Clicca sulle frecce iniziali per andare avanti e indietro
▲
Nicola Martella:
L’opera ha così tanti titoli, sottotitoli e dediche che in un
primo momento è veramente difficile sapere di che cosa si tratti: un commento
sulla Genesi, la biografia dei tre patriarchi, un libro di aneddotica giudaica,
una traduzione della Genesi, un libro per la liturgia o altro. A fatica si
riesce a trovare il curatore ufficiale. Anche la terminologia tecnica giudaica
risulta dapprima ostica per chi non è un insider.
Sfogliando e leggendo qua e là, ci si accorge che si tratta, tra altre cose,
della traduzione della Genesi — ma solo fino al capitolo 22 — con versione
ebraica e traduzione italiana a fronte; è certamente una buona cosa per chi
conosce l’ebraico, quindi per l’esperto. Al lettore medio resta soltanto la
curiosità di paragonare la traduzione, a cui si è abituati, con quella fatta in
quest’opera. Oltre ad alcune particolarità, il lettore troverà i nomi scritti in
modo aderente all’ebraico; il Tetragramma (JHWH, Jahwè) non è riportato neppure
come Adonaj «Signore» ma come Hashèm «il Nome».
All’atto pratico, quest’opera presenta
porzioni di lettura della Torà così come ricorrono nella liturgia della
sinagoga, con annesse letture supplementari provenienti dalle altre parti
dell’AT (p.e. Profeti). Sotto alla traduzione c’è un nutrito apparato, ma chi si
aspetterà delle note esplicative dei termini contenuti nel testo, rimarrà
perlopiù deluso. Un vasto spazio è dato al rabbino Rashì (Shlomò ben Yitzkhàk,
1040-1105), i cui commenti sono riportati solo in ebraico: peccato. Gli altri
commenti sono perlopiù opinioni, non di rado speculative, di altri rabbini di
estradizione talmudica e mistica (Cabalà, Zòhar, Khassidùt). Certamente anche in
tali note non mancano, di tanto in tanto, alcune osservazioni interessanti di
carattere teologico. Il testo della Genesi è intercalato, come già detto, da
Haftaròt o porzioni di lettura, ossia da testi biblici letti nella liturgia
sinagogale paralleli alla Torà. In esse si cerca di stabilire un aggancio col
testo della Genesi, ma esso è spesso tenue e deriva da una qualche allusione
testuale casuale, da un’analogia terminologica, da una speculazione vera e
propria o da altro. In uno di essi, agganciato alla storia di Noè (Gn 6,6ss),
salta all’occhio come Is 42,5-19 o 42,5-43,10, secondo tradizioni differenti,
non sia applicato al «Servo di Dio» in qualità di Messia ma a Israele (p. 59ss).
Ogni tanto c’è un box con qualche aneddoto o con qualche «spiegazione» rabbinica
derivante da un approccio non esegetico ma speculativo. Il pensiero mistico e
speculativo è mostrato dai vari riferimenti alla numerologia (le lettere
ebraiche sono altresì numeri), da cui si cerca di trovare un significato
nascosto nel testo.
L’opera non è adatta a chi non è
esperto; per chi ha già una tendenza a spiritualizzare il testo biblico mediante
un uso metaforico e simbolico dei termini, quest’opera sarà un incitamento
ulteriore alla speculazione dottrinale. Poiché la «Torà scritta» (= Pentateuco)
e quella orale (= tradizione rabbinica) sono poste sullo stesso piano — «Sono
tutte parole del Dio vivente» (p. 8) — e poiché Dio le avrebbe rivelate
tutte già sul Sinai (!), ci si può immaginare che cosa ciò significhi. A ciò si
aggiunge che viene accreditato un quadruplice metodo d’interpretazione che va
dal significato semplice del testo, all’interpretazione omiletica, al valore
numerico e ai segreti cabalistici. A ciò si aggiunge che per
ogni parola del Pentateuco ci sarebbero settanta interpretazioni!
Alcuni rabbini hanno tratto dei significati addirittura dalla puntazione delle
parole (alle consonanti ebraiche sono state aggiunte nei primi secoli d.C. delle
vocali sotto forma di punti), dalla grandezza delle lettere o dalla posizione di
queste ultime o dalla loro ricorrenza dopo un certo numero di parole
(dall’acronimo derivante si pretende di derivare un significato)! (p. 10). Le
porte sono ampiamente aperte a ogni tipo di speculazione. E Dio le avrebbe
veramente rivelate già sul Sinai!?
Il glossario finale è senz’altro utile
per chi troverà, in modo ricorrente, dei termini incomprensibili al lettore
medio e digiuno di letteratura ebraica; vari termini sono però così scontati per
l’ebreo che non ricorrono affatto. Interessanti sono senz’altro le varie tabelle
contenute nell’opera. La traslitterazione proposta dell’ebraico non segue un
metodo rigorosamente scientifico, ma è un adattamento pragmatico.
La lettura di quest’opera provocherà e
spingerà chiunque voglia praticare una corretta esegesi (e non una
«versettologia» speculativa) a chiedersi quale sia l’approccio giusto verso il
testo biblico e una legittima spiegazione d’esso. La lettura di quest’opera
mostra come sia pericoloso e fatale prescindere dal normale significato
letterario del testo nel suo contesto (letterario, storico, teologico) per
cercarne altri più «profondi» con l’uso di numerologia, spiritualizzazioni e
speculazioni varie. Allora si diranno cose giuste ma al posto sbagliato
(malattia che affligge anche libri e articoli cristiani!). Oppure si rischia di
trovare di tutto, tranne che la verità; non a caso Gesù rimproverava proprio gli
esegeti giudaici del suo tempo in questo modo: «Voi errate perché non
conoscete le Scritture» (Mt 22,29). Oppure anche così: «Se credeste a
Mosè, credereste anche a me; poiché egli ha scritto di me. Ma se non credete
agli scritti di lui, come crederete alle mie parole?» (Gv 5,46s). Infatti,
come direbbe l’apostolo Paolo, ci si può concentrare sulla «lettera» (la
tradizione delle speculazioni giudaiche sulla Torà) e mancare proprio lo
«spirito» del testo in esame che vivifica (2 Cor 3,6; cfr. Rm 7,6). {Nicola
Martella, recensione comparsa in Lux Biblica 29 (IBEI, Roma 2004), pp.
182ss}
▲
Secondo:
▲
Terzo:
▲
Quarto: