Un taglio netto alle convenzioni anti-bibliche e pseudo-bibliche, all'ignoranza e alle speculazioni — Ein klarer Schnitt zu den anti-biblischen und pseudo-biblischen Konventionen, zur Unwissenheit und den Spekulationen — A clean cut to the anti-biblical and pseudo-biblical conventions, to the ignorance and the speculations — Une coupe nette aux conventions anti-bibliques et pseudo-bibliques, à l'ignorance et aux spéculations — Un corte neto a las convenciones anti-bíblicas y pseudo-bíblicas, a la ignorancia y a las especulaciones

La fede che pensa — Accettare la sfida nel nostro tempo

«Glaube gegen den Strom»: Für das biblische Unterscheidungsvermögen — «Faith countercurrent»: For the biblical discernment — «Foi contre-courant»: Pour le discernement biblique — «Fe contracorriente»: Por el discernimiento bíblico

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Manuale Teologico dell’AT

 

Interpretazione biblica

 

 

 

 

Dopo una introduzione alle problematiche della teologia dell’AT, segue il dizionario teologico dell’AT.

   Ecco le parti principali dell’introduzione alla teologia dell’AT:
■ Il compito e l’oggetto della Teologia dell’AT
■ Le posizioni teologiche più ricorrenti
■ I patti e gli altri approcci
■ Contro l’appiattimento storico e teologico dell’AT.

 

Al dizionario teologico dell’AT sono acclusi un registro delle voci e un registro ragionato delle stesse detto «percorsi teologici».

 

► Vedi al riguardo le recensioni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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PER UN’ANALISI LESSICALE DEL TESTO BIBLICO 1

Principi, errori e strumenti utili

 

 di Francesco Grassi

 

1. Introduzione

2. Facciamo un po’ di chiarezza

3. La priorità dello studio sincronico

Prima parte

 

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Questo articolo lo presentiamo in due parti, a causa della sua lunghezza, specificità e difficoltà di comprensione per tanti lettori. Esso non è destinato a tutti, ma solo a quei lettori che sono appassionati dell’interpretazione del testo biblico, quindi di ermeneutica, di esegesi contestuale, di linguistica e discipline affini.

    Tale approfondimento proviene da lontano, ossia dapprima dal confronto su 2 Pietro 1,3-4 tra Tonino Mele e Francesco Grassi. [► 2 Pietro 1,3-4 tra storia ed escatologia {Tonino Mele}; ► Natura divina e incorruttibilità in 2 Pietro 1,3-4 {Francesco Grassi}; ► Natura divina fra caparra e adempimento finale] A tale discussione è seguito l'articolo « Lingue bibliche e l’errore dell’etimologia», scritto da Nicola Martella e Francesco Grassi. Da ciò è nata una discussione in merito, e questo articolo di Francesco Grassi rappresenta la risposta data specialmente a Tonino Mele. La lunghezza di quest'ultima ci ha obbligati a mettere questo scritto a sé stante.

    Le tesi presentate qui da Francesco Grassi costituiscono una base di discussione, a cui seguiranno risposte sia di Tonino Mele, sia mie.

    Qui di seguito si fa uso dei termini «sincronico» e «diacronico». Col primo s’intende il significato di un termine in un certo momento della storia; mentre «diacronico» intende l’uso e lo sviluppo di un dato termine nel tempo. {Nicola Martella}

Seconda parte

 

 

1.  INTRODUZIONE: Fino a un secolo fa il metodo linguistico, usato sia per lo studio biblico che per l’analisi linguistica in generale, era di tipo «etimologico». Molto peso era dato alla morfologia, all’etimologia, alla formazione etimologica dei termini. In campo biblico era l’ossessione per «l’ispirazione testuale» d’ogni singolo morfema e lessema a portare molti studiosi a cercare per forza un significato intrinseco e più profondo degli stessi: un testo divinamente ispirato doveva contenere più di quello che s’apprendeva normalmente![1] Contava poco come questo assumesse differenti sfumature secondo il contesto, in cui esso era inserito. Come ci ha ricordato Tonino Mele, per molte persone i termini hanno un «significato fisso».

     Saussure, circa un secolo fa, gettò le basi per la linguistica moderna, cosa che trovò non solo ampio uso nello studio delle Scritture, ma anche minò alla base i vecchi metodi «diacronici». Fra gli studiosi evangelici vi è oggi un consenso sulla priorità e dell’utilità del metodo sincronico su quello diacronico, idea per l’appunto, esibita per primo da Saussure.[2]

     In pratica purtroppo, le cose non sono cambiate un gran che. Spesso si passa da un’assenza generale di studio e metodo, all’adottarne di obsoleti e inefficaci, o comunque, a preferire alla strada nuova quella vecchia. Così, l’errore etimologico del quale stiamo parlando è ancora vivo e vegeto e diventa ancor più evidente, perché vi è un’alternativa migliore, ma che non si vuole adottare. Nei vecchi dizionari, commentari, opere ermeneutiche e grammatiche (ma non solo!), dal pulpito e perfino in importanti lessici considerati la quintessenza nel campo degli studi biblici, certi errori si perpetuano ancora. Nel 1961, fu James Barr, con il suo Semantics of biblical Language che, sulla linea di Saussure, continuò la critica dell’uso diacronico e diede una vera svolta alla questione. Egli prese di mira in particolare il Kittell, ossia il Theological Dictionary of the New Testament (abbr. TDNT).[3] La critica negativa di questo lessico riguarda la sua natura ovvero d’essere in realtà un dizionario del pensiero, della storia e della teologia neotestamentaria piuttosto che un vero e proprio lessico. Nel suo libro presenta molti esempi, in cui dimostra l’illegittimità del metodo diacronico e i vari errori esegetici connessi a esso.

     Consapevoli o meno, le cose non sono più le stesse da allora. C’è stato un moltiplicarsi d’opere su base più o meno sincronica, e comunque, le vecchie metodologie sono confinate alle vecchie opere. Difficilmente è utilizzato oggi uno strumento, che si rispetti, il quale fondi le proprie ricerche sull’uso diacronico o sull’etimologia. Penso particolarmente al BDAG: A Greek English Lexicon of the New Testament and other Early Christian Literature (2000, Third Edition); e al LOUW-NIDA: Greek-English Lexicon of the New Testament Based on Semantic Domains (1988).[4] Nessuno studio serio del Nuovo Testamento può essere intrapreso senza queste opere, salvo che naturalmente non si voglia ricorrere sempre e soltanto a commentari o alle varie traduzioni della Bibbia[5] (non sto criticando chi lo fa, anzi! Vedi i commenti di Nicola… Sto solo presentando gli strumenti utili per uno studio induttivo, particolarmente indicati per chi conosce il greco, o almeno sa leggerlo).

 

 

2.  FACCIAMO UN PO’ DI CHIAREZZA: Qui di seguito parliamo della differenza fra studio diacronico e sincronico.

 

2.1.  DA DOVE INIZIAMO?: In ogni tipo di lavoro è importante saper bene da dove iniziare per prima. Bisogna pianificare, progettare e poi mettere in atto. È facile non realizzare che un buon inizio è determinante per un buon esito. Anche nell’analisi lessicale vale lo stesso principio: alcune cose ne precedono altre. La tesi di questo articolo è che lo studio sincronico preceda quello diacronico. Se si vuole evitare di cadere nell’errore etimologico, allora è importante riconoscere la differenza fra i due metodi e la priorità dell’uno sull’altro. È possibile infatti che uno voglia dare pari importanza a entrambi i metodi, o che voglia addirittura invertirne l’ordine: sarebbe la stessa cosa? Avremmo gli stessi risultati? Non importa veramente cosa preceda cosa?

     Secondo alcuni, se non si studia prima l’uso diacronico d’un termine, non si può determinare né capire il suo significato, per esempio, neotestamentario.

     Se, per esempio, volessi sapere cosa Paolo intendesse significare con il termine dynamis in Rom 1,16, dovrei iniziare dall’uso che egli fa nelle sue lettere, per poi spostarmi al resto del NT; e solo in caso di fallimento[6], dovrei ricorrere a fonti extrabibliche. Secondo la logica diacronica, invece, m’occorrerebbe fare il contrario: passare in rassegna «prima» tutta[7] la letteratura classica, poi la LXX e, solo alla fine, andare all’uso che Paolo fa di quel termine nelle sue lettere. Solo alla fine potrei capire cosa dynamis significhi. Questo svela un altro di quegli errori etimologici che, mi sembra, siano alla base di questo modo di procedere, ossia riguardo alla «genetica lessicale».[8] Secondo questo pensiero, già i primi lettori, prima ancora che noi, per comprendere Paolo, avrebbero dovuto essere a conoscenza dell’uso diacronico (i geni lessicali tramandati lungo la storia) di gran parte del suo vocabolario, poiché Paolo non ha allegato nessuna «guida diacronica alla lettura» alle sue lettere. In realtà, ciò che importava a Paolo era l’uso del termine nel tempo in cui egli scrive e questo garantiva che vi fosse un «ponte» fra le sue lettere e i suoi lettori. Gli scrittori usavano convenzioni linguistiche correnti. È altamente improbabile se non impossibile che i lettori conoscessero l’evoluzione e l’etimologia dei termini usati da Paolo.[9]

     Il punto è, infatti, che la lingua si trasforma, s’appiattisce, si semplifica, si fonde alle altre, perde le connessioni etimologiche, le motivazioni storiche; e spesso i cambiamenti che ne risultano sono accidentali e non rintracciabili.[10] Ciò che resta è il loro «uso» quotidiano del tempo. Mi sembra perciò che un sano agnosticismo diacronico sia da preferire alla ricerca delle cause, motivazioni, e accidenti nell’evoluzione d’un termine. Molti linguisti illustrano questo principio con il gioco degli scacchi o con una foto in contrapposizione a un filmato: non importa quali mosse siano state fatte prima, conta la posizione attuale delle pedine o l’attuale fotogramma.[11]

     Ora, se questo procedimento combattesse in qualche modo «l’errore etimologico», non ci sarebbe nulla da recriminare. Il punto è che l’errore etimologico proviene proprio dal fatto di mettere in posizione di preminenza l’uso diacronico d’un termine rispetto al suo uso sincronico. Iniziare dall’uso diacronico, non porta frutto all’esegesi, anzi si rivela una missione frustrante e pericolosa.

     Ciononostante, la ragione per cui scrivo non è quella di rispondere direttamente a chi vorrebbe dar maggior peso al metodo diacronico, ma è quella chiarire alcuni concetti in modo da aiutare chi legge e ha voglia di studiare la Parola di Dio in modo onesto e fruttuoso, e seguendo una metodologia corretta.

 

2.2.  ALCUNI ESEMPI CONTEMPORANEI: Molti termini assumono significati del tutto diversi già a distanza di pochi anni. Oltre agli esempi simpatici di Nicola Martella (io fui fulminato da una sorella quando dissi che m’era penetrata una scheggia in un dito!), facciamo qualche esempio vicino a noi.[12]

     ■ Il termine «sindaco» viene, etimologicamente, dalla fusione del prefisso greco syn- (con) e un derivato del sostantivo greco dikaiosyne (giustizia). Sono sicuro che la stragrande maggioranza della gente non sappia nulla dell’origine del termine, ma capisce più che bene chi è il sindaco (molti sindaci non sanno affatto cosa egli rappresenti per la cittadinanza!): dovrebbero prima conoscere l’uso diacronico per capire il significato del termine «sindaco»?

     ■ Veniamo a un altro termine, «sinistro». Già all’interno d’una stessa lingua (e lo stesso vale per molti termini greci), esso può significare cose diverse: lato sinistro, incidente, colpo sinistro, un partito politico o uno sguardo sinistro. Riguardo a quest’ultimo aspetto, tutti sanno cosa sia uno sguardo o un luogo sinistro, ma molti ignorano cosa ha originato tale accezione, cioè la credenza secondo cui gli auspici fatti dalla parte sinistra diventavano di cattivo augurio.[13]

     ■ Che cosa dire dei giorni della settimana? Quanti pensano alla Luna, a Marte, a Mercurio, a Giove, a Venere, allo šābat e al giorno del Signore (lat. Dominus) o giorno del Sole in Inglese (Sunday)? Nessuno ha bisogno di conoscere «prima» l’uso diacronico del termine per capirne l’uso corrente.

     ■ Televisione: Questo è forse il termine più vicino a noi dei quattro, eppure il significato etimologico è già decaduto. Tutti sanno cosa sia la televisione, ma pochi conoscono l’etimologia del termine: vista da lontano.

 

Da questi esempi capiamo che, nonostante i termini abbiano una loro storia, ciò che di essa si ripercuote sul loro uso corrente, è lontano da noi e non aggiunge nulla alla comprensione d’un termine già chiaro di per sé per uso e convenzione linguistica. Secondo il Silva, l’uso dell’etimologia «può essere connesso a una carenza di familiarità genuina con le lingue bibliche».[14] Chi ne paga le conseguenze, come spesso avviene, è la chiesa. La gente capirebbe meglio e prima il senso vero e normale d’un termine, se non fosse che chi predica o scrive ricorre a complicare le cose con sofismi, distrazioni e speculazioni etimologiche inutili. Il rischio è, infatti, oltre che a non tirar fuori il «vero significato», quello d’allontanare dalla comprensione del termine chi ascolta o legge. Il commento un po’ spiritualista (senza offesa!) di Volto di Gennaro, non deve passare inosservato; e se mi è permesso d’applicare il suo consiglio, dobbiamo ricordare che se «il senso d’un termine fa buon senso, non occorre cercare un altro senso» (vecchia regola applicata all’ermeneutica in generale).

     L’etimologia, può essere informativa, interessante, illustrativa, ma non può avere priorità nell’esegesi e non deve mai venire «prima» d’un normale studio lessicale sincronico. Questo è particolarmente vero, come vedremo fra un po’ per il greco del NT.

 

 

3.  LA PRIORITÀ DELLO STUDIO SINCRONICO

 

3.1.  UN CONSENSO GENERALE: Quando frequentavo la scuola biblica a Roma, uno dei consigli che spesso ci venivano dati dagli insegnanti era che, se quello che dici non è già stato detto o non lo dice nessuno, allora forse sei nel torto. Riporto di seguito quello che, in ambito degli studi biblici, è il consenso generale di teologi, filologi, esegeti, esperti di grammatica greca e commentatori. Per la cronaca, se ne trovano di calvinisti, arminiani, pentecostali, cattolici, liberali, atei: se tutti convergono in questo punto, e argomentando in modo onesto e rigoroso, allora faremmo bene ad ascoltare.

     ■ Le informazioni diacroniche possono essere interessanti, perfino informative, ma non devono essere uguagliate o elevate al di sopra della descrizione e l’analisi sincronica.[15]

     ■ I dati sincronici sono essenziali per l’interpretazione; i dati diacronici sono inaffidabili.[16]

     ■ L’etimologia, comunque, dà una falsa idea sulla natura d’un vocabolario (intende la lingua) in quanto è interessata solo a come il vocabolario sia stato formato. Le parole non sono adoperate secondo il loro uso storico. La mente — ammesso che ne abbia mai saputo — dimentica gli sviluppi semantici, attraverso cui le parole sono passate. Le parole hanno sempre un valore corrente, cioè, limitato al tempo in cui furono adoperate, e un valore particolare relativo all’uso momentaneo che noi facciamo d’esse.[17]

     ■ Il punto principale è che l’etimologia d’una parola non è un’affermazione riguardo al suo significato, ma riguardo alla sua storia... È del tutto sbagliato supporre che l’etimologia d’un termine sia necessariamente una guida al suo «proprio» significato in un periodo più tardo o al suo vero significato corrente.[18]

     ■ Si notino, qui di seguito, alcune osservazioni che ho tratto dalle definizioni, che Wikipedia dà dell’etimologia (il grassetto è redazionale): «Talvolta si crede che l’etimologia sia lo studio del “vero significato” d’una parola, ma non lo è affatto. L’interesse dell’etimologia è quello di studiare la storia d’una parola. Esamina così quando e come una parola entrò a far parte della lingua, come è cambiata la sua forma originale nel corso degli anni, e come s’evoluto il suo significato. L’etimologia quindi, studia la vera provenienza della parole, mentre nell’errore etimologico, si pensa sia lo studio del loro vero significato». «Quale sia il vero significato delle parole può essere deciso solo studiandone l’uso. Essendo un processo umano, la lingua è soggetta a cambiamenti, e l’uso è uno di quegli aspetti che subiscono alterazione nel tempo».

     ■ Perciò, il significato d’una parola non sarà rivelato dalla considerazione della sua etimologia, ma dall’analisi di tutti i possibili significati conosciuti di quella parola, al tempo in cui è stata usata (evitando così l’errore diacronico).[19]

     ■ Gli interpreti devono deliberatamente ricercare cosa le parole originali d’un brano significavano al tempo in cui furono scritte e nel contesto in cui esse compaiono. Il corretto significato delle parole, non quali idee possano richiamare alla nostra mente mentre leggiamo il brano, è l’oggetto dello studio lessicale.[20]

     ■ Significati passati possono essere interessanti e perfino pittoreschi, ma dobbiamo resistere alla tentazione di credere che questi influenzino in qualche modo l’uso corrente.[21]

 

Lo stesso concetto compare proprio nelle opere che dovremmo usare per lo studio lessicale, ovvero il Louw-Nida, ma anche nelle grammatiche di Wallace e Mounce. Insomma, la lista è davvero lunga.

     Ora, con questa lista non voglio dimostrare nulla, ma rimane il fatto che vi è una grande differenza fra i due metodi sopra descritti e il loro rispettivo ordine nell’analisi lessicale. Ora, benché vi possano essere forti assonanze e richiami nientemeno che fra lingue così distanti fra loro, quali l’italiano e il greco (p.es. dynamis - dinamite), queste connessioni sono solo morfologiche, non semantiche, e comunque non presagite o confermate dal testo sacro! Il significato è dato, per l’uno e l’altro termine, dalle convenzioni linguistiche usate nei rispettivi momenti storici. La somiglianza morfologia non porta con sé il significato. Per questo trovo illegittimo l’uso della dinamite anche solo come illustrazione della potenza dell’Evangelo, pur con le opportune modifiche e abbellimenti (vedi sotto: Un caso «impertinente»?).

 

3.2.  LA PROVA DEL LESSICO: Quando ero studente all’Ibei di Roma, Nicola Martella dava spesso agli studenti delle analisi lessicali da fare, nelle quali si doveva fare particolare attenzione a come il termine veniva usato, per esempio, nei Profeti, nel Pentateuco, nei Libri Storici, ecc. Questo compito dà per scontato almeno tre cose: ▪ 1) È possibile comprendere l’uso sincronico d’un termine senza «conoscere prima» il suo uso diacronico; ▪ 2) Questo è il metodo più sicuro ed esegetico per conoscere il significato d’un termine, per esempio, nei Profeti (è infatti un metodo mirato!); ▪ 3) Nonostante il termine possa aver subito variazioni nel corso dei secoli, queste sono spesso fortuite e inspiegabili, e non lasciano traccia né del momento né delle circostanze, che ne hanno determinato il cambiamento di sfumatura o significato. Allo studente importa quale sia il significato del termine nel periodo, che si sta studiando, secondo l’uso sincronico e non la storia diacronica. Forse all’inizio non si comprende la ragione di questo studio, che sembra essere limitato e superficiale, finché non s’iniziano a consultare lessici e dizionari teologici, e quant’altro.

     Facciamo un esempio. Mettiamo il caso che stiamo studiando un testo, o un libro dell’Antico Testamento. Ci rendiamo conto che l’analisi d’un termine ci aiuterebbe nella comprensione del discorso e del libro.[22] Che cosa facciamo? Certamente possiamo iniziare dalle traduzioni che abbiamo, ma dobbiamo ricordare che le migliori traduzioni sono comunque delle interpretazioni e, alla peggio, parafrasi, fino a essere traduzioni davvero precarie. Allora, rintracciamo il nostro termine nel BDB, nello Strong o nel Gesenius (lessici), nel TWOT o nel TDOT (dizionari). In uno dei dizionari migliori in circolazione oggi, il New International Dictionary Old Testament Theology and Exegesis (abbr. NIDOTTE), a seconda del termine, si ritrovano, più o meno, le seguenti voci:

 

     ■ ANE (Ancient near east). In questa voce si ritrova di solito l’aspetto etimologico, ovvero se il termine ha qualche riscontro nelle maggiori lingue semitiche. Al riguardo però è interessante il commento dell’editore del dizionario: «lo scopo di questa voce è quella d’aiutare alcuni lettori con le connessioni etimologiche. Vi è un rischio nel provvedere queste informazioni a causa del larghissimo abuso delle etimologie. Nonostante ciò, il materiale congiunto è rilevante sia per capire l’estensione dei campi semantici che nel definire il significato degli hapax legomena» (corsivo mio).[23] [N.d.R.: Gli hapax legomena sono termini che ricorrono una sola volta in tutto il testo biblico.]

     Si noti che l’autore parla di capire l’estensione dei campi semantici e di definire il significato solo nel caso degli hapax legomena, ovvero quei termini che compaiono solo una volta

 

     ■ OT (Antico Testamento). Questa però è solo la grande categoria che ne contiene altre.

            ● La sintassi

            ● Uso naturale

            ● Uso metaforico

            ● Il Pentateuco

            ● I Libri Storici

            ● Giobbe

            ● I Profeti

 

Da un semplice sguardo allo schema di questo dizionario capiamo che, se stiamo leggendo i Profeti, può essere interessante vedere quale significato abbia avuto un termine nel Pentateuco, ma vorremmo senza dubbio consultare «prima», la voce «profeti» e il suo uso sincronico. Il termine ’ābal «lamento, piangere, fare lutto», per esempio, può assumere diverse sfumature a seconda del periodo storico o del periodo letterario in cui è utilizzato. L’autore di questa voce conclude proprio con questo commento: «Il verbo ’ābal nell’Antico Testamento è utilizzato in modi diversi».

     A tutto ciò s’aggiungono le diverse forme verbali, che spesso sono usate solo in un determinato periodo letterario o in un solo libro. Per esempio, se un verbo ha nella forma Qal l’aspetto attivo, non sempre ha nel Niphal l’aspetto passivo, o nell’Hiphil quello causativo. [N.d.R.: Qal, Niphal e Hiphil sono modi verbali della grammatica ebraica.] Molti verbi hanno aspetto attivo anche se compaiono nel Niphal, e non hanno affatto la forma di base Qal. Ricorrere all’uso d’un verbo in un’altra forma verbale, ritrovata in un altro periodo, non è di grande utilità perché molto spesso con un cambiamento di forma verbale avviene anche un cambiamento di significato, che non possiamo rintracciare etimologicamente. Dobbiamo farci bastare le volte che il termine compare nel libro che stiamo usando, e solo nel peggiore dei casi, ricorrere alla studio della «radice». Questo è il caso degli hapax legomena, per cui non abbiamo la possibilità di fare un confronto diacronico (vedi sotto: Utilità del metodo diacronico).

     Lo stesso identico principio vale per il NT. Il BDAG per esempio riporta diversi significati. Faremo attenzione che il brano che stiamo studiando compaia nell’accezione che stiamo analizzando. Altri dizionari teologici dividono, per esempio, la voce in Vangeli, Lettere paoline, Ebrei-Apocalisse.

 

3.3.  ALCUNI ERRORI ETIMOLOGICI: Abbiamo fatto sopra qualche esempio tratto dalla lingua italiana. Vediamone qualcuno tratto dal greco del NT.

     ■ Il termine diakonos «servo» è formato dal prefisso greco dia «attraverso» + konis «polvere». Non è necessario ricorrere all’etimologia e concludere: il servo, infatti, è colui che si sporca, s’umilia, «serve attraverso la polvere». Tutti sapevano al tempo che un diakonos era semplicemente, colui che serve (piuttosto a tavola!), che si prende cura degli altri. Il servo non deve umiliarsi? Certamente, ma questo non è il suo senso lessicale.

 

     ■ Il verbo martyreō significa testimoniare. In esso non vi è alcuna sfumatura di martirio, essendo, questa, una sfumatura del 2° sec. d.C. Si noti che i termini condividono la stessa radice, eppure hanno significati del tutto diversi. Al tempo di Gesù un martire era un testimone. È irrilevante giustificare tali «illustrazioni», dimostrando che i martiri erano anche testimoni: il martirio non rientrerà mai nel senso lessicale del termine martyreō. Nell’esegesi c’interessa l’uso corrente della parola.

 

     ■ In Giovanni 14,6 leggiamo: «E io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro consolatore, perché stia con voi per sempre». Il sostantivo consolatore traduce il greco paraklētos. La traduzione però è influenzata dal verbo parakaleō che ha la stessa radice, ma diverso significato, cioè «consolare, confortare». Ora, lo Spirito non consola, non conforta? Certo che sì! Ma questo non è il suo senso lessicale. Si noti poi che si tratta d’un «altro paraklētos», che avrebbe sostituito Gesù nel suo compito terreno, potremmo dire un altro Gesù nella sua funzione di guida (ma anche altri compiti propri dello Spirito). Eppure Gesù non è mai definito paraklētos in Giovanni (nei sinottici il termine non compare affatto), ma si ritrova in 1 Gv 2,1: «…abbiamo un avvocato presso il Padre». Che la NR abbia tradotto qui «avvocato» e lì «consolatore», è un evidente errore etimologico, di «radice», ma ci mette sulla strada giusta. Ad ogni modo, anche il termine avvocato non è esatto perché importa nel senso lessicale neotestamentario la sfumatura che il termine ebbe solo successivamente in latino, advocatus, e richiama alla mente una figura legale con tutti i preconcetti moderni legati a questa figura, mentre il termine denota semplicemente un amico. Allora vi è chi cerca il significato nella formazione del termine, para-kaleō, «chiamare accanto», quindi colui che sarebbe chiamato per stare accanto (per consolare?). È interessante che il BDAG non fa affatto menzione di quest’aspetto etimologico, e il LOUW-NIDA afferma quanto segue: «Paraklētos: derivato di parakaleō “chiamare per provvedere aiuto”, non compare con questo senso specifico nel NT».[24]

     Paraklētos dovrebbe perciò essere tradotto semplicemente come «colui che aiuta»[25] [N.d.R.: «soccorritore»], essendo questo il senso lessicale del termine richiamato normalmente alla mente dei lettori. Tutte le altre sfumature possono al massimo essere di carattere «contestuale». In 1 Giovanni 2,1 più che avvocato, potrebbe assumere il senso contestuale di «sostituto» o «che parla in favore di». Il significato più semplice è anche il più «vero» e adattabile a ogni contesto.

 

     ■ Il termine ekklēsia «chiesa, assemblea» è un derivato di due parole: ek «fuori» e kaleo «chiamare». Sulla base dell’etimologia, però, sarebbe sbagliato illustrare o spiegare che «infatti, la chiesa è formata da persone chiamate fuori dal mondo». Questo è vero teologicamente (cfr. Atti 15,14; Rom 8,30; Gv 17,6-26), ma non è il senso lessicale di ekklēsia. Il Louw-Nida precisa infatti quanto segue: «Nonostante che alcune persone hanno cercato di vedere nel termine ἐκκλησία, più o meno il significato de «i chiamati fuori», questo etimologizzare non è autorizzato dal significato di ἐκκλησία nei tempi neotestamentari o dall’uso fatto in periodi precedenti. Il termine κκλησα è stato d’uso comune per centinaia d’anni prima dell’era cristiana ed era usato in riferimento a un assemblea di persone costituita secondo un ben definito gruppo d’appartenenza. Nell’uso greco generale era solitamente un’entità socio-politica basata sulla cittadinanza in una città-stato, e in questo senso è parallela a δῆμος […]. Per il NT, comunque, è importante intendere il significato di ἐκκλησία come “un’assemblea del popolo di Dio”».[26]

     Precisamente in questo caso, il termine è come una fotografia: non ci dice nulla della provenienza di questo gruppo, né la ragione per cui sono riuniti. A questo potrebbe contribuire il senso contestuale o il senso teologico, non quello lessicale. Dico «potrebbe», perché non è affatto scontato che al termine troviamo veramente associato, sia nel contesto che nell’interpretazione teologica del termine, la sfumatura «chiamati fuori da». Infatti, se andiamo ad analizzare i brani in cui il concetto di «chiamati fuori» compare, notiamo che il termine ekklēsia ne è esente. E se analizziamo i brani in cui ekklēsia compare, la sfumatura «chiamati fuori» è assente. Nel NT, l’ekklesia è semplicemente il radunamento dei santi di Dio, in contrapposizione a qualsiasi altro gruppo religioso o politico. È rilevante la frase di Gesù riportata con le parole di Matteo: «…edificherò la mia ekklesia» (Mt 16,18).

     Anche su base diacronica, nella traduzione LXX del Salmo 26,5, ritroviamo una ekklēsia che non è chiamata fuori da Dio, ma è semplicemente definita come «l’assemblea dei malvagi».

 

■ 4. L’utilità dello studio diacronico

5. Il caso «impertinente» di dynamis

6. Un appello conclusivo

Seconda parte

 



[1] Si veda anche l’ossessione d’alcuni studiosi per la gematria, opportunamente mascherata da frasi spiritualiste come «la Bibbia è meravigliosa». La Bibbia è ispirata, quindi, secondo loro, deve nascondere qualcosa d’immensamente grande e «meraviglioso». Questo approccio, oltre che a essere «anti-esegetico», rasenta lo gnosticismo vero e proprio. Un mio amico mi raccontò d’aver avuto a che fare con discepoli d’un noto studioso evangelico italiano, i quali gli avrebbero detto: «Se solo tu potessi vedere quello che vediamo noi nel testo».

[2] Cfr. Moisès Silva, Biblical Word and their Meaning, pp. 1-51.

[3] L’opera è tradotta in italiano col titolo Il Grande Lessico del Nuovo Testamento, Paideia.

[4] Il Louw-Nida è un’opera eccezionale. I termini non sono suddivisi in modo alfabetico, ma per «campo semantico». Molto utile per notare i vari sinonimi usati per uno stesso concetto. Un brano rilevante è Giovanni 21,15-17 in cui compaiono i termini agapao e fileo. Una breve occhiata a quest’opera c’indirizza a non scorgere nessuna differenza di significato nei due termini. Per una spiegazione più approfondita di questo brano si veda: Pietro Ciavarella, «I due amori di Giovanni 21,15-17», Lux Biblica 39 (Anno XX, I sem.), pp. 95-101.

[5] Questi strumenti non sono perfetti, ma rappresentano il meglio in circolazione. Non ho incluso il NIDNTT e il NIDOTTE perché questi sono, per l’appunto, dizionari «teologici». Vedi la critica del Silva al NIDNTT, «Reviews», in Westminster Theological Journal V 43 2 (Spr. 1981), pp. 396-399.

[6] È quello che io stesso ho fatto nel caso di 2 Pietro 1,3-4, essendo una frase che si ritrova solo qui in tutto il NT.

[7] Questo è essenziale se si vuole seguire questa metodologia. Infatti, dovrei assicurarmi d’aver esaminato ogni possibile fonte extrabiblica, in cui il termine compare, per asserire con certezza di non aver tralasciato nulla.

[8] Questo concetto è ampliato in Grant R. Osborne, The Hermeneutical Spiral : A Comprehensive Introduction to Biblical Interpretation (InterVarsity Press, Downers Grove, Ill.: 2006, Rev. and expanded, 2nd ed., 87).

[9] Decker, «How do we use biblical languages?», p. 5.

[10] Cfr. Thiselton on Hermeneutics, 59; John Walton Etymology.

[11] Sembra che il primo a utilizzare l’illustrazione degli scacchi sia stato proprio Saussure.

[12] Ho preso tre termini a caso, ma per il puro divertimento; invito a scorrere un po’ di voci in un comune dizionario, ancora meglio se «etimologico».

[13] Esempio preso dal Dizionario Devoto Oli.

[14] Silva, Meaning, p. 44.

[15] Stanley E. Porter, vol. 25, «Handbook to Exegesis of the New Testament», New Testament tools and studies 114 (Leiden; New York: Brill, 1997).

[16] Walton, Etymology.

[17] J. Vendryes’s, Language: A Linguistic Introduction to History, pg 176, citato in Silva, p. 47.

[18] Barr, Semantics, p. 109

[19] Peter Cotterell, in «Linguistics, meaning, semantics, and discourse analysis», in NIDOTTE.

[20] William W. Klein, Craig Blomberg, Robert L. Hubbard and Kermit Allen Ecklebarger, Introduction to Biblical Interpretation 242 (Dallas, Tex.: Word Pub., 1993).

[21] Ibid., p. 245. cfr. p. 240.

[22] Si devono scegliere solo i termini che davvero presentano qualche difficoltà, o comunque termini importanti. Ricerche su articoli, congiunzioni e termini, di cui conosciamo in modo chiaro e semplice il loro significato, possono essere molto interessanti, ma frustranti e inutili.

[23] NIDOTTE, s.v. «B. Semantic Fields and Words», n. p.

[24] Dello stesso parere anche il NIDNTT.

[25] Così il BDAG.

[26] L&N, s.v. «Table of Domains», n. p.

 

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18-05-2010; Aggiornamento: 29-06-2010

 

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