1. L’APPROCCIO ALL’AT: L’approccio
dell’autore all’AT è «personale e soggettivo» e la chiave di lettura vuol essere
quella del «comune lettore» (p. 7). Il libro non vuole affrontare problemi
particolari, a cui l’autore continuamente accenna (a volte anche a torto, perché
semina dubbi a cui non risponde), «bensì ha l’intenzione di farci conoscere noi
stessi» (p. 9). Infatti, Yancey finisce con lo scrivere un libro non «di
risposte ma di domande» che allo stesso tempo fanno infuriare e appagano (p.
11). Egli pone in evidenza il rischio di porre domande alla Bibbia: esse si
ritorceranno immancabilmente contro chi le pone (p. 11s). Dio non nasconde
affatto i problemi, ma addirittura li anticipa, mettendoteli davanti. La Bibbia
quasi ti provoca a metterla in discussione, ma così facendo (questa è
l’ambivalente dialettica) ti mette personalmente in discussione.
l
Bisogna evidenziare l’onestà intellettuale, quando scrive: «Ho sempre
lottato perché si accettassero le sconcertanti incoerenze dei Salmi, e il modo
migliore che io conosca per lottare è scrivere di qualsiasi cosa mi
infastidisca» (p. 8). Egli contesta, ad esempio, il facile uso che si fa
dell’attraversamento del Giordano come «metafora di un trionfo spirituale» (p.
8) e parla dei danni subiti, fin dall’infanzia, a causa dell’abuso che si è
fatto dei misteriosi libri profetici come materiale per le predicazioni (p. 8).
l
Dell’AT l’autore apprezza soprattutto il realismo senza «abbellimento» (p. 8
ted.) e «senza esclusione di colpi» (p. 9 it.). La sua tesi, secondo cui Dio
avrebbe specialmente «balbettato» nell’AT (it., p. 10) o usato in esso un
«linguaggio infantile» (ted., p. 9), convince soltanto in parte e getta molti
interrogativi irrisolti.
l
Per molti tratti l’opera è una commistione fra profondi pensieri biblici,
autobiografia, aneddoti e scrupolo che il lettore capisca e venga invogliato
nella lettura dell’AT, secondo il motto: «Io ci sono passato prima di te… e
posso capire le tue difficoltà».
2. ALCUNI ASPETTI DELL’OPERA: Nel
capitolo «Vale la pena di conoscere l’Antico Testamento?» l’autore mostra che
per i lettori moderni esso «non sempre è comprensibile, e ciò che si capisce
offende orecchie moderne» (p. 14). Anzi, l’AT rischia di diventare il grande
sconosciuto anche tra i cristiani. Viste le «stranezze» che esso contiene, «vale
realmente la pena di leggere e capire l’Antico Testamento?» (p. 15). Gli uni
evitano del tutto di leggere l’AT, altri pochi lo saccheggiano per trovare
qualche «chicca» spirituale. Narrando la sua esperienza con la lettura dei 39
libri dell’AT, riassume: «Mi hanno insegnato come vivere con Dio: non come
dovrebbe essere, ma come realmente è» (p. 17). Quanto a contenuto l’AT si
differenzia da altri libri per la sua eterogeneità; sorprende comunque la sua
unità e il suo stile personale e appassionato. Yancey mostra giustamente che non
è solo l’AT ad essere insufficiente senza il NT, ma anche al contrario (p.
18ss). Infatti, il NT è da solo insufficiente per capire Dio o il nostro mondo.
La stessa cultura occidentale si poggia sulle basi poste dall’AT, specialmente
sul monoteismo, sulla concezione della «coscienza», sulla dignità umana, su una
legislazione giusta, sui diritti dei più deboli (cfr. i movimenti per i diritti
umani) e sulla terminologia dell’AT (p. 18s). A ciò si aggiunge anche il fatto
che difficilmente si potrà comprendere pienamente il NT o alcuni suoi libri
(cfr. Mt-Gv, Eb, Gd, Ap) a prescindere dall’AT, dal suo linguaggio e dal suo
mondo di idee (p. 19s). A differenza dei credenti dei secoli passati, molti di
quelli odierni hanno perso il senso di coesione che lega i due testamenti (p.
20). Le idee, il linguaggio, i generi letterari, le predizioni, la teologia
dell’AT permeavano la concezione che Gesù aveva di sé e della sua missione (cfr.
Lc 24,25ss), il suo linguaggio, le immagini e le metafore usate e così via.
l Se si prescinde dall’AT, si
avrà una concezione impoverita di Dio, del Dio che agisce nella storia con
benignità e severità e del timore e della riverenza che gli sono dovute (p.
22s). A differenza del nostro mondo secolarizzato, la vita degli Ebrei era
quotidianamente piena della presenza e del ricordo di Dio. Essi erano
sollevati dal fatto che Dio aveva stabilito con loro un rapporto
diretto, stabilendo il patto. l
Un altro aspetto è come Dio agisce nella storia. Dal punto di vista umano
può sembrare che Dio si muova in modo lento, imprevedibile e paradossale (cfr.
Abramo, sterilità delle matriarche, permanenza in Egitto, esodo, Gesù di
Nazaret). «Da Abramo a Giuseppe, a Mosè e Davide, guadagniamo almeno la
consapevolezza che Dio si muovi in modi che noi non potremmo prevedere o perfino
desiderare» (p. 28). A ciò si aggiunge che la storia tracciata dall’AT è quella
di un Dio personale, seguendo il quale non si può sbagliare, un Dio interessato,
partecipe e che ama (p. 28s). È sorprendente come il Dio sovrano della storia
non soli influenzi il mondo e le persone, ma permetta a quest’ultime di
esercitare un’influenza su di lui (lamento, intercessione, lode, lotta con Dio,
processo) — questo marca una chiara differenza col paganesimo (p. 32s). A ciò si
aggiunge che, riguardo al rapporto con Dio, le persone di cui parla la Bibbia,
ebbero con Lui esperienze completamente differenti e individuali; per questo
bisogna rifuggire da formule generali (p. 33). I Salmi fanno conoscere persone
piene di disorientamento, confusione, collera, disperazione ed angoscia; eppure
proprio da tali Salmi citarono Gesù e gli scrittori del NT! (p. 34).
3. CENNI AL RESTO DELL’OPERA: L’autore
presenta l’AT, diciamo, per campionatura, affrontando specialmente i seguenti
libri: Giobbe, Deuteronomio, Salmi, Ecclesiaste e i Libri Profetici.
n
Nel trattare Giobbe mette a fuoco i problemi reali del libro: non la
sofferenza in sé, ma la crisi e la sfida della fede. È un’analisi che corrobora
le mie convinzioni e per la quale sono grato. Sorprende comunque che Yancey
manchi di un termine tecnico come «dogma del contraccambio» (quel che uno
semina, miete), ma usi un generico «patto di fede», termine che può soltanto
aumentare gli equivoci e che nella teologia dell’AT ha tutt’altro significato.
n
L’autore non affronta il Deuteronomio da un punto di vista di una
struttura teologica del libro, ma crea una coreografia, più o meno verosimile,
per rendere plausibili alcuni contenuti del messaggio. Qui disturba l’immagine
che dà di Mosè — vecchio che patisce il freddo, nonostante la canicola, e che
dev’essere sorretto da altri (p. 68). Viene altresì descritto come un vecchio
dalla voce affaticata, a cui «la fatica ha paralizzato l’esistenza» (p. 84).
Ecco come viene descritto il capo Mosè alla fine dei suoi discorsi: «Esaurito,
senza voce, il vecchio crolla [ted.
= atono cade il tremante anziano] nelle braccia dei suoi assistenti…
mentre con delicatezza lo aiutano a discendere dalla roccia affidandolo ad altri
che stanno aspettando sul terreno sottostante» (p. 88;
ted. = p. 100). Questa immagine sta in netto contrasto con quella
data da chi lo conosceva da vicino: «Mosè aveva 120 anni… la vista non gli si
era indebolita e il vigore non gli era venuto meno» (Dt 34,7).
l
Anche l’immagine, secondo cui Mosè avrebbe avuto dinanzi a sé soltanto
ragazzi innocenti, anzi bambini (p. 69.76), che mai avevano visto l’Egitto e i
suoi splendori, è un’immagine soltanto romantica che non ha nessun fondamento.
Infatti, coloro che non avrebbero potuto entrare in Canaan, ma sarebbero morti
nel deserto, erano soltanto gli Israeliti da vent’anni in su (Nu 32,11). Gli
Ebrei nati fino a Nu 14, al tempo del Deuteronomio avevano da circa 40 (quelli
nati nel deserto) a circa 60 anni (quelli nati nell’Egitto)! Alcuni di loro
erano già nonni, se non bisnonni!
l
Quanto Yancey afferma sull’infanzia, sulla gioventù e sull’età matura di
Mosè è spesso pittoresco, forse a tratti verosimile, ma rimane una
interpretazione e una congettura che trascende ciò che afferma il testo
canonico. È mera interpretazione che hapiru fosse una parola di gergo
egiziano, che avrebbe significato «polveroso» e con cui gli Egiziani avrebbero
indicato l’Ebreo (p. 71.92).
l
Sorprende che Yancey chiami gli Israeliti continuamente «Ebrei», sebbene nel
Deuteronomio compaia una volta sola (Dt 15,12), soltanto 14 volte
nell’Esodo e 32 volte soltanto nell’intero AT; l’espressione «figli d’Israele»
si trova invece 120 volte in Es, 20 volte in Dt (52 in Lv, 157 in Nu) e 598
nell’AT.
l
Non si capisce perché Giosia debba essere stato un «re-bambino», quando fece
restaurare il tempio (p. 93), visto che aveva 18 anni (2 Re 18,3); questo
linguaggio si adatta più a Gesù visitato dai savi d’oriente (Mt 2,2.11).
n
Egli narra i suoi diversi approcci per capire il libro dei Salmi:
dapprima la lettura risultò sconfortante, fastidiosa e patologica, poi
finalmente trovò la chiave per aprire questi 150 testi affascinanti e
problematici. Infine concluse: «I 150 Salmi sono difficili, confusi e caotici
come la vita stessa, un fatto che può offrirci inaspettato conforto» (p. 104).
Chi si trova in una pesante situazione esistenziale, la lettura dei Salmi può
effettivamente trasformare i sentimenti di uno sconfitto e addolorato, nutrendo
gradualmente in lui una vivida speranza. I Salmi possono prestarsi altresì ad
una vera e propria terapia psichica e spirituale, poiché questo libro non
nasconde i variegati sentimenti di coloro che si sentivano delusi da Dio. Il
Salterio mostra che si può andare a Dio con tutto ciò che si sente al suo
riguardo, senza coprire le proprie emozioni, confidando che Egli ha il potere di
guarire. Molti Salmisti si fanno strada più o meno così verso Dio: «Signore, io
credo, sovvieni alla mia incredulità».
l
Particolare è lo sforzo di Yancey di mostrare la connessione fra la visione
spirituale che Davide dà della sua vita nei Salmi e la descrizione dei fatti di
primo piano, a cui fanno riferimento le intestazioni di alcuni salmi e che sono
descritti dai libri storici (1-2 Sam). Se in questi ultimi è Davide l’uomo
vigoroso e coraggioso, nei Salmi egli mette al centro della scena Dio stesso.
l
Vale la pena leggere anche il suo excursus sui «salmi di imprecazione o di
vendetta» (p. 117-123).
n
Nell’Ecclesiaste la distinzione fra le due versioni avviene fin dal
sottotitolo: «la fine della sapienza» (it.) e «la conclusione ultima della
sapienza» (ted.). I primi editori, seguendo probabilmente la critica alla
Bibbia, si basano sul filone critico della «crisi della sapienza», i secondi no.
Yancey stesso mostra di seguire l’impostazione della critica alla Bibbia, quando
chiama l’Ecclesiaste «l’anonimo maestro» (it.) o «un anonimo predicatore» (ted).
