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1. IL PROBLEMA
(Nicola Berretta):
A seguito della morte di Salomone, in Israele vi fu uno scisma, per cui
Roboamo e Geroboamo divengono i primi sovrani del «regno di Giuda», a sud,
governato dalla dinastia davidica e comprendente la tribù di Giuda (con
Beniamino, di fatto assimilata a questa), e del «regno di Israele», a nord,
comprendente il resto delle tribù.
Leggendo i brani relativi a questo avvenimento (1 Re 12
e 2 Cr 10), si rimane un po’ meravigliati di come una pur lecita rivolta
popolare possa aver generato un scisma di tale portata, in così breve tempo, e
in modo così netto e categorico. Quello che lascia più perplessi, a mio
giudizio, non è tanto il fatto che il popolo si sia ribellato a un sovrano
giudicato dispotico, ma che questa contestazione sia stata in grado di
catalizzare un netta polarizzazione tra la tribù di Giuda e tutti gli altri.
Esprimendomi in termini di identità, o autocoscienza, di popolo,
sembrerebbe quasi che già prima dello scisma esistesse una
doppia identità Israele–Giuda, tenuta assieme dal carisma dei re
precedenti, ma che non aveva mai dato luogo alla nascita di un’autentica
coscienza unitaria di popolo. Quando, alla morte di Salomone, la forza di
coesione venne meno, queste due identità si sono immediatamente separate, come
due pezzi di coccio tenuti assieme in maniera posticcia da un collante inadatto.
Il problema che vorrei allora pormi è il seguente: quando ha avuto origine
questa doppia identità?
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2. LE ORIGINI DELLA DOPPIA IDENTITÀ
(Nicola Berretta):
La risposta più semplice e immediata a questa domanda
potrebbe essere il semplice fatto che il re contestato, Roboamo, apparteneva
alla tribù di Giuda, per cui il rifiuto di quel re ha comportato una separazione
tra la tribù di Giuda (che continuava a identificarsi nel suo re) e il
resto delle tribù. Questa ipotesi è plausibile, ma pecca a mio giudizio di
superficialità. Se infatti riesce a spiegare perché Giuda sia rimasto unito
sotto Roboamo, per una questione di solidarietà e identità tribale, lascia
aperta la questione di come mai tutti gli altri
abbiano trovato una loro coesione e identità sotto le insegne di Geroboamo,
contrapposta a Giuda. La domanda che forse dovremmo porci è: esistono indizi che
suggeriscano una separazione tra l’identità di Giuda e quella di Israele
precedentemente all’episodio dello scisma tra i due regni? Io credo di sì. Già subito dopo la morte di Saul si assiste a una breve
parentesi di due anni che anticipa ciò che sarebbe accaduto un’ottantina di anni
più tardi, con una suddivisione del regno tra la tribù di Giuda, sotto Davide, e
il resto delle tribù, sotto Iš-Bošet, figlio di Saul (2 Sam 2,8-11). Questo
lascia pensare che già all’inizio della monarchia davidica esistessero i
presupposti per una tale separazione. Inoltre, è particolarmente interessante
ciò che il profeta Natan dice a Davide, a seguito del suo peccato di adulterio e
omicidio: «Io ti ho unto re d’Israele e
ti ho liberato dalle mani di Saul… ti ho dato la casa d’Israele e di Giuda…»
(2 Sam 12,7s). Questa distinzione, a meno di presupporre un’influenza postuma da
parte del redattore del libro, lascia chiaramente intendere una distinzione tra
le due identità anche durante il regno di Davide.
Si potrebbe
ipotizzare che sia stata proprio la contrapposizione tra Davide e Saul, che ha
caratterizzato gli ultimi anni del regno di quest’ultimo, a generare i
presupposti per una contrapposizione tra l’identità di Giuda e quella di
Israele. Tuttavia, esiste un chiaro indizio di una separazione tra queste
identità fin dai primi anni del regno di Saul, quando cioè nessuna
contrapposizione era ancora sorta tra lui e Davide. Poco dopo la sua unzione a
re, Saul convoca le tribù di Israele per attaccare Ammon e, quando tutto
l’esercito viene riunito, troviamo un’interessante precisazione: «Saul
li passò in rassegna a Bezec: i figli d’Israele erano trecentomila e gli uomini
di Giuda trentamila» (1 Sam 11,8).
Perché questa necessità di distinguere tra i figli d’Israele e quelli di Giuda?
È evidente, a mio giudizio, che già allora esistesse una percezione di identità
separate all’interno del popolo d’Israele.
Questi indizi
sembrerebbero dunque spostare molto indietro l’origine della
doppia identità
Israele–Giuda, in un’epoca
precedente all’instaurazione della dinastia davidica e della monarchia stessa in
Israele. Ma quanto indietro possiamo andare? Tutte le tribù sembrano essere
equamente coinvolte con Giosuè nella conquista di Canaan e anche il periodo dei
Giudici non sembra suggerire ovvie distinzioni, se non alcuni elementi
indicativi di una posizione di rilievo della tribù di Giuda nei confronti delle
altre:
■ È Giuda la prima
tribù alla quale viene assegnato un territorio (Gs 15), che tra l’altro è
talmente esteso che in seguito dovranno privarsene di una parte per far posto
alla tribù di Simeone (Gs 19,9).
■ Dopo la morte di
Giosuè, Giuda è la prima tribù a muovere guerra contro i Cananei (Gdc 1,1s).
Questo ruolo di capofila si riallaccia a una posizione analoga che Giuda
ricopriva quando il popolo si metteva in marcia durante l’Esodo (Nu 2,9).
■ È ancora Giuda
la tribù che per prima muove guerra contro i Beniamino, quando tutte le altre
tribù di Israele decidono di intervenire contro quella tribù, per un grave
peccato occorso all’interno di quest’ultima (Gdc 20,18).
Questi brani sono certamente indicativi di
un primato di Giuda rispetto alle altre tribù, ma non spiegano
completamente il perché di questa doppia identità. In altri termini, non
spiegano l’origine di una dicotomia tra Giuda e tutti gli altri, che in
seguito sfocerà in una vera e propria contrapposizione.
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3. UN’IPOTESI
(Nicola Berretta):
A questo punto, proprio perché credo
che la Bibbia non ci dia chiare indicazioni sull’origine storica di questa
distinzione di identità all’interno delle tribù di Israele, mi permetto di
formulare un’ipotesi. Sottolineo che si tratta di un’ipotesi puramente
speculativa, che lascio dunque al vaglio e alla critica di chi, all’interno di
questo spazio virtuale, ha certamente più titoli di me per affrontare
questo tema.
Io ritengo che la dicotomia Israele–Giuda trovi una sua
origine in due personaggi chiave nella storia di Israele che va dall’Esodo alla
conquista di Canaan: Giosuè e Caleb, il primo appartenente alla tribù di Efraim
e il secondo a quella di Giuda (Nu 13,6.8).
Com’è noto, essi facevano parte di quel manipolo di 12
spie, mandate da Mosè a perlustrare il paese di Canaan poco tempo dopo l’uscita
dall’Egitto (Nu 13). Purtroppo, quello che doveva essere il preludio alla
conquista di Canaan divenne invece l’inizio di una condanna a peregrinare per 40
anni nel deserto, perché queste spie si fecero intimorire dalla forza dei
Cananei e scoraggiarono il popolo sulla possibilità di sconfiggerli (Nu 13,28s).
Furono solamente Caleb e Giosuè gli unici a esortare il popolo a credere
nell’intervento di Dio, invitandolo a non farsi scoraggiare, e proprio a causa
della loro fedeltà, Caleb e Giosuè saranno gli unici tra gli adulti di quella
generazione a entrare in Canaan 40 anni più tardi (Nu 14,26-35).
Giosuè sarà colui
che, dopo la morte di Mosè, assumerà un ruolo di leader nella conquista di
Canaan (Dt 31,1-8; Gs 1,1-5), tuttavia la Scrittura dà ampio rilievo alla figura
di Caleb. Ogni volta che l’episodio narrato in Nu 13 viene ricordato, Giosuè
viene menzionato sempre assieme a Caleb, mentre Caleb viene menzionato anche da
solo (Nu 14,24; Dt 1,36). La cosa non deve destare meraviglia se si pensa che,
stando proprio al racconto di Nu 13, fu Caleb a esporsi per primo, cercando di
destare la fede del popolo (Nu 13,30) e fu solo in seguito che anche Giosuè si
unì a Caleb, stracciandosi le vesti ed esortando il popolo ad avere fede in Dio
(Nu 14,6). Questo episodio ci porta ancora di più ad apprezzare la figura di
Caleb, il quale, pur essendo un principe fiero e coraggioso, che forse a maggior
titolo di Giosuè avrebbe potuto vantare un ruolo di comando, mantenne tuttavia
un atteggiamento umile, nel riconoscere il ruolo di guida, dato al suo compagno
da Mosè e da Dio stesso.
Pur riconoscendo
l’umiltà di Caleb nell’accettare il ruolo di leader assunto da Giosuè, è
comunque lecito supporre che all’epoca della conquista di Canaan sia Caleb che
Giosuè fossero visti come i «due grandi vecchi», amati e rispettati da
tutti e considerati come figure di riferimento da tutto il popolo (ricordiamo
che ambedue avevano una quarantina d’anni in più rispetto a tutti gli altri). La
fierezza di Caleb è lampante anche nell’episodio narrato in Gs 14,6-15, in cui
l’ottantenne Caleb (nota bene al v. 6: attorniato dai i figli di Giuda) va da
Giosuè reclamando il diritto di conquistare Ebron, togliendosi così un bel
sassolino dalla scarpa dopo 40 anni di attesa!
È possibile che la
presenza di due personaggi carismatici come l’efraimita Giosuè e il giudeo
Caleb, pur sviluppandosi in un’atmosfera di mutuo rispetto e accettazione del
ruolo che Dio aveva assegnato a ciascuno di loro, abbia però catalizzato la
creazione di una dicotomia nell’identità del popolo di Israele. Da una parte
Giosuè, leader indiscusso, riconosciuto da tutte le tribù (compreso Giuda), e
dall’altra Caleb, punto di riferimento speciale per la tribù di Giuda, che
garantiva dunque una peculiarità nella sua identità di tribù a sé. Questa
dicotomia divenne sempre più radicata dopo la conquista, e fornì la base per lo
scisma tra il Sud ed il Nord di Israele molti anni più tardi.
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4. GLI ALTRI TASSELLI DEL MOSAICO STORICO
(Nicola Martella):
La tesi di Nicola Berretta ha in sé molti elementi di verità. Essi devono essere
messi però su un orizzonte molto più ampio e… antico. Bisogna infatti risalire
nientemeno a Giacobbe e alla divisione dell’eredità e della benedizione fra i
suoi figli e capi-clan d’Israele (Gn 49).
In
genere era il primogenito a diventare principe della famiglia patriarcale,
ottenendo un’eredità doppia dei suoi fratelli, una benedizione particolare e il
diritto-dovere di guida. Questo diritto fu perso da Ruben per motivi morali e da
Levi e Simeone per la loro spietatezza verso i Sichemiti. In ballo c’erano i
meriti anche di Giuseppe, conquistati sul campo, avendo di fatto salvato la
famiglia. In tal modo, Giacobbe dissociò l’aspetto della preminenza nel comando
da quello del prestigio legato all’eredità e alla benedizione (prole,
primogenitura), il primo fu data a Giuda (Gn 49,10) e il secondo a Giuseppe (vv.
22ss; cfr. già Gn 41,52). Il conflitto era in tal modo programmato.
Tra
i figli di Giacobbe, sebbene fosse stato Manasse a ricevere la primogenitura (si
veda l’ampiezza del territorio), fu Efraim a diventare il principe del clan
familiare di Giuseppe e a ricevere la benedizione maggiore (Gn 48,13ss.19). La
tribù di Efraim divenne la testa di ponte e riuscì a coagulare intorno a sé un
potere tale tra le tribù da poter essere di fatto un fiero rivale di Giuda.
In
questo contesto si inseriscono le figure di persone-guida come Caleb (di Giuda;
Nu 13,8) e Giosuè (detto già Hošea`; d’Efraim; v. 8) al tempo della migrazione,
della conquista e di poi. Caleb fu designato tra i principi d’Israele come
rappresentante di Giuda per sovrintendere alla spartizione futura del paese,
mentre Giosuè doveva essere, quale guida del popolo, il supervisore insieme a
Eleazar (Nu 34,17ss). Lo stesso Mosè chiamò, nella sua benedizione finale,
Giuseppe «principe tra i suoi fratelli» (Dt 33,16) e connesse a lui la
benedizione (vv. 13ss). Si noti al riguardo la primogenitura e il vigore bellico
contro i popoli nemici, messi in connessione con Efraim quale toro maestoso (v.
17). Giuda fu menzionato subito dopo Ruben (a cui non venne attribuita molta
importanza) e gli fu riconosciuta una funzione verso l’intero popolo, che egli
avrebbe difeso (v. 7). Si noti l’ampiezza del brano per Efraim e la concisione
di quello per Giuda.
Efraim fece valere le proprie rivendicazioni già al tempo della conquista:
volevano più spazio (senza doverselo conquistare in pianura, temendo i carri da
guerra dei Cananei) anche se a discapito delle altre tribù (Gs 17,14-18); di
fatto non cacciò tutti i Cananei (Gdc 1,29).
Si
noti come al tempo dei Giudici, Efraim volesse imporre la propria supremazia tra
le tribù con l’arroganza e la prepotenza: quando c’era da difendere la patria,
arrivava spesso in ritardo, molte volte a cose fatte, e minacciava di dar
battaglia al giudice di turno e alla gente con lui (Gdc 8,1ss; 12,1). Si arrivò
anche alla guerra civile (Gdc 12,4ss).
Questa tendenza di avere due centri di potere si accentuò con l’unzione di
Davide a re, allorché Giuda tenne per Davide e il resto delle tribù per Saul.
Dopo la morte di Saul, Abner, capo dell’esercito di quest’ultimo, coagulò
intorno a Iš-Bošet Israele; è interessante notare che — oltre a Beniamino, da
cui proveniva Saul — fu menzionata per nome solo Efraim quale tribù (2 Sm 2,8s).
Davide fu per diversi anni soltanto il re di Giuda (2 Sm 2,11) e solo in
seguito, dopo una guerra civile fra Davide e i discendenti di Saul, i principi
delle altre tribù videro nella sua monarchia un vantaggio anche per loro,
allorché il già menzionato Abner venne da Davide e gli offrì l’occasione per
diventare re di tutta la nazione (2 Sm 3,17ss). Al riguardo giocò un ruolo anche
la congiuntura politica, ossia la morte di Abner e l’incapacità dei Sauliti di
guidare una guerra contro Davide. Era meglio sottomettersi in pace che essere
fagocitati da sconfitti.
Quando Gerusalemme divenne la capitale del regno, Beniamino si unì strettamente
a Giuda, poiché il re Davide risiedeva in territorio benianimita (Gs 18,28). In
effetti, furono solo uomini forti come Davide e Salomone a tenere insieme un
regno che aveva in sé molte eterogeneità e in cui gli Efraimiti costituivano una
poderosa forza che mirava al primato. Quando la mano potente venne a mancare sul
«coperchio», riesplosero le antiche contraddizioni e ambizioni…
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5. RIFLESSIONI SULLA BENEDIZIONE DI GIACOBBE
(Argentino Quintavalle):
Ho letto l’articolo di Beretta e sono d’accordo con te che l’orizzonte va
allargato. Tempo fa feci uno studio su un argomento simile e a tal proposito
aggiungo quanto segue. Quando Giacobbe benedisse i suoi figli accaddero delle
cose strane.
5.1. RUBEN: Era il primogenito naturale. Giacobbe lo riconobbe,
dichiarando: «Ruben, tu sei il mio primogenito».
Come a dire: «Il fatto che tu sei il primogenito biologico non te lo leva
nessuno». Giacobbe però continuò spiegando a Ruben perché nonostante ciò, il
comando non sarebbe passato a lui. Era troppo impetuoso. Non aveva pazienza. Non
rifletteva. Spesso si sente dire di un politico o di un dirigente: «È una brava
persona». Si può essere brave persone senza essere adatti a comandare. Ruben era
una brava persona, ma non era in grado di comandare.
5.2. GIUSEPPE: Era il figlio prediletto, figlio della moglie
prediletta. Sin dalla fanciullezza Giacobbe lo distinse dagli altri figli. Era
giusto e integro. Aveva mantenuto la sua identità nella difficile società
egiziana. Era il giusto per eccellenza, che rifuggiva dal peccare. Giuseppe
inoltre dimostrò le sue capacità di comando come viceré d’Egitto. A Giuseppe
Giacobbe assegnò la primogenitura «economica», ossia eredità doppia rispetto ai
fratelli. Nonostante ciò non era il leader del popolo. Era un solitario. Era
sempre un gradino sopra gli altri. Non era in mezzo agli altri. Andava bene per
governare l’Egitto ma non per essere il capo delle tribù del Signore.
5.1. GIUDA: Ricordo qualche cosa della vita di Giuda: guarda caso
fu colui che propose la vendita di Giuseppe.
Non era un perfetto esempio di dirittura morale. Nell’episodio di Tamar si vede
chiaramente che andò con una donna, ritenendola una prostituta (di contro
Giuseppe resisté alla tentazione della moglie di Potifar). Non rispettò la legge
del «levirato» con Tamar. Due dei suoi figli vennero direttamente uccisi da Dio
per la loro pochezza morale (di contro Giuseppe ebbe due figli modello che
vennero elevati da Giacobbe da nipoti a figli). Giacobbe disse: «Giuda,
tu sarai riconosciuto [come capo] dai tuoi fratelli, la tua mano sarà sulla
cervice dei tuoi nemici, a te si inchineranno i figli di tuo padre, non si
allontanerà lo scettro da Giuda né un discepolo dalla sua discendenza, fino a
che non arriverà Scilo [il Messia]» (Gn 49,8ss).
Giuda era colui che propose la vendita di Giuseppe, a
dimostrazione del grande conflitto che c’era tra di loro. Eppure, mentre propose
la vendita di Giuseppe, la sua intenzione era quella di proporre un compromesso.
La proposta di Ruben: «Non fategli niente, datemelo e lo riporto da nostro
padre», non poté convincere i fratelli che lo volevano vedere morto. Giuda
ebbe invece la forza di imporre un compromesso, mentre Ruben non fu in grado di
salvare il fratello. Nonostante questo, Giuda era conscio dell’errore e si
riscattò: quando Giuseppe, come viceré, volle imprigionare Beniamino, Giuda fu
pronto a offrirsi schiavo in riscatto. La sua azione determinò la riuscita di
tutta la storia. Nel caso di Tamar, Giuda peccò ma lo riconobbe e disse: «Ella
è più giusta di me!». Giuda aveva la stoffa del leader, e
giustamente Giacobbe lo fece tale.
Queste sono, secondo me, le origini del rapporto di
rivalità, ma anche di amore tra Giuda e Giuseppe (Efraim, Israele).
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6. Riflessioni sul Salmo 78
(Nicola Berretta):
Forse la mia è solo curiosità accademica, ma la questione del
rapporto tra Giuda ed Efraim ultimamente mi sta incuriosendo molto, anche perché
rende molto più dinamici e «reali» gli episodi narrati nei libri dell’AT. Alcuni
giorni fa stavo meditando sul libro dei Salmi e l’attenzione mi è caduta sul
Salmo 78 di Asaf. Sarà anche vero che «la lingua batte dove il dente duole», ma
questo salmo ha subito attratto la mia attenzione proprio per la dinamica
Giuda-Efraim che sottintende. Tutto il Salmo è improntato sull’infedeltà di Israele
contrapposta alle opere potenti che Dio aveva compiuto a suo favore, tuttavia, a
ben guardare, si intravede in controluce un quadro di contrapposizione tra
Efraim e Giuda. La violazione del patto viene infatti imputata ai «figliuoli di
Efraim» (v. 9). Questa violazione di sarebbe concretizzata particolarmente nella
ribellione nel deserto, malgrado la liberazione dalla schiavitù d’Egitto e la
cura costante di Dio nei loro confronti (vv. 12-53). Tale ribellione si sarebbe
poi manifestata anche in seguito, dopo la conquista della terra promessa (vv.
