Per dire o meno alcune cose, dobbiamo fare un’analisi seria e rigorosa della
Scrittura, prendendola sul serio. In questo caso constateremo quanto segue.
Premettiamo fin dall'inizio che «profetare» nel NT significa
proclamare pubblicamente nella chiesa locale sotto ispirazione dello Spirito
e sulla base della lettura della Scrittura.
■ L’espressione «profeta di Dio (o del Signore)» nel NT non esiste.
Allora si fa bene a non chiamare nessuno in specifico con questo titolo; e
neppure bisogna che qualcuno lo faccia. Come già detto altrove, nel NT troviamo
l’espressione, ad esempio, «Paolo, apostolo di Gesù Cristo» (2 Cor 1,1;
Ef 1,1; Col 1,1; 1 Tm 1,1; 2 Tm 1,1), ma mai «Paolo, profeta di Gesù Cristo»!
Deve pur significare qualcosa!?
■ Quanto ad Agabo, neppure lui fu chiamato espressamente «profeta di
Dio», ma l'espressione è generica (At 11,27
profētoi «proclamatori»;
21,10 un
certo
prophētēs
«proclamatore»... venuto
da noi). Anche il giudaismo a quel
tempo aveva i suoi profeti specialmente fra gli Zeloti (Farisei estremisti; cfr.
At 5,36s), oltre ai suoi esorcisti e taumaturghi (Mt 9,38; At 19,13s), e anche
Caiàfa profetò in quanto sommo sacerdote (Gv 11,49s). Agabo crea inoltre più
domande che risposte: era un profeta del giudaismo storico o è un
giudeo-cristiano? Riguardo al tipo di predizione di At 21, faccio notare che si
avverò, sì, ma non nei modi da lui annunziati. A ciò si aggiunga che egli ha
predetto cose abbastanza materiali — una carestia e la l’imprigionamento di
Paolo a Gerusalemme (qui i dettagli non corrispondono a quanto predetto) e
circostanziate nel tempo, che in fin dei conti non avevano alcuna importanza
dottrinale per i credenti d’allora e d’oggi. Rimandiamo per l’approfondimento
all’articolo: ►
Agabo.
■ L’apostolo Giovanni non si titolò mai personalmente come «profeta»,
sebbene abbia avuto la visione del tempo della fine (Ap 1,9ss). Infatti, nella
teologia nessun studioso definirebbe l’Apocalisse un «libro profetico», poiché
tecnicamente tale opera appartiene al genere apocalittico, non al genere
profetico. Infatti per «profezia» s’intende tecnicamente la proclamazione morale
dei profeti (nebî’îm) dell’antico Israele nel loro tempo. Perciò,
ad esempio, Geremia era un profeta, poiché indirizzava quotidianamente messaggi
al popolo, ma non Daniele che era un «apocalittico» e faceva il funzionario di
imperatori stranieri.
■ Paolo, pur avendo ricevuto da Dio grandi rivelazioni, visioni, parola
di sapienza e di conoscenza (2 Cor 12,2ss), non si definì personalmente mai un
«profeta» né tanto meno «profeta di Dio», poiché non erano questi gli elementi
che costituivano un
prophētēs
«proclamatore». È la poca conoscenza tecnica tra i cristiani che fa
credere il contrario! Egli insistette sul suo apostolato (Rm 1,5), che era il
suo ministero di missionario fondatore e che difese ad oltranza (1 Cor 9,1s).
Egli difese il suo apostolato contro i superapostoli gnostici che si erano
intrufolati nella chiesa di Corinto e ne avevano preso il comando, denigrandolo
per di più (2 Cor 11,4s; 12,11s). Paolo li definì «falsi apostoli, operai
fraudolenti, che si travestono da apostoli di Cristo» (2 Cor 11,13ss).
■ Oggigiorno noi abbiamo giustamente una grande considerazione dei brani
predizionali
dei nebi'îm o «proclamatori» teocratici d’Israele. Se
rapportati alla lunghezza del loro ministero (e dei loro libri; cfr. Is; Gr;
Ez), l’incidenza dei brani predizionali è minima rispetto ai brani predicativi
nel loro presente. A ciò si aggiunga che un profeta legittimo per le sue
predizioni ricalcava di per sé «l’impianto predizionale dell’AT» (Dt 30),
aggiungendo solo un'attualizzazione nel suo presente. [Per l’approfondimento
cfr. «Impianto predizionale dell’AT»,
Manuale Teologico dell’Antico
Testamento, pp. 184s, e temi connessi).
■ Nel NT il concetto di profeta era cambiato
per molti versi. Per prima cosa il profetismo dell’AT era un ministero
teocratico d’Israele; come tale era cessato con Malachia. Per 400 lunghi
anni Israele non ebbe più profeti, finché venne come «fanalino di coda» dell’era
dei
profeti d’Israele Giovanni Battista, che fu definito da Gesù l’Elia che
doveva venire (Mt 11,14; Mal 4,5). Gesù rese chiaro che «tutti i profeti e la
legge hanno profetato fino a Giovanni»
(Mt 11,13). Quindi con il Battista si concluse per sempre la sequenza dei
profeti d’Israele. In Lc 16,16 Gesù aggiunse la novità rispetto all’era dei
profeti d’Israele: «La legge ed i profeti hanno durato fino a Giovanni;
da quel tempo è annunziata la buona
novella del regno di Dio».
■ Da Malachia non erano solo passati 400 anni senza profeti teocratici, ma era
cambiata anche la lingua. Infatti anche nella Palestina si parlava
perlopiù il greco e l’aramaico e l’ebraico erano solo dialetti della Giudea. In
greco il termine
prophētēs
«proclamatore, interprete» ha uno spettro di significati molto più vasto
di nabî’
«proclamatore», il portavoce di Dio nell’AT. Persone che mai nell’AT sarebbero
stati chiamati «profeti», ma che avrebbero avuto bisogno essi stessi di un
«veggente» per consultare Dio, nel NT sono chiamati in modo onorifico
prophētēs, ad esempio: Daniele (Mt 24,15), che in effetti era un
uomo di stato, e i poeti, addirittura quelli dei pagani (Tt 1,12). Il verbo
profētein «proclamare» fu
attribuito a Zaccaria (Lc 1,67) e addirittura al sommo sacerdote Caiàfa (Gv
11,51), che profeti non erano nel senso tecnico.
■ Nel mondo greco, il
prophētēs non era chi riceveva la rivelazione (ad esempio il
medium o la Pizia nei templi pagani), ma chi ne dava l’interpretazione e la
proclamava. Perciò nella cultura e nella lingua maggioritaria dell’ellenismo, in
cui il cristianesimo si muoveva, non solo il termine
prophētēs aveva uno spettro di significati più ampio rispetto a
quello ebraico nabî’, ma cambiò del tutto la funzione nella chiesa. Ho
trattato diverse volte il fatto che, al tempo del NT,
prophētēs non indicasse chi prediceva, rivelando cose
nuove, ma chi proclamava annunziando ciò che era stato già rivelato (AT).
Il fine era l’edificazione, l’esortazione e la consolazione nella chiesa (1 Cor
14,3s).
Non esistevano più i profeti teocratici del vecchio patto, ossia quelli
d'Israele, e non c’erano neppure persone particolari nella chiesa che potessero
rivestire tale ministero in particolare. Per questo nel NT non si troverà mai
scritto: «Il profeta Giovanni venne e disse». Infatti, nella chiesa la regola è
questa: «Tutti, uno ad uno, potete profetare [= proclamare sotto
l'ispirazione della sacra Scrittura]; affinché tutti imparino e tutti siano
consolati» (1 Cor 14,31); è una predicazione partecipata. Per mantenere
l’ordine, Paolo ingiunse che per ogni riunione parlassero solo «due o tre
profeti [= proclamatori ispirati dalla sacra Scrittura]» (v. 29). Ma ciò che
dicevano tali proclamatori non era ingiuntivo, poiché aggiunse: «E gli altri
giudichino», ribadendo subito dopo: «E gli spiriti dei profeti [=
proclamatori] sono sottoposti ai profeti [= proclamatori]» (v. 32).
■ È da qui che bisogna intendere anche i brani ministeriali. Purtroppo la
mancata traduzione dei termini greci, che sono stati solo adattati in italiano,
ha portato a molti equivoci. Ecco che cosa appare, se traduciamo radicalmente: «Ed
è lui che ha dato gli uni, come missionari; gli altri, come proclamatori; gli
altri, come araldi; gli altri, come pastori e insegnanti, 12per il
perfezionamento dei santi, per l’opera del ministero, per la edificazione del
corpo di Cristo» (Ef 4,11s). Similmente 1 Cor 12,28: «E gli uni Dio li ha
insediati nella chiesa in primo luogo come missionari; [gli altri] in secondo
luogo come proclamatori; in terzo luogo come insegnanti; poi, forze; poi carismi
di guarigione, assistenze, governi, specie delle lingue».
Per «missionari» s’intende quelli fondatori di chiese. Per «proclamatori»
s’intende coloro che edificano la chiesa, parlando in modo estemporaneo, perché
«ispirati» dalla Scrittura o dalle parole di altri fratelli basate su di essa.
Infatti, «chi proclama, edifica la chiesa» (1 Cor 14,4). Gli «annunciatori»
(o araldi) predicano l’Evangelo fuori della chiesa. I «pastori» non sono
coloro che dirigono la chiesa, ma coloro che pascono la chiesa con la cura
d’anime, quindi coloro che esercitano la cura pastorale. Gli «insegnanti»
istruivano in modo sistematico nella sacra Scrittura (allora era l’AT),
presentando la sana dottrina e tagliando rettamente la Parola di verità (cfr. le
raccomandazioni di Paolo a Timoteo e a Tito sull’insegnamento). A differenza
degli insegnanti, i proclamatori parlavano sotto l’ispirazione del momento
all’interno del processo di edificazione reciproca, e cioè sotto ispirazione dello
Spirito e sulla base della lettura della Scrittura.
In tutto ciò c’è una logica e una strategia missionaria. I «missionari»
fondano le chiese; i «proclamatori» (spesso fanno parte della squadra del
missionario come nel caso di Paolo e del suo seguito) la edificano con discorsi
spirituali
sotto ispirazione dello Spirito e
sulla base della lettura della Scrittura, parlando «agli uomini un
linguaggio di edificazione, di esortazione e di consolazione» (1 Cor 14,3);
gli «annunciatori» (o araldi) portano l’Evangelo alle anime perdute; i «pastori»
curano le anime dei discepoli; gli «insegnanti» istruiscono i discepoli
in modo profondo e sistematico nella sacra Scrittura. Non era un caso che ad
Antiochia, la cui chiesa fu fondata da credenti arrivati sul posto in seguito a
una persecuzione, fu mandato dapprima Barnaba, il «figlio di consolazione», per
edificare i nuovi credenti, e lui poi andò a prendere Saulo, che era un
insegnante. Qui maturò il progetto di mandare «missionari» in altre zone e di
fungere come chiesa mandante (At 13).
■ C’è da dire che un insegnante poteva essere anche un
prophētēs «proclamatore», ma non viceversa. Per questo è scritto
che nella chiesa d’Antiochia v’erano cinque fratelli che erano allo stesso tempo
«proclamatori e insegnanti» (At 13,1). Nel caso negativo, i «falsi proclamatori»
sono identificati con i «falsi insegnanti» (2 Pt 2,1).
Similmente anche gli apostoloi «missionari» possono essere profētoi
«proclamatori» (Ef 2,20; gr. un solo articolo per ambedue!), ma non viceversa. I
credenti gentili sono «concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio,
essendo stati edificati sul fondamento degli apostoloi e dei profētoi,
essendo Cristo Gesù stesso la pietra angolare» (Ef 2,19s). I dodici
rappresentanti di Gesù erano «missionari» fondatori del cristianesimo e
«proclamatori» della sacra Scrittura ai fini dell’edificazione.
►
Profeti falsi ed escatologia
►
Profeti nel Nuovo Testamento
▬ Letteratura
■
Nicola Martella,
Manuale Teologico dell’Antico
Testamento
(Punto°A°Croce, Roma 2002), articoli: «Profeta (ambito ministeriale)», pp.
279ss; «Falsi profeti», pp. 281s; «Falsi legittimi», p. 283; «Profetismo:
fenomeno», pp. 283s; «Profezia: proclamazione», pp. 284s.
■
Nicola Martella (a cura di), «Che cos'è
la "profezia"?», Escatologia biblica essenziale.
Escatologia 1 (Punto°A°Croce,
Roma 2007), pp. 21-24.
► URL:
http://puntoacroce.altervista.org/DizBB/Profeti_nuovo_patto_MT_AT.htm
30-10-2007; Aggiornamento:
09-11-2007
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