Pur di salvare la sua tesi sulle differenze sostanziali fra Proverbi ed
Ecclesiaste, egli dubita — a torto — della paternità salomonica del libro (p.
130); poi, però, per salvare un po’ «capre e cavoli», pone il libro nell’ambito
d’influenza di Salomone (ted.) o sotto la sua «protezione» (it.). In seguito,
però, parla del «re Salomone, l’oscuro personaggio che si cela dietro il libro»
(p. 142). L’autore allinea l’Ecclesiaste agli autori esistenzialisti moderni e
proietta questi ultimi su questo antico libro orientale. Le presunte sostanziali
differenze fra l’Ecclesiaste e Proverbi e fra l’Ecclesiaste e Giobbe non sempre
convincono e spesso sono costruite artificiosamente.
l In ogni modo, secondo Yancey
il libro vorrebbe semplicemente ricordarci la limitatezza umana e quali siano le
inevitabili conseguenze di chi vive senza che Dio sia al centro della sua vita.
l Il suo presunto confronto
finale fra la «città dell’uomo» (regno di questo mondo) e la «città di Dio»
(regno del cielo) rimane una pura costruzione che sposta il piano di
argomentazione riguardo alle parole di Gesù, che egli cita, e pone in cattiva
luce la legittima richiesta dei discepoli prima dell’ascensione riguardo al
ristabilimento del regno per Israele (At 1,6).
n In un primo momento può
sembrare che anche Yancey applichi i termini profeti / profezia in senso
dogmatico direttamente all’escatologia, privando così la proclamazione di questi
servi di Dio della loro peculiarità principale di essere gente del presente! Poi
però l’autore mostra che è solo una concessione (e la sua vecchia mentalità sui
profeti), per poter affermare (allora in vista dell’anno 2.000!): «Coloro che
hanno un’ossessione per la profezia intesa come predizione, che leggono questi
diciassette libri essenzialmente per scoprire cosa avverrà nell’imminente
futuro, no riusciranno certo a cogliere il loro grande contributo… I profeti
sono il più grande contributo sulla persona di Dio» (p. 157). Egli mostra
l’umanità dei profeti, le loro problematiche per capire Dio e i loro artifici
per attirare l’attenzione di animi gretti e per rendere il loro messaggio
comprensibile. Inoltre viene mostrato il vasto spettro dei sentimenti di Dio
verso Israele. Yancey mostra anche i vari interrogativi d’Israele nei momenti di
profonda crisi storica e come il «Servo dell’Eterno» abbia costituito la
risposta agli interrogativi del popolo. In ogni modo, l’AT si chiude con molti
interrogativi irrisolti.
n
Nell’articolo finale (it: «Echi anticipati di una risposta finale»; ted.
«Pregustazione di una risposta finale»), Yancey mostra nuovamente la sua onestà
intellettuale e il suo coinvolgimento personale nella materia. Ricalca
nuovamente le molteplici questioni poste dall’AT e le principali domande
risultanti: Io conto qualcosa? Dio si occupa di noi? Perché Dio non agisce? Poi
mostra che, sebbene Gesù non si sia pronunciato su tutte queste questioni, pure
Egli stesso è la risposta alle domande angoscianti dell’uomo. Yancey cerca
quindi di mostrare come ciò sia concretamente possibile. Da tale risposta
dipende il fatto perché uno non rimane semplicemente ebreo limitato all’AT e
coscientemente si dichiara cristiano, secondo il NT.
{Nicola Martella, recensione comparsa in
Lux Biblica 29 (IBEI, Roma 2004), pp. 163-169}
Per approfondire il «dogma del contraccambio» nel libro di Giobbe
cfr. Nicola Martella, «Giobbe»,
Radici 1-2
(Punto°A°Croce, Roma 1994), p. 79-87.
Per approfondire i patti dell'AT cfr.
Nicola Martella, «Patti di Dio»,
Manuale Teologico dell’Antico
Testamento
(Punto°A°Croce, Roma 2002), p. 254-260; cfr. qui
anche «Patto di grazia», p. 265.
Si veda pure lo
studio critico comparativo
▲
Secondo: