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1.
Entriamo in tema
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2.
La pronuncia di Jahwè
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3.
Da quale verbo proviene Jahwè?
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4.
La questione della «holem» |
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▲ 1. ENTRIAMO IN TEMA:
Un lettore del sito «Fede controcorrente», mi ha scritto preoccupato a causa di un articolo
pubblicato su «Il Cristiano» del gennaio 2006. Mi ha chiesto di prendere
posizione a varie imprecisioni che aveva intravisto in esso. Ho seguito la sua
richiesta. Per trasparenza, ho mandato il seguente scritto all’autore
dell’articolo e al direttore del mensile, chiedendo loro di prendere posizione e
di comunicarmi eventuali rettifiche. Il primo mi ha comunicato che non aveva
tempo per occuparsene al momento. Il secondo, lungi dal rispondermi nel merito,
mi ha comunicato che considera la mia risposta un affronto al suo mensile. A
questo punto, io il mio dovere l’ho fatto: giudichi ora il lettore, leggendo
l’articolo del «Cristiano» (link),
confrontandolo con il seguente e, eventualmente, scrivendomi le sue fondate
opinioni.
Qui di seguito ci riferiamo al seguente articolo:
Giuseppe Martelli, «La parola di Dio e i
“testimoni di Geova”. Prima parte:
Il nome di Dio», Il Cristiano (ASPE, Anghiari 01-2006).
Per prima cosa, bisogna evidenziare lo sforzo fatto dall’autore nel presentare
una materia così difficile. Come già detto, un lettore del «Cristiano» mi
scrisse per chiedermi spiegazioni su alcuni punti dell’articolo, che lo avevano
frastornato, specialmente sul punto sette. Prima di arrivare a quest’ultimo,
voglio affrontare alcune altre asserzioni preliminari.
▲
2.
LA PRONUNCIA DI JAHWÈ:
L’autore asserisce: «Il vocabolo YHWH a rigore deve essere letto
iehawèh…». Appena poco dopo aggiunge però: «…per cui in linea di
principio dovremmo dire che ci è sconosciuta l’esatta lettura di qualsiasi
parola ebraica dell’AT, compreso il tetragramma». Egli puntualizza però in
seguito che «in ebraico doveva scriversi e leggersi “YeHaWèH” (da cui
“Javè”)…».
Faccio notare che, a parte le contraddizioni dell'autore, la pronuncia «iehawèh»,
ripetuta in tutto l’articolo, era in effetti jahewëh
(così, ad esempio, Gesenius).
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3.
DA
QUALE VERBO PROVIENE JAHWÈ?:
L’autore asserisce: «Dalla comparazione del v. 15 col v.
14 è lecito pensare che la vocalizzazione originaria del tetragramma (a noi oggi
sconosciuta) fosse iehawèh, visto che questa è la terza persona singolare
dell’imperfetto del verbo haiàh (essere), la cui prima persona singolare
del medesimo tempo imperfetto è stata già riscontrata al v. 14».
Faccio notare che le cose non stanno proprio così. In Es 3,14 compare il verbo
hājāh (qal o attivo), in Es 3,15 il verbo hāwāh (probabilmente hifil:
causativo o fattivo). Ambedue i verbi, lungi dal significare «essere» (tipico
del mondo greco), nella forma verbale attiva intendevano «accadere, diventare,
divenire, apparire». Come abbiamo detto,
jahewëh proviene da hāwāh
(non da hājāh) e viene inteso da molti studiosi come hifil (causativo o
fattivo). Se questa forma verbale fosse stata la 3a persona
dell’imperfetto qal (attivo), in conformità con
jihejëh (da haja), sarebbe stato jihewëh,
ma le cose non stanno così, poiché quest’ultima forma non esiste in ebraico. Il
verbo hāwāh era una rara forma arcaica, ricorrente solo cinque volte
nell'ebraico dell'AT; alcuni studiosi la fanno derivare da una radice verbale
che significa «irrompere, accadere». Il significato «Colui che interviene» si
accorda con il contesto immediato (Es 3,6ss; cfr. 6,6ss). (Per cui decade anche
tutta la speculazione, secondo cui l'espressione «io sono» nel NT greco, quando
pronunciata da Gesù, si riferirebbe a «Jahwè» dell’AT ebraico!)
▲
4.
LA QUESTIONE DELLA «HOLEM»:
L’autore asserisce: «Il sommo rispetto dei Giudei per
il nome di Dio è dimostrato anche dal fatto che, in realtà, con la punteggiatura
aggiunta dai Masoreti, nell’AT il tetragramma si trova scritto “YaHWàH” e non
“YaHoWàH”. La mancanza della “o” ebraica è spiegata dal fatto che questa vocale
si scrive con un puntino al di sopra della rispettiva consonante (in questo caso
la “H”) e siccome niente e nessuno è al di sopra di Javè, neppure questa vocale
può essere trascritta al di sopra del Nome di Dio che è tre volte santo» (p.
14).
■ Che dire di quest’ultima frase? Ha un grande fascino, ma è una mera
speculazione. A chi mi ha interpellato, chiedendomi se conosco l’autore, gli
risposi, tra altre cose: «Con tutto il bene che voglio a Giuseppe, non condivido
tali speculazioni. Il fatto che la holem (= il segno per la “o”) sia scritta in
tanti casi, mostra che non è così».
■ Questo stesso lettore mi scriveva che «YHWH in Gn 3,14 presenta una “holem”
sopra la “waw”. Nel Pentateuco ricorre lo stesso fenomeno anche in Gn 9,26;
18,17; Es 3,2; 13,3.9.12.15; 14,1.8; Lv 25,17; Dt 31,27; 32,9; 33,12.13». Egli
stesso mi ha assicurato di aver controllato caso per caso.
■ Riporto alcuni passaggi tratti dal mio scritto a quel lettore, con alcune
integrazioni: Il tetragramma (JHWH), avendo ricevuto dai Masoreti le vocali di ’adonāj,
dovrebbe essere scritto normalmente JeHoWaH, per essere letto ’adonāj;
quando a volte aveva ricevuto le vocali di ’ëlohîm (!) e appariva
come JeHiWiH, si leggeva ’ëlohîm. Perciò normalmente la «holem» deve
seguire la «H» e sembra come se si trovasse sopra la «W» (come in Es 13,3). Lo
scopo dei Masoreti comunque era di rendere il tetragramma illeggibile, per
ricordare di leggerlo rispettivamente ’adonāj o ’ëlohîm.
Stranamente in molti casi la «Biblia Hebraica» non riporta la «holem», ma non è
sempre così (Es 13,3.15 sì; Es 13,9.12.14 no). La mancanza, a volte, della
«holem» era data dal fatto che ciò rendeva il tetragramma ancora meno leggibile.
In certi scritti giudaici, esso è stato sostituito del tutto da
un’abbreviazione, da Šem «nome» o da un segno sostitutivo. Che il
tetragramma abbia o meno una «holem» non ha nessun significato particolare, se
non di renderlo illeggibile. Queste sono scelte fatte nella cultura giudaica del
primo Medioevo, basate su una tradizione già lungamente consolidata. Certi
Giudei, spinti da sentimenti di ancestrale timore e di superstizione religiosa,
avevano reso il nome di Dio un vero tabù; altri facevano un uso cabalistico dei
nomi di Dio.
■ Si fa quindi bene a evitare dotte speculazioni di qualsiasi genere: al momento
creano un grande effetto, ma qualcuno prima o poi le smentirà.
Per gli approfondimenti cfr. Nicola Martella, «Jahwè»,
Manuale Teologico dell’Antico Testamento (Punto°A°Croce, Roma 2002), pp. 200ss.
► URL: http://puntoacroce.altervista.org/_BB/A1-Jahwe_Cristiano_MT_AT.htm
2006; Aggiornamento: 19-08-2009
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