1. L’ANALISI
DEL TESTO: Il seguente approfondimento e nato da una domanda di un
lettore e dal dialogo, che ne è sorto.
1.1. NON
CONDURCI NELLA TENTAZIONE
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Stefano Meola: Nicola, ho una domanda circa la corretta traduzione
del «Padre nostro», nel punto, in cui si afferma: «Non indurci in tentazione».
Che cosa afferma veramente? Ho provato a tradurre dall’inglese, ma mi risulta
comunque la stessa cosa: «Non indurci in tentazione». È così anche dal
greco «originale»? {08-04-2015}
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Nicola Martella:
Il testo greco recita così: καὶ μὴ εἰσενέγκῃς ἡμᾶς εἰς πειρασμόν [trasl.
kaì mḕ eisenénkēs eis peirasmón]; esso significa letteralmente quanto
segue: «E che tu non ci porti nella [non ci conduci dentro la]
tentazione [o prova]» (Mt 6,13). Tale verbo eisenénkēs
è aor. cong. att. e intende la possibilità, non la realtà; non è un comando, ma
una richiesta; non intende un’azione costante, ma l’evento unico, che cambia le
cose per sempre (aoristo). Il termine peirasmós significa «prova,
verifica, tentazione». Per i dodici discepoli tale richiesta mirava alla
grande crisi, che sarebbe avvenuta con la crocifissione di Gesù. Giuda
non superò tale prova, tradendo Gesù e poi mettendo fine alla sua propria vita,
Pietro rinnegò il suo Maestro e i discepoli si dispersero.
1.2. MA
LIBERACI DAL MALIGNO!
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Stefano Meola: Ho compreso il senso.
Diciamo che possiamo fare riferimento, per intenderci, al passo biblico quando
lo Spirito di Dio discende sul Figlio e «allora Gesù fu condotto dallo
Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo». Qui, è lo
Spirito di Dio, che conduce Gesù nel deserto e aiuta il Signore a
sopportare la tentazione. Infatti, quando Gesù ebbe fame, satana si presentò a
Lui! È questo il senso: Lui ci aiuta a sopportare la prova e a non
essere tentati. Giusto? {13-04-2015}
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Nicola Martella:
Il senso della richiesta è che Dio Padre non ci metta in una situazione
di prova tale, in cui il maligno ne possa approfittare, per porci dinanzi una
trappola, che mira a farci scadere dalla fede (cfr. Giobbe). Infatti, la
seconda parte della stessa richiesta è la seguente:
«...ma liberaci dal maligno!»; qui c’è l’imperativo aoristo di
rhýomai «sottrarre, liberare, salvare; difendere, preservare,
proteggere; ecc.», per significare l’urgenza in tale specifica situazione, caso
mai si ponesse. Come si vede, si deve leggere tutto insieme come un’unica
richiesta. In pratica, i discepoli del Signore dovevano pregare, affinché,
quando sarebbe venuta
l’ora del cimento, in cui la loro fede sarebbe stata messa a pesante
verifica con la
morte di Gesù, essa non sarebbe venuta meno. |
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2. ALCUNI
APPROFONDIMENTI: Si tratta quindi di momenti particolari della
vita, in cui si decide il tutto per tutto, e non delle usuali tentazioni o
prove, in cui tutti i credenti passano.
Nella sua ora estrema, in cui il Pastore sarebbe stato fiaccato e le pecore si
sarebbero disperse (Mt 26,31), Gesù disse a Pietro: «Simone, Simone, ecco,
Satana
ha chiesto di vagliarvi come si vaglia il grano; ma io ho pregato per te,
affinché la tua fede non venga meno; e tu, quando sarai convertito,
conferma i tuoi fratelli» (Lc 22,31s). Come Dio
confidava che Giobbe sarebbe rimasto attaccato a Lui, nonostante le pesanti
prove (cfr. Gb 2,8s), così Gesù mirava al buon esito della prova: Pietro si
sarebbe tornato indietro al Signore e avrebbe avuto la forza di confermare nella
fede gli altri apostoli.
Gli apostoli del Signore avevano avvertito in tal senso: «Siate
sobri, vegliate; il vostro avversario, il diavolo, va attorno come un leone
ruggente, cercando chi possa divorare. Resistetegli, stando fermi
nella fede, sapendo che le medesime sofferenze affliggono i vostri fratelli
sparsi per il mondo» (1 Pt 5,8s).
La consolante promessa è la seguente: «Nessuna tentazione [o prova] vi ha
colti, che non sia stata umana; però Dio è fedele e non permetterà
che siate tentati [o provati] oltre le vostre forze; ma con la tentazione [o
prova] vi darà anche la via di uscirne, affinché la possiate sopportare»
(1 Cor 10,13).
3. LA
TENTAZIONE DEGLI SPIRITUALI: A proposito del perdono, della
consolazione e dell’amore, che alcuni hanno difficoltà a dare, a chi è caduto
nel peccato, se non imponendo pensanti ipoteche al malcapitato,
Paolo ingiunse ai Corinzi ad agire in modo propositivo (2
Cor 2,5-9), dando egli stesso l’esempio (v. 10) e aggiungendo la seguente
motivazione, che è pure un avvertimento: «...affinché
non siamo raggirati da Satana; infatti non ignoriamo le sue
macchinazioni» (v. 11). Ossia la
durezza di cuore, il perdono dato con tante tare e condizioni, l’imperdonabilità
e cose simili fanno parte dei raggiri e delle macchinazioni di Satana.
L’imbroglio sta nel fatto che il Calunniatore (gr. diábolos) convince
il credente, che deve perdonare, di essere migliore del malcapitato e che a lui
una cosa del genere non potrà mai accadere. Che le cose non stanno così, ce lo
dice la Scrittura e ce lo insegna l’esperienza. Beato chi non sarà un
giudice duro e spietato verso gli altri, sapendo che prima o poi anche lui
potrebbe diventare un imputato. «Fratelli,
anche nel caso in cui un uomo venga sorpreso in qualche trasgressione, voi, gli
spirituali, recuperate quel tale con spirito di mansuetudine, guardando a
te stesso, che anche tu non sia tentato!»
(Gal 6,1).
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A1-Tent_prova_Mt.htm
13-04-2015;
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