a
uso e consumo dell’uomo comune.
È in un centro commerciale che ho acquistato il libro di Bart D. Ehrman, «Gesù
non l’ha mai detto», edito dalla Mondatori nel marzo 2007. Questo è nientemeno
che un libro sulla critica testuale del Nuovo Testamento, fatto apposta per
l’uomo della strada. Così lo presenta l’autore: «Questo è proprio quel tipo di
libro: per quanto ne so, è il primo nel suo genere. È scritto per coloro che
sono digiuni di critica testuale, ma che potrebbero essere interessati a sapere
come gli scribi modificarono le Sacre Scritture e come ora sia possibile capire
dove lo hanno fatto. È scritto sulla base dei miei trent’anni di riflessioni
sull’argomento e dalla mia prospettiva attuale, successiva ai radicali mutamenti
verificatisi nel mio modo d’intendere la Bibbia».[3]
Chi ha letto il libro sa che non c’è niente fuori posto in queste parole, le
quali riassumono molto bene il contenuto del libro. Questo è veramente un libro
sulla critica testuale. Esso spiega cos’è la critica testuale, la sua
importanza, le sue vicissitudini e le sue acquisizioni. Questo è veramente un
libro «rivolto a un pubblico di profani, vale a dire a coloro che non sanno
nulla sull’argomento, non conoscono il greco né le altre lingue necessarie a un
tale studio approfondito».[4]
Ed è un libro fatto molto bene, perché sa coniare precisione scientifica e
semplicità divulgativa. Questo è veramente un libro scritto da una persona
competente, che ha avuto come mentore una delle massime autorità nel campo della
critica testuale, cioè Bruce M. Metzger, a cui il libro è anche dedicato. Questo
però, e dico questo con rammarico, è anche un libro scritto dalla «prospettiva
attuale dell’autore», alla quale è giunto dopo «radicali mutamenti» nel suo
«modo d’intendere la Bibbia». Tutto il libro infatti è incastonato in una sorta
d’introduzione e conclusione autobiografica, dove l’autore descrive il suo
itinerario «spirituale» e intellettuale, che a seguito dei suoi studi, lo hanno
portato a perdere progressivamente la sua fiducia iniziale nell’infallibilità
della Bibbia. Queste sono le sue parole: «In breve, lo studio del Nuovo
Testamento in greco e le mie ricerche sui manoscritti che lo contengono mi
condussero a un ripensamento radicale della mia interpretazione di cosa sia la
Bibbia. Fu un cambiamento rivoluzionario per me. Prima d’allora, a partire
dall’esperienza di rinascita [nuova nascita?] alle superiori, fino ai
giorni del fondamentalismo al Moody [Moody Bible Institute di Chicago] e
al periodo evangelico a Wheaton [Wheaton College di Chicago], la mia fede
s’era basata su una certa visione della Bibbia in quanto parola infallibile e
pienamente ispirata di Dio. Ora (dopo aver studiato nel seminario di teologia
di Princeton d’indirizzo liberale) non la vedevo più in questo modo; essa
cominciava ad apparirmi come un libro molto umano. Proprio come degli scribi
umani avevano copiato e modificato i testi delle Sacre Scritture, così, in
origine, autori umani li avevano scritti... Dal leggere la Bibbia come un
programma infallibile per la nostra fede, la nostra vita e il nostro futuro al
considerarla un libro umanissimo, con punti di vista molto personali, assai
diversi uno dall’altro e nessuno in grado di fornire la guida sicura di come
dovremmo vivere, il cambiamento è radicale. Questa è la svolta subita dalle mie
convinzioni».[5]
5. LA VECCHIA BUGIA CHE SI RIPRESENTA SU LARGA SCALA
Purtroppo, il diavolo è molto abile nel farci vedere il classico «bicchiere
mezzo pieno», come se fosse «mezzo vuoto», per portarci poi a vederlo vuoto del
tutto. Sin dall’inizio, egli non ha smesso di dare per vera una mezza verità
(che però nasconde una mezza bugia) per portarci poi a credere una bugia
completa, come se fosse una verità intera. Questo è successo purtroppo quando la
critica testuale, da strumento di lavoro per appurare il testo più vicino
all’originale è stata eretta a strumento di giudizio della Scrittura, nella sua
totalità. Così, si è iniziato a dare troppa rilevanza alle varianti (malgrado la
loro irrilevanza) e al fatto stesso che esistano delle varianti, per mettere in
dubbio l’ispirazione e l’inerranza della Scrittura. Ecco perché molti critici
testuali, tra cui Erhman, hanno un approccio liberale alla Scrittura. Solo che,
finora questo fenomeno era rimasto relegato soprattutto al mondo accademico, con
i suoi pochi eruditi, ma ora si sta facendo strada fra la gente comune, mentre i
cristiani preferiscono dormire «sonni tranquilli».
In questo libro di Erhman si può vedere benissimo cosa succede quando la critica
testuale viene eretta a strumento di giudizio della Parola di Dio. Si cade in
una sorta di schizofrenia. Pur riconoscendo che il bicchiere è in gran parte
pieno e che gran parte del testo biblico è stato ricostruito, e che questo è un
fatto editoriale unico, ci si fissa sul fatto che il bicchiere non è del tutto
pieno (a causa delle varianti peraltro irrilevanti) e s’inizia a dare un
giudizio di merito alla Scrittura nella sua totalità, considerandola non
ispirata in nessuna sua parte. La tesi d’Erhman è la seguente: visto che tutte
le copie delle copie degli originali presentano molti errori (errori dei
copisti), ne consegue che anche gli originali erano pieni d’errori e non
ispirati. Ma egli arriva a dire qualcosa di più radicale: visto che non abbiamo
i primi manoscritti originali, che senso ha parlare d’ispirazione? Se Dio ha
ispirato gli originali, perché non ce li ha conservati intatti dalla prima
all’ultima parola? Perché è necessaria la critica testuale per ricostruire le
parole ispirate di Dio?
Questi interrogativi sembrano di primo acchito essere disarmanti, salvo poi
riflettere e capire che in realtà, la critica testuale non s’occupa di tutto, ma
solo di quella parte del testo biblico che ci è stato tramandato attraverso
delle copie che non sono corrispondenti in tutto e per tutto l’una con l’altra.
Bisogna dunque precisare alcune cose, prima di diventare così categorici nei
giudizi: ● 1. Il problema delle varianti non riguarda il testo originale, ma le
copie delle copie d’esso, ed è abbastanza plausibile che tali copie, essendo
state scritte a mano da persone diverse, in tempi e luoghi diversi, presentino
degli errori intenzionali o meno; ● 2. Il problema delle varianti non riguarda
che la minima parte del testo biblico, il che vuol dire che la gran parte del
testo ispirato ci è giunto tale e quale e di ciò ne è prova proprio la grande
mole di manoscritti che ci sono pervenuti, a consacrazione del fatto che Dio non
si è disinteressato della trasmissione e preservazione del testo; ● 3. Lo stesso
Ehrman riconosce l’irrilevanza di queste varianti quando afferma: «La gran parte
d’esse è, però, del tutto irrilevante. In genere dimostra solo che gli antichi
scribi non conoscevano l’ortografia meglio della maggioranza di noi».
Mi rammarico che questo libro l’abbia scritto chi vede il sole dalla parte
sbagliata e quindi vede solo le zone di «ombra». Forse è venuto il momento che
iniziamo anche noi a scrivere di più su tali cose, noi che vediamo il bicchiere
come esso è realmente, quasi tutto pieno. Dopo il successo del Codice da Vinci,
e la riscoperta degli apocrifi (Vangelo di Giuda compreso [►
Riscoperto l’evangelo di Giuda: fatto sensazionale o strategia di marketing?])
da parte di molta gente comune credo che anche questo libro sulla critica
testuale a uso e consumo di tutti (bugie comprese), non resterà invenduto. E noi
cosa facciamo nel frattempo?
Sulla critica alla Bibbia e sul liberalismo teologico cfr. in Nicola Martella,
Manuale Teologico dell’AT (Punto°A°Croce, Roma 2002), l’articolo «Criticismo storico», pp. 127-130s;
cfr. anche «Sistemi teologici», pp. 332ss. |
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A2-Traduzioni_varianti_MT_AT.htm
26-05-2007; Aggiornamento: 12-09-2008
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