55-64), con riferimento probabilmente all’epoca dei Giudici). Il giudizio di Dio
a queste infedeltà si realizza dunque in un ripudio di Giuseppe e una elezione
della tribù di Giuda (identificato nel monte Sion e nella persona di Davide) al
posto di Efraim (vv. 65-72).
Questo Salmo dunque attribuisce a Efraim (Giuseppe) una
responsabilità specifica nell’infedeltà di Israele, manifestatasi durante
l’Esodo e nei tempi successivi alla conquista di Canaan. Questa avrebbe causato
una sua reiezione e dunque una successiva elezione di Giuda.
Mi chiedo allora se questa dinamica presupponga una
«passaggio di primogenitura» da Efraim a Giuda causato dell’infedeltà del primo
(nota ai vv. 67s: «…non elesse la tribù di Efraim, ma elesse la tribù di
Giuda…»), piuttosto che una «spartizione di diritti di primogenitura» tra
Giuda (diritto di comando) e Giuseppe (diritto di eredità) sottinteso nella
benedizione di Giacobbe, come proposto da Nicola e da Argentino.
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7. Risposte sul Salmo 78
(Nicola Martella):
I diritti acquisiti non sono invalidati dal legislatore («i
doni e la vocazione di Dio sono senza pentimento»; Rm 11,29), da dagli atti
storici dei soggetti coinvolti. Il salmo di Asaf venne scritto all’apice della
storia di Davide, quando Dio gli diede la meglio in Israele e Giuda tenne testa
nella guerra civile al resto di Israele, di cui Efraim rappresentava sempre il
«pezzo forte», il leader, la testa di ponte. Partendo dall’approvazione di
Davide («elesse Davide suo servo» [v. 70], pastore integro e assennato [v. 72])
— e quindi di Giuda — e dalla conquista di Gerusalemme («il monte di Sion» [v.
69], luogo del suo santuario [v. 69]), Asaf si sentì legittimato a fare una
rilettura della storia passata, ricordando anche alcuni lati oscuri di Efraim
(v. 9). Per onestà bisogna ammettere che i versi da 10 in poi si riferiscono con
molta probabilità a tutto Israele (cfr. v. 17 «ma essi»; v. 21 Giacobbe,
Israele; v. 62 «il suo popolo»; ecc.). È vero che Asaf — dinanzi alla nuova
situazione vittoriosa per Davide e Giuda — si tolse dalle scarpe qualche antico
sassolino (v. 67). Ma qui, come detto, si trattava della tribù da cui Dio fece
venire il re in Israele (v. 70) e della città, in cui Dio edificò il suo
santuario (v. 69). Non si trattava quindi dei diritti che Efraim aveva né
di un ripudio come tribù d’Israele, ma si trattava della scelta divina quanto
alla tribù di comando e della capitale quale centro del culto e del potere. Per il ricordo di Dio verso Efraim, l’approvazione di
questa tribù e per l’armonia futura che avrà con Giuda, si veda ciò che in
seguito dissero i profeti, ad esempio: Is 11,13s; Gr 31,6.9.18ss; 50,19s; Ez
37,16.19ss; Os 11,3.8s; Zc 9,13; 10,6s.
Per l’approfondimento si vedano i seguenti articoli in Nicola Martella,
Manuale Teologico dell’Antico Testamento (Punto°A°Croce,
Roma 2002): «Jahwè: azione verso i re d’Israele e di Giuda», pp. 207ss;
«Monarchia: origine», pp. 232ss; cfr. pure «Re: modelli», pp. 296s; «Svolte
storiche», p. 346. ● Per una panoramica sulla storia d’Israele cfr. in Nicola
Martella,
Radici 3-4 (Punto°A°Croce, Roma 1994) gli articoli: «Libri storici», pp. 18-21; «Epoca
della monarchia», pp. 64ss.68ss; ● sulla divisione del regno cfr. qui in «Epoca
della monarchia», pp. 67s; «Re», pp. 92s. |
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A2-Israele_versus_Giuda_R34.htm
06-04-2007; Aggiornamento: 30-06-2010
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