1. LE QUESTIONI: Avevo lanciato una piccola sfida alla
ricerca, scrivendo: Lo sapevi che nel testo ebraico dell’AT e in quello greco
del NT manca un termine per «nipote»? Eppure nelle nostre Bibbie compare
due volte. Come mai?.
Avevo, quindi, rimandato nelle «Curiosità
bibliche» al lemma «Mancano nella Bibbia», dove avevo messo delle
informazioni in merito, appena aggiornate. Le riporto qui di seguito:
L’ebraico
e il greco della Bibbia non hanno un termine per nipote, ma si usava
«figlio /a» nel senso di «figlio /a del figlio o della figlia» (cfr. 2 Sm 19,24
TM Mefibošet, figlio di Saul, LXX [v. 25] figlio di Gionathan,
figlio di Saul; 2 Re 8,26 [TM e LXX] Athalja, figlia di Omri). Per
questo l’autore della lettera agli Ebrei dovette usare la macchinosa espressione
«figlio della figlia di Faraone» (Eb 11,24). [Legenda: TM = Testo Masoretico (AT
ebraico); LXX = Settanta (AT greco)] |
Due lettori mi
hanno posto le seguenti questioni, dandomi una forte provocazione sul
termine «nipoti».
■ In Giobbe 18,19 e 1 Timoteo 5,4
compare «nipote». Per l’ebraico non era in uso, o meglio veniva altrimenti
specificato. Per il greco, ekgona è un termine generico, che
indica discendenti. Mi piace Nicola, perché ci sprona a consultare traduzioni
interlineari, dizionari e commentari. Comunque, fratello caro, come mai
si preferisce una lezione piuttosto che un’altra? Perché le traduzioni in
Timoteo hanno ekgonos «nipote»? Le traduzioni contemporanee si fondano o
si basano anche sulle traduzioni del passato? {Pietro Calenzo;
26-05-2013}
■ Grazie, caro fratello Nicola, concordo
appieno con ciò, che ha scritto il fratello Pietro, perché la curiosità ci
spinge a ricercare e studiare. Ma, a questo punto, poiché a me ogni aggiunta
fa sempre venire in mente una mancanza di riguardo nei confronti di Dio e
anche perché la mia curiosità è stata stimolata, per quale motivo aggiungere
termini mancanti negli originali? {Rita Fabi; 26-05-2013}
Certo, lì per lì
sono rimasto perplesso e, provocato, mi sono messo al lavoro. Possibile
che abbia trascurato tale termine plurale? Possibile che mi sia sbagliato e che
nell’ebraico e nel greco della Bibbia ci sia un termine specifico per «nipote»?
2. LE RISPOSTE
2.1.
ENTRIAMO IN TEMA: All’interno di una cultura (qui quella ebraica) con la
sua storia e le sue genealogie, chiamare «Mefibošet, figlio di Saul» (2
Sm 19,24) e «Athalja, figlia di Omri» (2 Re 8,26), era comprensibile per
loro, sapendo che «figlio» intendeva pure «discendente». Per tale motivo,
ad esempio, Gesù Cristo poté essere chiamato «figlio
di Davide, figlio di Abramo» (Mt 1,1). Anche una donna giudaica fu chiamata da
Gesù «figlia di Abramo» (Lc 13,16; cfr. 19,9 Zaccheo). O, in modo più
pleonastico, si poteva parlare dei «figli del seme d’Abramo» (At 13,26; cfr.
invece la polemica in Rm 9,7; Gal 3,7 figliolanza spirituale; 1 Pt 3,6). Per
questo l’autore della lettera agli Ebrei affermò che tutti i discendenti di
Abramo (compreso Levi, figlio di Giacobbe!) uscirono dai suoi lombi (Eb
7,5.10).
In 2 Sm 19,24 il traduttore della Settanta vide bene di puntualizzare le cose,
riportando: «Mefibošet, figlio di Gionathan, figlio di Saul». Nel
secondo caso, in 2 Re 8,26, non lo fece, forse perché, trattandosi di una donna,
ella non inficiava la genealogia.
2.2. I
NIPOTI NELLA BIBBIA: In effetti, nelle nostre traduzioni il termine
«nipoti» compare nell’AT in Gn 21,23; Gdc 12,14; 1 Cr 8,39; Gb 18,19. Possibile
che mi sia sbagliato, avendo fatto una ricerca troppo superficiale? L’unico
mezzo è analizzare tutti i brani in questione in modo più approfondito.
L’alternativa è la seguente: o c’è realmente il termine «nipoti», o non c’è. Nel
primo caso devo aggiornare io le mie informazioni, adeguandomi ai fatti;
nel secondo caso avrò un’ulteriore conferma che la mia analisi era corretta. Un
vero studioso si riconosce dal fatto che ha la piena disponibilità ad aggiornare
la sua conoscenza, senza manipolare i reali fatti storici ed esegetici. Gli
ideologi e i demagoghi fanno il contrario, pur di rimanere nella ragione.
■ Gn 21,23; Gb 18,19; Is 14,22: In questi brani ricorre il termine
ebraico nîn «discendenza» (lett. germoglio) insieme a
nëkëd «razza, discendenza»; i due termini non si differenziano molto fra
loro, ed è soltanto un modo di dire pleonastico tipico degli Ebrei. La locuzione
ebraica nîn wānëkëd è da tradurre «discendenza e razza (o
prole e stirpe)».
● Questo lo fanno correttamente in Is 14,22 la Cei, R, NR e ND; e qui la
Settanta traduce ambedue i termini solo con spérma
«seme (o discendenza)», essendo che i due termini ebraici erano per lui solo
pleonastici. ● In Gn 21,23 il testo ebraico recita: «Non ingannerai
me, né la mia discendenza (nîn), né la mia razza (nëkëd)». Poiché i due
termini si corrispondono, qui il traduttore della Settanta ha riportato mēdè
tò spérma mū mēdè tò ónoma mū «né al mio seme (o discendenza), né al mio
nome (ossia alla prole che porta il mio nome)». ● In Gb 18,19 la stessa
espressione è da tradurre: l’empio «non lascia né
discendenza, né razza
nel suo popolo, nessun superstite» (cfr.
Cei). Sembra che qui la Settanta sia andata del tutto fuori rima, traducendo
«non c’è epígnōstōs [chi è «(ri)conosciuto»] nel popolo, né
sesōsménos [chi è «salvato, scampato»]…». Epígnōstōs proviene
normalmente da epighinṓskō «(ri)conosco», ma forse l’autore aveva in
mente un termine derivato da epighínomai «nascere dopo», quindi essere
discendente; sesōsménos
«salvato, scampato» è il pt. pf. pass. di
sōzō «salvare, liberare, ecc.». Come
tutte le traduzioni, anche la Settanta è, a volte, molto soggettiva e dipende
dal traduttore. ● Tradurre, quindi, «figli e nipoti» è una convenzione
nata molti secoli fa e che i traduttori nostrani per prassi o per pigrizia hanno
perpetuato, senza darsi pena di andare a verificare i testi originali.
■ Gdc 12,14; 1 Cr 8,39: Rimangono questi due brani, in cui le traduzioni
italiane riportano «nipoti». ● In Gdc 12,14
si legge nelle traduzioni nostrane che Abdon «ebbe
quaranta figli e trenta nipoti» (R, NR, Cei, ND); solo Diodati tradusse
«trenta figliuoli di figliuoli». Infatti, l’ebraico ha qui benê
bānîm
«figli di figli»; e la Settanta tradusse letteralmente hyõn
hyioí «di figli figli». ● In 1 Cr
8,39 si legge nelle traduzioni nostrane che «i
figli di Ulam… ebbero molti figli e nipoti»
(R, NR, Cei, D, ND). Anche qui, invece di nipoti l’ebraico ha benê
bānîm
«figli di figli»; e la Settanta tradusse letteralmente hyoùs
tõn hyõn
«figli di figli».
■ 1 Tm 5,4: Nel NT «nipoti» compare nelle traduzioni nostrane solo in
questo brano, dove il testo greco recita:
chḗra tékna ḕ ékgona échei, che
viene tradotto così: «una
vedova ha figli o nipoti». I tékna sono
i «bambini, figli biologici». Il termine in esame è ékgona. Un
ékgonos (da
ekghìnomai «nascere, derivare, essere generato; uscire, ecc.») è chi
«deriva o proviene da qualcuno, nato, generato», quindi «figlio, figlia, prole,
discendente, bambino, nipote». Il termine ékgona
(neut. pl) intende generalmente «prole, figli» ed era
usato per designare addirittura i frutti (della terra) e le produzioni dei
poeti. Sarebbe più corretto tradurre tale brano così: «una
vedova ha figli o discendenti».
Quindi, neppure tale termine è specifico per designare in modo incontrovertibile
i nipoti.
3. ASPETTI CONCLUSIVI: Non mi vorrei dilungare oltremodo,
ma
lasciare ai lettori di trarre le eventuali conclusioni. Faccio solo qualche
osservazione. Come avrebbe fatto ’Aberāhām
a presentare un suo nipote a un suo conoscente? Avrebbe detto: «Questo è mio
figlio Ja`aqob, figlio di mio figlio
Jiṣechāq
(e mia nuora Ribeqāh)».
Ogni lingua ha i suoi modi di esprimere i concetti. Rispetto a Tërach,
Lôṭ era «figlio
di Hārān, cioè figlio di suo figlio» (bën-benô;
Gn 11,31; cfr. Gr 27,7).
Lascio qui un altro stimolo per l’ulteriore riflessione e ricerca. In italiano
«nipote» è anche il figlio del fratello o della sorella di qualcuno (in
altre lingue i concetti «figlio del figlio» e «figlio del fratello» sono
distinti). Anche in questo caso non esisteva un concetto ebraico specifico, ma
si diceva ad esempio «Lôṭ,
figlio del fratello di ’Aberām»
(Gn 14,12). Il servo di Abramo, arrivato a casa di Bethuel, figlio di Nahor e
nipote di Abramo, riconobbe che Dio «mi ha condotto per la retta via a
prendere per il figlio [= Isacco] di lui [=
Abramo]
la figlia [= Rebecca] del fratello [=
Bethuel, figlio di Nahor] del mio signore»
(Gn 24,48); «fratello» fu usato qui come «parente diretto», essendo che il
fratello di Abramo era Nahor (Gn 11,26s.29; 22,20; 31,53; Gs 24,2), ma Rebecca
era figlia di Bethuel (Gn 22,23; 24,15).
Inoltre, ad esempio, invece di parlare riguardo a Giacobbe di sua cugina e di
suo zio, l’autore scrisse: «E quando Giacobbe vide Rachele figlia di
Labano, fratello di sua madre, e le pecore di Labano, fratello di sua
madre, s’avvicinò, rotolò la pietra da sopra la bocca del pozzo, e abbeverò
il gregge di Labano, fratello di sua madre»
(Gn 29,10).
Come si vede, ogni lingua ha le sue caratteristiche per esprimersi e farsi
capire. E questo è l’importante.
Per l’approfondimento si vedano in Nicola Martella,
Manuale Teologico dell’Antico Testamento (Punto°A°Croce, Roma
2002), gli articoli: «Figlio», pp. 163s (cfr. qui anche «Figli di Dio» come
autorità – giudici, esseri celesti ed esseri umani, pp. 161ss); «Padre», pp.
250s.
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A1-Nipoti_BB_MT_AT.htm
30-05-2013;
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